Qualcuno crede che sia meglio non aspettarsi mai niente. Almeno, in cambio, non si rimane delusi. Altri invece, come Gian Paolo Tomasi (Milano 1959), non aspettano e scelgono di farsi incontro. Scelgono di modificare, perché nulla si trova mai solo così com’è. Questa categoria di scrutatori accaniti, di solito, si avventa con precisione affilata contro il reale. Lo taglia a pezzi e fa dell’immaginazione un’unità di misura.
Con la fotografia si può fare. Basta mischiare le essenze dei luoghi, lasciare decantare i ricordi, depositare le prime impressioni e, per finire, comporre il tutto con allegria allucinatoria. È questa la prescrizione segreta di un fotografo come Tomasi. Uno che ha imparato a fare i conti col falso ben prima di trasformarlo in arte. Tomasi, infatti, ha lavorato con i grandi della fotografia come Toscani e Penn, per passare attraverso Salgado e Avedon. E nella moda, come nella pubblicità, si sa, il ritocco è regola d’arte, menù del giorno. Tomasi, però, ora ne svela gli artefatti, e svela le scoperte risapute, i segreti dietro ai segreti, attraverso i suoi paesaggi. A Bergamo espone una serie di scenari inventati. In mostra appaiono scorci cittadini talmente realistici, in sintonia ambientale, da suonare fin troppo intonati. Il fotografo assembla impressioni. Visioni d’angoli e grandangoli, tersi con nitore architettonico e pazienza certosina. I cieli nuvolosi, infatti, purificano l’aria e fanno vedere con ironia, mentre le scelte compositive strizzano l’occhio a chi guarda. Così, per Genova volano manzoniane Merde D’Artiste; a Venezia, in Piazza San Marco, è parcheggiata una Ferrari, mentre a Bergamo si aggirano fantasmi nei tombini.
Comunque, di fronte alle città, Tomasi è in grado di stupire anche i più raffinati intenditori del genius loci. Chi riconosce la morfologia urbana, infatti, sorride dello scompiglio paesaggistico. E si gusta le opere come mosse di un equilibrista. Un funambolo che oscilla tra il vero e l’inesistente. Un visionario che sposta le fughe, rimescola i punti di vista, inserisce dettagli e cambia la città per farla entrare nella fotografia. Il tutto con stratagemmi chirurgici, che ad ugual maniera operano e cambiano i corpi femminili. Le sue modelle virtuali. Delle i-dee immaginarie. A sottolineare, ancora una volta, che solo l’immagine crea il reale. E non viceversa.
ginevra bria
mostra visitata il 18 marzo 2006
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