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18
ottobre 2011
fino all’ 8.I.2012 Omaggio all’Arte Povera Roma,MAXXI
altrecittà
Liberarsi dalle costrizioni del museo e rifiutare i precari condizionamenti di una società ricca e consumista. Impiegando, volutamente, materiali poveri, di scarto, inutili. Con lo scopo di evocare un momento primitivo e primario del linguaggio affidandosi all’azione…
Con uno schieramento di forze da fare invidia a qualsiasi grande stratega dell’arte, dopo la mostra al MAMbo di Bologna. continua la presentazione degli artisti dell’arte Povera in diversi altri musei a cura del demiurgo critico Germano Celant, che a suo dire, con pochissimi finanziamenti è riuscito a mettere in piedi una armata degna di essere ricordata per molto tempo, relazionando con diversi direttori dei principali musei italiani per una messa a fuoco di grande gittata in quasi tutta la penisola, approfittando magistralmente della occasionale celebrazione dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Il secondo appuntamento lo possiamo ritrovare al Maxxi di Roma (Omaggio all’Arte Povera) in cui viene presentata una grande installazione di Gilberto Zorio Canoa Roma progettata appositamente per questo appuntamento, sospesa davanti alla grande vetrata del piano superiore del museo coinvolge visivamente la Piazza esterna stabilendo un rapporto e un approccio diretto in senso percettivo con lo spazio antistante. L’altro artista presente è Jannis Kounellis, artista di origine greca, trapiantato da diversi decenni a Roma che presenta l’installazione (Senza Titolo), un’opera degli anni Ottanta di grande impatto che accoglie i visitatori nell’ingresso del museo, con un accumulo stratificato di materiali primari, essenzialmente poveri, come lamiere di ferro saldati e juta, materiali che, tuttavia, richiamano energie ed essenze primitive e ancestrali. Tutte le due opere sono poste idealmente a confronto con l’opera di cuoio Sculture di linfa , di un’artista che io considero di grande qualità come Giuseppe Penone che da qualche anno fa parte stabilmente della collezione permanente del MAXXI Arte. I tre lavori esposti sintetizzano appieno nel loro dialogo e confronto fra elementi artificiali e naturali la ricerca poetica di base di questi artisti, relazionandosi felicemente e compiutamente con il complesso sistema spaziale del museo progettato da Zaha Hadid.
Anche Anna Mattirolo, assieme a Luigia Lonardelli, ha voluto propone a distanza di anni gli sviluppi storici e contemporanei di questo movimento nato nel 1967, quando alla Galleria La Bertesca un giovanissimo e intraprendente Germano Celant progettava la mostra “Arte povera Im Spazio”, la prima dove compare l’espressione che renderà il movimento uno dei momenti dell’arte più alti a livello internazionale. Nel febbraio del 1968, la Galleria De’ Foscherari, inoltre, ospitava una delle prime mostre dedicate al movimento battezzato poi “Arte povera (Note per una guerriglia urbana”), che ha tratto la denominazione dall’allora sperimentazione del ‘teatro povero’ di Jerzy Grotowski. Germano Celant, in quella occasione, scrivendo per il Quaderno della Galleria De’ Foscherari sottolineava “l’esigenza di identificarsi con l’azione e il processo in corso, la tensione ad attivizzare la dimensione psicofisica del comportamento fattuale e mentale per sfuggire all’utilizzazione del prodotto originato e dell’oggetto creato, siamo cioè al tentativo di uscire dall’integrazione oggettuale per sbloccare ogni sperimentazione fattuale dall’alienazione all’oggetto e dall’oggetto”. L’intento in piena contestazione giovanile sessantottesca era quello di liberarsi dalle costrizioni del museo e rifiutare i precari condizionamenti di una società ricca e consumista, assumendo e impiegando volutamente materiali di scarto, poveri, inutili, con lo scopo di evocare un momento magicamente primitivo e primario del linguaggio, a suggellare un rapporto primordiale, affidandosi alla conseguente azione” performativa” e alle installazioni come possibile confronto tra opera aperta e fruitore, tra oggetto e ambiente circostante, indirizzando così la ricerca verso un concettualismo dei materiali e degli archetipi primari.
Fra i “maestri ispiratori” di questa “identità estetica” risulta essenziale l’apporto creativo di base di Marcel Duchamp, maestro del ready – made, e degli oggetti inutili, tuttavia, l’Arte Povera nasce anche dalle sperimentazioni compiute negli anni Cinquanta da due grandi artisti italiani come Lucio Fontana e Alberto Burri, che utilizzavano da qualche anno la materia anche di scarto come realtà autonoma. Da non dimenticare anche un precursore “dei relitti recuperati” come Ettore Colla. L’Arte Povera, contestualmente alle proposte apportate da altri movimenti come la Pop Art, il Minimalismo, la Land Art, il Nouveau Realisme di Pierre Restany e anche le proposte concettuali di Joseph Beuys, cercava un diverso approccio con la realtà apportando nuove strategie dell’uso dei materiali eterogenei e una libertà di azione non precostituita. In quegli anni, Germano Celant affermava che l’Arte Povera si manifestava essenzialmente “nel ridurre ai minimi termini, nell’impoverire i segni, per ridurli ai loro archetipi”. Alcuni di loro come gli artisti presenti al Maxxi manifestano un interesse esplicito per tale ipotesi, mentre qualche altro come Alighiero Boetti e Giulio Paolini, preferirono proporre un’arte più mentale e concettuale.
Di questa serie di grandi mostre – evento per raccontare e storicizzare il movimento, la critica che facciamo all’americano Celant è quella di spiegarci come mai vi siano presenti soltanto 13 artisti; i più conosciuti (Anselmo, Merz, Penone, Fabro, Kounellis, Pistoletto, Zorio, Paolini), escludendo altri personaggi di primo piano del Movimento come Gilardi, Parmiggiani, Mattiacci e persino Fabio Mauri; un artista di rilevante spessore culturale e di vasta esperienza. Se lo scopo era quello di avere una lucida analisi del fenomeno “poverista”, tale scelta restrittiva, – secondo noi – nega una doverosa e lucida indagine storica sui diversi apporti dati all’intero movimento. Rimane comunque, uno dei primi progetti complessi e ambiziosi, un’operazione progettuale “pilota”, che vede l’Arte Povera dislocata in diverse città e in varie sedi museali. Una formulazione che per la prima volta instaura la collaborazione collettiva ad un specifico progetto culturale con la dovuta attenzione e partecipazione del critico militante affiancato dai diversi direttori dei musei nei quali le singole mostre si svolgono. Praticamente un confronto critico fra due punti di vista non per forza uniformati; quello di Germano Celant e quello dello studioso distaccato con una visione dell’Arte Povera motivata in considerazione del contesto critico attuale di oggi. L’Arte Povera è nata come un movimento rivoluzionario, in contrapposizione con ciò che sussisteva in precedenza. Oggi appartiene alla storia dell’arte, ma qualcuno ha perfino azzardato che l’Arte Povera è ormai finita, affermando “che nelle loro arterie non scorre più la ricerca e il desiderio delle utopie al servizio del risveglio delle coscienze, ormai anestetizzati e decisi a mantenere il potere acquisito”, rimanendo assorbiti volutamente dal sistema dei musei che un tempo hanno tentato in tutti i modi di combattere e rifiutare. Praticamente un’arte nata povera che ormai ricca e importante porta all’incasso quella particolare e felice stagione culturale.
sandro bongiani
mostra visitata il 7 ottobre 2011
dal 7 ottobre 2011 all’ 8 gennaio 2012
Omaggio all’Arte Povera
a cura di Anna Mattirolo e Luigia Lonardelli
MAXXI, Museo nazionale delle arti del XXI secolo
Via Guido Reni 2, Roma
martedì, mercoledì, venerdì, domenica 11.00 -19.00; giovedì e sabato 11.00 – 22.00
(la biglietteria chiude un’ora prima del museo)
chiuso: lunedì, 1° maggio, 25 dicembre
intero € 11 ridotto € 8
+39 06 3225178 www.fondazionemaxxi.it
[exibart]
Una domanda a proposito della mostra
Arte Povera 1967-2011
Posto che uno dei tratti maggiormente connotanti l’arte contemporanea è che essa è figlia ed espressione del proprio tempo e che in particolare questo assunto vale per l’Arte Povera legata indissolubilmente ad un periodo storico, tra la fine degli anni ’60 e gli inizi degli anni ’70, del tutto peculiare se non unico, è criticamente e storicamente corretto definire appartenenti all’Arte Povera, opere, ho detto opere quindi non parlo di autori o influenze, concepite e realizzate negli anni ’80, ’90 o addirittura fino al 2010, in un contesto storico, quindi culturale ed artistico, totalmente altro?
Dato che lo stesso Celant, agli inizi degli anni ’70, ha decretato la fine del movimento e giustamente nel manifesto del 1967 poneva il problema dell’artista “costretto a produrre un unico oggetto che soddisfi fino all’assuefazione il mercato”, non crede che presentare come opere di Arte Povera lavori, pur degnissimi, ma prodotti con 30 o 40 anni di ritardo non sia come se presentassimo come opere dada o come opere surrealiste o impressioniste o futuriste lavori creati decenni dopo la fine di questi movimenti?
alberto esse
Piacenza
albertoesse@libero.it
Io credo proprio che si possa fare. Il punto non sono le etichette e le definizioni quanto i contenuti. C’è un ‘opera di Luciano Fabro (giornale quotidiano steso a terra -pavimento (tautologia),1967) che è riproducibile da chiunque in casa propria, ed è sempre freschissima ed attuale. Recintare tutto agli anni 60-70 mi sembra una scelta ottusa. Giudichiamo ogni opera, ogni contenuto, proveniente da quel movimento senza tante sovrastrutture. Il punto è la qualità e non la data di realizzo.
Il problema, come giustamente rileva alberto esse,è che questi lavori funzionano nei dieci
minuti successivi alla loro messa in scena, poi non funzionano più.
Ma è una costante della maggior parte dell’arte contemporanea.
Allora, per farli stare in piedi, servono
apparati esterni che supportino auraticamente
qualcosa che è già necrofilia e non si reggerebbe mai da solo.
L’ Arte Po/vera del Germano Celant
Alberto Esse, Luca Rossi, l’arte povera è figlia degli anni 70; un contesto storico e sociale indubbiamente diverso dal nostro. Tuttavia, dobbiamo convenire che alcuni artisti di questo movimento hanno continuato a lavorare con originalità apportando elementi e apporti direi interessanti anche nel nostro presente, vedi per esempio Giuseppe Penone.
Quello che non capisco è come mai l’americano, Italiano o “Germano” Celant (si fa per dire), da brano “affabulatore”, ha orchestrato queste mastodontiche mostre con una inaspettata messa in campo di forze e opere poi speditamente messe all’asta a prezzi iperbolici.
Mi chiedo: è’ stata una occasione appetibile organizzata a tavolino o semplicemente un caso del momento.
A titolo documentativo riporto il pezzo del testo scritto in quei giorni (15 ottobre 2011) sul mio blog.
Vedere: http://www.exibart.com/blog/blogmsg.asp?idblog=6157#commenti
Cordiali Saluti, Sandro Bongiani
A gipeto:”Ma va là”.
Il mercato esista ovunque, e non mi interessano nemmeno le etichette.
Mi interessano le opere e quanto loro possano rimanere attinenti al presente sempre.
Un’opera come quella di Luciano Fabro: Pavimento (tautologia) riesco a farlo, come lui Anselmo. Pistoletto, insieme a loro nella mostra di Bologna, è palesemente fuori tempo e per sopravvivere deve succhiare linfa giovane ai giovani che invita nelle sue residenze a Biella (giovani che poi ovviamente si perdono scartati come fossero una lattina di coca cola).
Luciano Fabro : http://www.google.it/imgres?q=luciano+fabro+pavimento&um=1&hl=it&biw=1467&bih=943&tbm=isch&tbnid=wlyj0TNMduIlIM:&imgrefurl=http://www.museomadre.it/it/opere.cfm%3Fid%3D140&docid=w9KV6SBKXxAoYM&imgurl=http://multimedia.museomadre.it/foto/web/opera140_museo_madre.jpg&w=800&h=711&ei=JDioToiYOaik4ATTxuUb&zoom=1&iact=rc&dur=379&sig=112813689606355753280&page=1&tbnh=131&tbnw=145&start=0&ndsp=40&ved=1t:429,r:0,s:0&tx=88&ty=92
TROPPI DUBBI!!!
Caro Luca Rossi, tu dovresti sapere benissimo che l’arte, quella autentica, non risponde solamente a un immediato presente ma guarda con un occhio al momento contingente, al presente, e intanto aspira a rivelarsi e conformarsi come possibile eternità. Solo in questo modo può materializzarsi come opera d’arte. Mi fa piacere che tu riesci fare le opere che hai visto a Bologna. Come Fontana potrei dirti: perché non li hai fatti per prima tu nonostante la dannata “tautologia”, che tu cerchi di indicarci come soluzione “fuori tempo”? Secondo le tue personali convinzioni, cosa intendi per “fuori o dentro il tempo”?
Pistoletto? so soltanto che l’artista piemontese ci ha dato qualcosa di più che i soliti “succhia ruote” non ci possono mai dare.
E poi, i giovani, quali giovani, quelli individuabili da un’età anagrafica accertata o chi a 70 anni continua ancora a creare e fare poesia.
Cordialmente, Sandro Bongiani
@Sandro Bongiani: nel mio commento precedente c’è un errore. Intendevo che quell’opera di Luciano Fabro rimane sempre fresca e contingente (il quotidiano a terra). Il “posso farlo anche io” è assolutamente un valore, perchè ci dice che l’arte non è qualcosa di staccato dal mio presente, qualcosa di artificiale.
Pistoletto rimane ampiamente sopravvalutato soprattutto in relazione a ricerche precedenti a lui in tutto il mondo. La recente retrospettiva al Maxxi era per molto aspetti ridicola. Non serve salvare una o due opere, non serve sventolare l’happening anni 70….che era cosa assodata già in quegli anni…
Pistoletto ha avuto un buona intuizione nel fare la fondazione a biella a metà anni 90. E i giovani che passano da lì sembrano rivitalizzare Pistoletto anche nei confronti della scena internazionale. Con il risultato che Pistoletto permane con i suoi discorsi da setta anni 70 sul Terzo Paradiso (?) e i giovani che passano di lì spariscono, come confezioni di linfa giovane usate e buttate. Dinamica perfetta per descrivere il paese per vecchi, l’occidente per vecchi in cui siamo calati.
Luca Rossi