“…la precisione per gli antichi egizi era simboleggiata da una piuma che serviva da peso sul piatto della bilancia dove si pesano le anime…“. Il rapporto tra “peso” della materia e “leggerezza” dell’idea guida l’esposizione di Francesco Granito, classe ’54, scultore di Apricena che vive a Bari.
Tra arte concettuale e istanze new-dada, l’impianto materico viene ammorbidito dall’evocazione. Mirella Casamassima ne rileva “leggerezza” ed “esattezza”: è evidente la ricercatezza certosina con la quale Granito scolpisce il marmo di Carrara o la pietra di Lecce, smerlettati e cesellati, levigati fino a renderli – con un abile effetto trompe-
Il divertissement è nei titoli, che complicano o semplificano intenzionalmente la lettura dell’opera. Centrato in “Me ne vorrei andare su in un’isola deserta“, il titolo rappresenta un limite, se didascalico, lì dove si vuole evocare: in “Ti lancio un pensiero”, ne “Il libro è una farfalla” e in “Icaro” (la splendida installazione in terracotta dell’ala frantumata del semidio, schiantatasi sul terreno: meglio sarebbe stato collocarla a cielo aperto… l’immenso spazio del castello lo permette). E “Scultura di pioggia” – studio in metacrilato sulla percezione visiva della rifrazione – ne è sinceramente danneggiato, contraddicendo la volontà dell’artista di “togliere peso alla struttura del racconto e del linguaggio”.
Intriganti per un pubblico non allenato al contemporaneo, le opere costruite sul concetto del “doppio” e dell’allusione appaiono dei deja vù per gli altri: “Il conscio e l’inconscio”- suggestiva installazione giocata su una falsa riflessione del proprio
Gli ideatori –ma chi sono questi “curatori” fantasma? – del ciclo “Ars in Castrum” esprimono l’intento di voler promuovere “giovani artisti emergenti”, ma il progetto dov’è? Da questo primo saggio supponiamo si tratti di una rassegna di artisti già navigati, preferibilmente di ambito locale, mascherata dall’etica “promozionale”. Una vetrina più consona ad una galleria privata che ad uno spazio istituzionale. Denotando la già nota carenza curatoriale del museo civico barlettano, l’approssimazione e il provincialismo che ormai paiono cronici.
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Il deja vù di Granito,oltre che a ricordare lo Studio Azzurro e Giulio Paolini...ricorda soprattutto le ultime sculture di Antonio Trotta. E' possibile che i soldi pubblici in Italia,al nord come al sud (in questo caso a Barletta) si sperperano in questo modo? Sono lontani i tempi della "Disfida"...e quelle sculture poi...sono proprio di granito.Un pò di dignità...caro amico scultore,definisciti piuttosto "artigiano",per riscoprirti un grande artista...ma come copista però,intendiamoci,che non è semplice.
A proposito del daja-vùe, che ci piaccia o nò, viviamo tempi di inevitabili contaminazioni a tutti i livelli, perchè non anche artistiche? L'essere associato a Paolini ed allo Studio Azzurro non mi offende. Ricordare le ultime sculture di Antonio Trotta, può darsi sia cosa vera (anche se non conosco assolutamente i suoi ultimi lavori). Certi concetti e sansazioni sono nell'aria ed è possibile che sensibilità affini possano ricorrere, inconsapevolmente, ad immagini e linguaggi simili. Sei un pò indietro nel tempo "caro amico" Riviello : fin dagli anni settanta il Post-Modern e la Transavanguardia gridavano a gran voce l'importanza delle contaminazioni linguistiche. Nel "l'ideologia del Traditore" (Achille Bonito Oliva - 1976) si riscopre il manierismo del secondo Rinascimento come grosso momento culturale della storia dell'arte. Prima di sentenziare in un modo così perentorio bisognerebbe informarsi e soprattutto vederle le mostre, "caro amico" Riviello, non giudicare sulla base di tre piccole foto apparse su Internet. E' assai superficiale e presuntuoso da parte tua, non ti pare ? In quella mostra c'era quasi un decennio di ricerca artistica (1994 - 2003), non tre fotografie, ma c'erano 15 lavori quasi tutti diversi tra loro per stile ma, legati da un unico filo conduttore: il contenuto che di volta in volta condiziona il linguaggio. Lo stile, quello che per te è un ossessione, ti porta a giudicare in modo banale, riduttivo, schematico, svuotando i contenuti, che sono la vera essenza dell'arte. Lo stile, per me, ha una importanza relativa. Per quanto riguarda il tuo suggerimento di definirmi un artigiano sono d'accordo. Con fierezza dico che tutta la mia ricerca muove dall'uso caparbio della manualità lanciato contro gli automatismi globalizzanti di un mondo fatto di gente che, come te, si affida ciecamente alla realtà virtuale anzichè viverla direttamente. La mia manualità che tu confondi con artigianato, è sempre sorretta da concetti, da idee portanti da un filo conduttore che tu non potrai comprendere se presti attenzione solo alle tre foto. Per quanto riguarda lo sperpero del denaro pubblico, è opinione diffusa, dalle nostre parti, che tutto ciò che arriva da lontano e possibilmente dagli U.S.A. è degno di rispetto e meritevole di qualunque spesa. Tutto ciò che nasce dalle nostre sensibilità ed intelligenze non supera mai il filtro severo dei geni di turno che con infinita presunzione e superficialità sostengono che investire per queste potenzialità è sperpero di denaro pubblico.