Un lungo brano di storia si snoda fra decine di ettari di uliveto, nel parco archeologico di Scolacium. Archeologico in senso più classico, data la presenza di vestigia romane innanzitutto, ma altresì archeologia industriale, con frantoi che appartengono a un passato che, fra qualche anno, risulterà altrettanto distante dall’odierna percezione della realtà. In questo ambiente sublime, da un triennio Alberto Fiz cura la rassegna Intersezioni, con una pletora di figure politico-istituzionali a sostenere il progetto. Dell’una –la location– e dell’altro –l’humus politico– hanno già detto negli anni scorsi Manuela De Leonardis e Santa Nastro. Da aggiungere v’è soltanto che, se nel 2006 i quotidiani locali avevano mosso critiche piuttosto aspre al progetto di Antony Gormley, quest’anno, come d’incanto, quattro quotidiani sono divenuti media sponsor dell’iniziativa. Le conclusioni le lasciamo trarre ai lettori.
Veniamo alla mostra, ch’è senz’altro l’aspetto più interessante. All’esterno ha operato il trio, mentre negli spazi interni si sono cimentati soltanto Balkenhol e Marc Quinn (Londra, 1964). Quest’ultimo s’è occupato dell’emiciclo teatrale, installando sul proscenio un sensazionale Totem (2007). Totem che volta le spalle alla cavea e ha le fattezze di Darth Vader, celeberrimo antagonista della saga di Guerre stellari. A contorno della pesantissima icona (cemento e ghisa i materiali utilizzati), alcune sculture di sicuro impatto, ma che difettano della coralità che ci si potrebbe attendere in funzione del luogo prescelto. Si tratta ancora d’una ricontestualizzazione in un caso, la prorompente Hoxton Venus (2006), e di un trio di bronzi ricoperti da patina nera datati 2004, che contrappuntano il bagliore della luce accecante che invade quella terra. Ritroviamo l’artista britannico nelle sale del Museo archeologico, dove si rivela ben riuscito il pericoloso accostamento di tre marmoree sculture accanto a figure decapitate d(a)i secoli trascorsi.
Stephan Balkenhol (Fritzlar, 1957) ha preso in carico la grandiosa Basilica di Santa Maria, installandovi uno scafo ligneo di otto metri (Das Boot, 2006), adornato da rilievi che, tuttavia, tendono a passare in secondo piano rispetto alla grandiosità dei volumi circostanti e sottostanti. È la medesima sorte che subiscono le altre sculture in esterno, certo visibili ma sovrastate dell’aerea fascinosità dell’edificio. E finanche il diametro di nove metri della Krone (1997) pare soccombere alla naturale maestosità dell’ulivo che funge da decentrato centro della circonferenza. Di tutt’altro esito godono le figure in bronzo e legno che sbucano da vari angoli all’interno del Museo del frantoio. È d’altronde negli spazi chiusi che il tedesco riesce a dare il meglio di sé, come dimostra la personale allestita in questi mesi al Pac di Milano.
Contrariamente alle previsioni, Wim Delvoye (Wervik, 1965) ha scelto una strada diametralmente opposta. Non ha optato per l’agonismo, non s’è provato a competere a muso duro con l’immenso foro, punteggiato anch’esso da secolari ulivi. Ha accettato lo scenario della battaglia in campo aperto, ma senza schierare le sue armate in acciao corten. Le ha ingentilite con ferrei ricami, ne ha sfruttato appieno l’intrinseca capacità d’arrugginirsi, cosicché paiono lì da sempre, o quasi, relitti o reliquie del passato.
Insistenti ma non clamorose, alla ricerca di qualche metro quadro d’ombra. Restìe al confronto, in apparenza, mentre sono tenaci almeno quanto gli ulivi. Sarebbe quindi auspicabile che restassero laggiù, almeno il Caterpillar (2003), la Betoniera (2003) e il Dump Truck (2006). Scolacium potrebbe così divenire un parco che copre un’altra manciata di secoli.
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direi di più: guardando le opere di swallow si riconoscono pure: hirst, gober, chapman, bertozzi e casoni, wurm... O è un genio o l'artista più inchiappettato della storia.
Dovere di cronaca: mi segnalano una imbrazzante somiglianza fra il Totem (2007) di Marc Quinn e Model for a Sunken Monument, version 2 (2000) di Ricky Swallow. Giudicate voi, confrontando l'opera del primo pubblicata in questa pagina con il lavoro dell'australiano, che potete osservare a questo indirizzo: http://museum.antwerpen.be/middelheimopenluchtmuseum/NL/T_rickyswallow.htm