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10
maggio 2014
Frida for ever
altrecittà
La retrospettiva in corso a Roma è l’occasione per tornare su questa artista. Che, diventata un’icona femminista e rivoluzionaria, rischia di non essere guardata per quello che veramente ha fatto. E invece Frida Kahlo è una grande pittrice. La cui arte non nasce solo dalla sofferenza e da altre vicende biografiche. E che per questo occupa un meritato posto nella storia dell’arte del Novecento
Chi è Frida? Qual è la vera identità di questa artista e donna che è finita nella scatola della rivoluzionaria e femminista? Della martire, della trasgressiva? Perché è ormai diventata un’icona mondiale?
Non sappiamo davvero chi fosse Frida Kahlo Calderòn (nata nel 1907), ma sappiamo che a cercare la sua verità dentro una qualunque categoria (femminista, artista naif, vittima o icona) le si fa torto.
Frida è come Balzac, come Dante, un’artista totale, non la si può conoscere mai del tutto ma solo attraverso il prisma sfuggente delle sue molteplici manifestazioni vitali e artistiche: Frida e la pittura, Frida e la fotografia, e le donne, e il Messico, e Diego.
Frida un’icona? Si, almeno, di se stessa. È lei l’immagine dei suoi quadri, è lei che campeggia negli scatti di Tina Modotti, tappezza di sé i suoi oggetti (i corpetti), arreda la sua casa, invade le feste di Diego Rivera coi suoi atteggiamenti provocatori, si traveste da uomo, riempie la storia del Messico, porta la bandiera delle donne. E non c’inganni, persino le sue nature morte sono come lei si vedeva, sono suoi autoritratti: rappresentazioni di sé attraverso oggetti e loro simbologia. E così l’anguria spaccata “la vida abierta” è un crudele simbolo d’erotismo. Immagini però che negli ultimi anni della sua vita tendono a disgregarsi in forme e colori, si sfaldano in rappresentazioni espressive pure, come raccontano Risa, Miedo, Paz, Inquietud. Opere, insieme a molte altre in mostra a Roma, alle Scuderie del Quirinale (a cura di Helga Prignitz-Poda, fino al 31 agosto) in una rassegna che riunisce molti capolavori provenienti da collezioni, raccolte pubbliche e private, del Messico, Europa e Stati Uniti, tra cui il celeberrimo Autoritratto con collana di spine e colibrì del 1940 e l’Autoritratto con abito di velluto del 1926, dipinto a soli 19 anni ed eseguito per l’amato Alejandro Gòmez Arias, che l’abbandonerà dopo il primo incidente che la paralizza a letto per molto tempo.
A differenza di quanto sembra suggerire il primo impatto, non è facile orientarsi in una massa così viva di pittura e di simboli. Semplificare per comprendere o per etichettare, toglie l’essenza di cogliere una pittrice che non si presenta come un blocco conchiuso di marmo. Incasellare in un solo aspetto un’artista che in fondo mostra «identità di essere umano che non lo è ancora, che lo sta diventando» (Carlos Fuentes), vivace enigma che raffigura il suo divenire, non rende merito alla sua arte e alla sua straordinaria seppur breve vita.
Pur non ricevendo mai una vera e propria formazione nelle arti plastiche (ma sarà premiata per il disegno) nasce in lei il bisogno di esprimersi con l’arte. Accade dopo l’incidente che a 18 anni la costringe a letto, decide di abbandonare gli studi di medicina, si insinua in lei il desiderio di diventare pittrice. E decisivo sarà l’incontro con Diego Rivera.
Da quel momento molte cose accadono, dalla pittura eseguita orizzontalmente dal letto con uno specchio fissato sul soffitto che le permette di ritrarsi fino a diventare maestra (all’Accademia delle Arti Esmeralda) instancabile che accoglie in casa i suoi pochi allievi, i suoi Fridas, ironicamente ritratti come scimmie, per farli dipingere, spingendoli però all’indipendenza, dando loro il suo tocco personale nell’allestimento di mostre ma senza mai imporre il suo stile pittorico.
E la sua vicenda artistica non nasce dal nulla. Affonda le radici nell’antichità: in casa sua c’erano pubblicazioni storiche e riedizioni di codici aztechi e maya. Frida li rielabora come strumenti utili a plasmare una sua nuova mitologia. Omeototi, la doppia divinità assume il doppio uomo-donna, vita-morte. La dea Coatlique, indossa vesti di serpenti e un corpetto con cuori sanguinanti, incarnata nell’Autoritratto con collana di spine e colibrì, che per la prima volta arriva in Italia. E da qui comincia ad esercitarsi su un tema molto moderno: il “doppio”. Nei suoi diari racconta come nasce il doppio autoritratto, “Le due Frida”, la prima scissione della sua personalità. In un contesto famigliare, a volte difficile, la via di fuga è «disegnare con un dito una porta da cui uscire» e la piccola Magdalena Freida, come Alice nel paese delle meraviglie, sbuca fuori da quella porta con la sua immaginazione, e con grande allegria.
Frida è anche parte della storia del Messico, civiltà millenaria che a quell’altezza cronologica vede protagonisti lei e il marito Diego, che impegnati politicamente nascondono persino un “clandestino” il rivoluzionario russo Lev Trotsky, in fuga da Stalin, e con cui Frida intrattiene una relazione.
La cultura del Messico, fatta di ex-voto, popolare, ricca in retablos, che anche lei possedeva, si intreccia strettamente alla cultura cattolico-cristiana, che dopo la conquista di Cortez la impregna del forte senso di sacrificio ed eroismo. Per Frida rivolgersi agli ex-voto nella pittura è una forma personale di preghiera, una ricerca di aiuto nel superare le mille difficoltà che attanagliano la sua quotidianità (nasce con una malformazione, dopo l’incidente in cui rischia di perdere la vita, resta zoppa, claudicante). Dopo si convertirà a una forma di ateismo con l’aggravarsi delle sue condizioni di salute (va sotto i ferri sette volte) e rotta, rompe con la tradizione dell’arte pre-ispanica.
Resta però inestricabile un nodo arte-vita che investe tutti i quadri, anche quelli esposti alle Scuderie del Quirinale, in cui religione, storia e leggende, erotismo e preghiera si fondono fino ad assumere una forma a volte trasfigurata altre volte crudele della sua vita. Forse questo stretto nesso biografia-arte la spinge così viva verso il nostro tempo (fenomeno che spiega la popolarità oggi di Caravaggio o il forte interesse per le vicende biografiche di Artemisia Gentileschi) e ce la rende più vicina alla complessa vita del XXI secolo e le problematiche umane e sociali che l’accompagnano: la sessualità, l’aborto, la violenza sulle donne, gli scandali della politica e della religione.
Forte, seducente, drammatica Frida ha potenziato di sé l’arte moderna, intercettando le sfide delle correnti del suo tempo, il Surrealismo, lo Stridentismo e certi aspetti dei movimenti futuristi o della pittura metafisica (in mostra è presente un’opera di De Chirico)
L’antologica delle Scuderie del Quirinale è un appuntamento da non mancare, per non mancare a noi stessi! È una grande retrospettiva dove l’arte di Frida ci dà espressione di un immaginario dirompente e non di rado scandaloso, di una controversa outsider che ha saputo conquistare nella cultura globale del mondo contemporaneo un posto d’onore.