Nel 1935 Lionello Venturi pubblica un saggio sui QGL, ovvero i Quaderni di Giustizia e Libertà, sotto forma di impressioni di viaggio riportate dalla visita di Italia, Germania e Unione Sovietica. Lo storico dell’arte annota che uno dei tratti comuni ai tre totalitarismi è l’instaurazione di un sistema di controllo totale di qualsivoglia manifestazione individuale e collettiva di libera creatività e la repressione feroce di ogni fermento culturale, artistico, letterario. Ad accomunare Mussolini, Hitler e Stalin sempre secondo le parole di Venturi è il sistematico “assassinio dell’intelligenza”, il “piegamento dello spirito alla viltà della propaganda o della rassegnazione”. Due anni dopo Antonio Gramsci, fondatore insieme ad Amedeo Bordiga del Partito Comunista moriva, dopo ben quasi 11 anni di reclusione. Si narra che il ministro che emise la sentenza disse “Per venti anni dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare”.
Se fu realmente pronunciata questa frase o sia una delle tante revisioni storiche di Roderigo di Castiglia (alias Palmiro Togliatti) non lo sappiamo con certezza, certo è invece che dal 1926 fino alla sua morte Gramsci fu coattamente allontanato dalla vita politica e sociale del paese. Ma la sua mente, ahiloro, non si spense e durante il confino ad Ustica per 44 giorni, dal 7 dicembre di quello stesso anno fino al 20 gennaio 1927, ribaltò la sua condanna e fondò insieme al compagno Bordiga una scuola per gli isolani. «Quello che ho voluto raccontare è stato un grande esempio di resistenza concretizzatosi attraverso una soluzione rivoluzionaria, in quel momento l’unica possibile: l’istruzione». Chi parla è Emiliano Barbucci, regista di Gramsci 44, docufilm prodotto da RAM FILM con il sostegno di Film Commission Sicilia, nelle sale da qualche mese. Opera prima del regista calabrese, Gramsci 44 – di cui Americo Melchionda è attore (Amedeo Bordiga) e produttore, mentre Daniele Ciprì firma la fotografia, Emanuele Milasi la scenografia e Marco Betta, allievo di Morricone, la musica – racconta i 44 giorni del confino di Gramsci a Ustica.
«Sono arrivato ad Ustica per caso dopo la laurea per un progetto sulle isole maggiori del Mezzogiorno e parlando con i pescatori mi sono accorto che più volte facevano riferimento ai “compagni”. Allora ho chiesto loro cosa intendessero con questa parola e come mai la usassero così spesso. Mi raccontarono quindi della forte tradizione comunista nell’isola perché lì durante il fascismo venivano mandati i confinati politici. E poi uno tra loro aggiunse: mio padre ha imparato a leggere e scrivere da Gramsci. Così sono venuto a conoscenza della scuola e di quello che Gramsci e Bordiga riuscirono a mettere in piedi in meno di due mesi, lasciando un segno indelebile della loro presenza nella memoria degli abitanti». Paradosso della storia, la coscienza che doveva essere spenta ha acceso decine e decine di menti, ma non solo «una grande fetta dell’antifascismo infatti ha preso le mosse proprio dagli insegnamenti e dalle lettere che Gramsci stesso scriveva durante il confino – continua il regista – e se il fascismo come partito non c’è più, non possiamo dire la stessa cosa dell’antifascismo. Lo spirito antifascista è ancora in piedi, proprio perché si costruisce con il sapere, la cultura e l’istruzione».
Certo è impegnativo parlare di un mito del Secolo Breve come Gramsci, ma Barbucci lo ha fatto egregiamente, con rispetto e cortesia, con un riguardo e un’attenzione che non scivolano mai nell’eccesso ma mantengono i mezzitoni e i silenzi che avvolsero del resto la vita di quest’uomo per più di un decennio. «Volevo un Gramsci riflessivo, pacato che camminava lentamente e Peppino Mazzotta (l’attore che lo impersona) mi ha dato quello che cercavo ed anche di più. Non è semplice infatti costruire un personaggio realmente esistito rispettandone l’immagine che la collettività ha di lui. Di Gramsci esistono solo lettere, qualche fotografia e uno spezzone di pochi secondi in Russia durante l’Internazionale. Così ho cercato di disegnare un personaggio dell’immaginario a partire dalla realtà per renderlo credibile e non farne una caricatura». Il docufilm si struttura così in maniera polifonica disperdendo gradevolmente il film nel racconto e la fiction nella realtà, mentre la testimonianza concorre con la ricostruzione a fissare nel tempo la microstoria prima che si disperda nell’oblio.
Gramsci 44 è già stato già ospite in alcuni festival, tra cui la 14esima edizione de Il Cinema Italiano allo Spazio Oberdan di Milano, l’11esima edizione del Lucca Film Festival, il Festival Internazionale del Cinema di Frontiera di Marzamemi ed già sbarcato anche in America all’Italian Studies Brown University di Providence. Augurando al regista un felice proseguo, non possiamo che concludere con le parole di Gramsci, questo piccolo grande uomo la cui storia se alcuni uomini volevano obliare degli altri han fatto di tutto e continuano a fare per non dimenticare: “Tutti gli uomini sono intellettuali, si potrebbe dire perciò; ma non tutti gli uomini hanno nella società la funzione di intellettuali”, ed in postilla “così perché può capitare che ognuno in qualche momento si frigga due uova o si cucisca uno strappo della giacca, non si dirà che tutti sono cuochi e sarti”.
Serena Carbone