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Il contemporaneo a Dubai, oltre la fiera

di - 11 Aprile 2015
A Dubai ancora si racconta di quando nel 2009 arrivò la crisi finanziaria e le persone lasciarono nottetempo case, macchine, proprietà, per timore delle leggi locali che puniscono severamente il reato di bancarotta. Il parcheggio dell’aeroporto si riempì di Ferrari, Porsche, Maserati abbandonate, coperte di sabbia e con le chiavi inserite nel cruscotto. Un’immagine che circolò sul web che è quasi la versione araba della foto degli impiegati di Manhattan fuori dai grattacieli della finanza con la scatola degli effetti personali sottobraccio ai tempi della bancarotta di Lheman brothers.
A vederla oggi sembra che a Dubai la crisi non sia mai arrivata. Con la stessa velocità con cui il vento trasporta la sabbia del deserto in città, Dubai ha ripreso il suo ritmo vertiginoso di crescita. Grattacieli altissimi, proliferazione di cantieri in ogni lotto edificabile, enorme numero di auto circolanti, progetti su ingrandimenti, ampliamenti e quant’altro fino al prossimo grande appuntamento mondiale, il World Expo del 2020, il primo che si terrà nei paesi MENASA (Middle East, North Africa, South Asia). Rutilante e verticale, Dubai prova a diventare la città del mercato dell’arte. È qui che hanno sede le principali gallerie, che si svolge ogni anno a marzo la fiera di arte contemporanea più importante di quest’area geografica, e che Christie’s ha aperto la sua sede nel 2006 con le aste di Modern & Contemporary Arab, Iranian and Turkish Art, segnando all’ultima asta del 18 marzo 31 nuovi record mondiali.
Tutto questo, reso possibile grazie a una grande disponibilità economica e alla voglia di costruirsi un pedigree culturale accanto a quello finanziario, ha portato Dubai ad affermarsi come hub imprescindibile del mercato del contemporaneo, il cui cuore pulsante è la fiera Art Dubai. Giunta quest’anno alla sua IX edizione con 90 gallerie nazionali e internazionali, la fiera che ha chiuso i battenti il 21 marzo vede il numero delle gallerie aumentare ogni anno, divise tra la sezione contemporanea (la più ricca) e moderna (artisti del Novecento). Il focus (Marker) è rivolto ogni anno a un tema o un’area geografica, e quest’anno all’America Latina. A rappresentare l’Italia c’erano le gallerie Marie-Laure Fleisch (Roma), Giacomo Guidi arte contemporanea (Roma), Galleria Continua (San Gimignano, Pechino, Les Moulins), Laura Bulian Gallery (Milano) e Franco Noero (Torino).
Se a Dubai circola molta moneta, ad Abu Dhabi si progetta la città dei musei. Tra uno o due anni si andrà lì per vedere le sezioni dei grandi musei occidentali come il Guggenheim e il Louvre (per citare i più noti), al momento ancora solo cantieri. La città che ha invece storicamente il ruolo di capitale culturale degli Emirati Arabi Uniti è Sharjah, a una mezz’ora di macchina da Dubai. Qui i grattacieli non sono l’unico skyline urbano. Sharjah ha voluto mantenere la sua architettura originale e vi ha sparso i padiglioni di una raffinata biennale di arte contemporanea nata negli anni Settanta dall’iniziativa degli artisti e diventata oggi un appuntamento molto noto e apprezzato. Sempre a Sharjah merita una visita il Maraya Art Centre dove ha sede la Barjeel Art Foundation del collezionista Sheikh Sultan Sooud Al Qassemi. All’art center troviamo raffinate mostre come Aide-mémoire: footnotes (Part II), fino a ottobre 2015, e Accented (fino al 15 maggio), in cui sono esposte le opere di uno dei rari artisti ‘locali’ che si riescono a trovare, Lantian Xie, cinese di origine ma emiratino d’adozione.
Ma torniamo a Dubai, la cui visita rientrava nel programma del corso Executive Management dell’Arte e dei Beni Culturali del Sole24Ore Formazione. Tre sono i principali poli delle gallerie. Il primo è il quartiere di Al Quoz, un compound ricavato da una ex zona industriale, oggi un vero alveare di gallerie e studi d’artista. Dietro le tante porte chiuse (è marzo ma la temperatura è già molto alta e l’aria condizionata una salvezza) si trova lo studio di Mohammed Kazem, il più noto artista dentro e fuori il Paese. Le sue performances degli anni Settanta ricordano quelle di Penone, Klein, Beuys, ma in un periodo in cui l’arte contemporanea era negli Emirati un terreno ben poco battuto. Formatosi a Sharjah, le sue opere recenti sono una riflessione sulla carta e la superficie, che taglia con la punta di una forbice, a creare un effetto tridimensionale minimalista e poetico insieme. Influenzato dalla musica (Kazem è anche musicista), si ispira ai suoni per la realizzazione di opere figurative. Presente a diverse edizioni della Biennale di Venezia nel Padiglione degli Emirati Arabi Uniti, aperto in laguna nel 2009, Kazem sarà presente anche alla prossima manifestazione lagunare.
A dividere lo studio con lui, l’artista italiana Cristiana de Marchi. Le sue opere sono tele da lei stessa cucite a mano per creare mappe geografiche, scritture in Braille, con cui indaga temi politicamente caldi con linguaggi espressivi artigianali e insieme tecnologici. Di fronte al loro studio ha sede la galleria 1×1 di Malini Gulrajani, una delle 20 donne indiane più influenti al mondo. La gallerista, che un tempo trattava solo artisti indiani, ora si è aperta all’arte internazionale e l’installazione di otto artisti internazionali, We are not your native informers, è di grande effetto visivo.
Il secondo polo del contemporaneo a Dubai è l’Alserkal Avenue, un’altra sezione dello stesso compound che prende il nome dalla famiglia Alserkal, proprietaria dell’area, che attraverso la fondazione non-profit supporta artisti che non trovano normalmente spazio nel mercato. La fondazione non intende al momento costituire una propria collezione permanente ma ha annunciato un ampliamento ad altre gallerie e un programma di 6 residenze d’artista semestrali entro la fine dell’anno. La qualità della selezione operata dalla fondazione è subito evidente: tra i pezzi più belli il video I had no wings realizzato su commissione della Rolls-Royce Art Programme da Manal Al Dowayan, artista facente parte della piattaforma di artisti Edge of Arabia (mentre i giovani artisti emiratini si riuniscono sulla piattaforma U.A.E. Unlimited Arab Exploration). L’artista filma il mondo che le passa accanto durante un viaggio sul retro di un’automobile, condizione imposta dalle leggi dell’Arabia Saudita dove le donne non posso guidare. Fuori dal finestrino ombre, rumori, presenze che si avvicinano alla vettura rendono l’atmosfera angosciante, di notevole forza comunicativa.
Impossibile citare tutte le gallerie presenti nell’area, ma tra quelle che spiccano per la qualità del lavoro presentato citiamo solo la Green Art Gallery, Isabelle Van Den Eynde, La Galerie Nationale, Lawrie Shabibi e Carbon 12. Nel 2011 si è aperto qui anche l’unico museo privato di Dubai, il Salsali Private Museum, fondato da Ramin Salsali. Salsali ha voluto per il periodo della fiera, e fino a giugno, la personale di Hazem Harb The Invisible Landscape and Concrete Futures, una riflessione sulla Palestina degli ultimi anni attraverso la costruzione e la distruzione delle sue architetture civili. Salsali è un vulcano, parla dei suoi futuri progetti, del suo bisogno di innescare un discorso sull’arte contemporanea che generi cultura, dibattito, ricerca, e non si può che essere d’accordo con lui. Dubai è matura per un’offerta culturale più ricca e variegata, che non sia solo mercato.
Il terzo polo delle gallerie si concentra nel Financial District, un agglomerato di grattacieli ed edifici ultramoderni che ha al piano terra nomi di caratura internazionale quali l’Art Space. Fondata da una giovanissima Maliha Tabari alla fine dei suoi studi in California, la galleria si propone di portare artisti di ogni nazionalità, con un particolare interesse ai progetti di Public Art che comincia ora a essere conosciuta negli Emirati. Spiega Tabari che adesso si sta costruendo la cultura dell’arte per tutti, fruibile nei luoghi pubblici. A questo proposito segnaliamo la collettiva A Public Privacy, a cura dei già citati Cristiana de Marchi e Mohammed Kazem, alla Gallery of Light a Dubai fino ad aprile. A poca distanza l’una dall’altra altre gallerie come la Ayyam Gallery (opere di Afshin Pirhashemi sul ruolo delle donne in Iran), Cuarto (con una personale dell’artista emiratino Mohammed Ahmed Ibrahim), Empty Quarter (con fotografie di Steve McCurry di sceicche e personalità femminili che stanno cambiando il volto culturale degli Emirati).
In questa eccezionale offerta artistica che si crea intorno alla fiera di Dubai, tra gallerie, le aste di Christie’s e gli eventi collaterali, sorprende notare come gli artisti emiratini presenti siano relativamente pochi, a riprova della giustezza di quello che sosteneva Ramin Salsali sulla necessità di un discorso culturale più ampio negli Emirati. Sembra che il Paese abbia derivato molto in passato della cultura dei Paesi vicini, come il Libano e la Siria, e stia cercando negli ultimi venti anni di produrre una sua cultura autoctona, per non essere solo una grande vetrina per il mercato degli artisti internazionali. Anche se gli artisti locali, da parte loro, non amano essere etichettati per nazionalità. Il blogger e gallerista Taymour Grahne invita a chiamare gli artisti mediorientali con i loro nomi e non per provenienza, una richiesta comprensibile ma non è solo esotismo se per un occidentale che si affaccia a questo nuovo panorama del contemporaneo è ancora difficile orientarsi senza il criterio della nazionalità. Comunque, tra i nomi degli artisti degli Emirati da tenere d’occhio per il futuro ci sono, oltre al già citato Mohammed Kazem, Ebtisam Abdulaziz, Lamya Gargash, Shaikha Al Mazrou, Hesam Rahmanian, Hassan Sharif e Hazem Mahdy.
Ma senza aspettare la prossima Art Dubai, per adesso l’appuntamento è da maggio al padiglione degli Emirati Arabi Uniti alla Biennale di Venezia, in cui esporranno 14 artisti intorno al tema 1980-Today, a cura della Sheikha Hoor bint Sultan Al-Qasimi, presidente e direttore della Sharjah Art Foundation.

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