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08
aprile 2018
Il mistero nello schermo
altrecittà
Nella società tecnologica pervasa da “forze invisibili” si situa il monumentale lavoro di Susan Hiller. Che alle OGR di Torino mostra come ci percepiamo nell’era digitale
L’artista statunitense Susan Hiller fa ancora parlare di sé, dopo la sua partecipazione all’ultima Documenta, con “Social Facts”, incubatore di tematiche sociali inspiegabili raggruppate in un unico grande progetto in mostra alle OGR di Torino, sino al 24 giugno 2018. La mostra collocata al primo binario delle Officine Grandi Riparazioni si estende intorno al fulcro dei temi cari alla Hiller: un’indagine che oscilla tra la fenomenologia del reale e il soprannaturale, fra innovazione tecnologica e psicologia, tra onironautica e dinamiche del quotidiano, conscio e inconscio, telepatia, sogni e incontri ravvicinati con oggetti non identificati.
Se la monumentalità è oramai da anni una pratica in voga tra gli artisti concettuali del mondo anglosassone, Susan Hiller osserva alla lettera questa regola senza mai dimenticare i suoi precedenti studi di antropologia, cinema, archeologia e linguistica, fonti che antepone a una spettacolarizzazione avveniristica dei media e da cui trae il primo tassello per l’ideazione e lo sviluppo del progetto “Social Facts”. Il percorso espositivo propone una serie di installazioni video alternate da stampe e proiezioni che mutano la percezione di uno spazio già di per sé tremendamente vasto.
Illuminazioni è un’opera dai tratti imponenti, una collisione visiva nel buio dell’hub che attrae e respinge lo sguardo, un incontro di un azzurro pallido del colore della stessa lunghezza d’onda della luce che, malgrado sorprenda per il suo bagliore straniante, cede il passo al nucleo fonocentrico del linguaggio (J.Derrida). Invero, l’audio è una miscela di voci e strumentazioni scientifiche: registrazioni di codici morse e di trasmissioni di radiazioni cosmiche che, a ben vedere, fanno da sottofondo a trenta minuti di storie, di racconti volontari, di confessioni di presunti avvistamenti alieni, tra incroci con raggi di luce fluorescenti e sfere luminose basculanti.
Susan Hiller, Channels, 2013, video installation with sound, dimensions variable. Installation view, Synagogue de Delme Contemporary Art Centre, Delme, France. © Susan Hiller. Courtesy Lisson Gallery. Photography: Oh Dancy.
Channels, invece, è l’opera audiovisiva più grande mai realizzata dalla Hiller. Composta da centosei monitor televisivi dalle dimensioni variabili, si tratta di un muro catodico vibrante che radia esperienze extracorporee, dimensioni alternative, testimonianze “pre-morte”, sostanze di “ricordi che esigevano attenzione”. Imbattendosi nello schianto fra “segno” e “referente” concepito dalla Hiller, ciò che rimane impresso è uno stordimento visivo e un considerevole numero di vicende capaci di ricomporsi e disfarsi come un bagaglio di immagini a distanza di tempo nella nostra mente: racconti come strumento d’indagine di quello che è al margine dei fatti umani, come studio sui “gruppi sociali”, come rivalutazione di un inconscio collettivo dimenticato.
Le storie s’intersecano tra loro, si sovrappongono, si confondono in un’alternanza di voci che non lasciano mai spazio alla rivelazione dei volti. Volti che s’intravedono appena nell’omaggio della Hiller a Marchel Duchamp: sei enormi stampe cromogeniche in cui il colore assorbe la personalità dei modelli ritratti lasciando lineamenti tenui a un mondo sfuocato.
Susan Hiller, After Duchamp, 2016-2017, 50 colour archival dry prints, 30.5 x 30.5 cm (each). © Susan Hiller. Courtesy Lisson Gallery. Photography: Jack Hems
Il lavoro s’ispira a una scelta ben precisa: il Ritratto del Dottor R. Dumouchel di Duchamp del 1910, in cui l’artista dipinge un giovane compagno dell’École Bossuet circondato da un’aura iridescente. La pittura concettuale di Duchamp da sempre in contrasto con il sistema preesistente della pittura retinica, ha favorito la destrutturazione dei canoni rappresentativi vigenti al suo tempo, e non solo, ha negato l’assuefazione al mondo reale, ha subito l’influsso della radiologia e della “fotografia medianica”. Pertanto “la perdita dell’aura” dell’opera in seguito all’avvento della sua riproducibilità tecnica (W.Benjamin 1935-1936) e il cambiamento epocale introdotto dai dispositivi tecnici nella creazione e riproduzione delle immagini, sono da sempre spunto di riflessione e d’indagine per gli autori contemporanei. Dello stesso ciclo After Duchamp, cinquanta stampe, ma questa volta di un formato ridotto, posizionate all’ingresso del percorso quasi a tracciare un termine, una linea Maginot tra due modi d’intendere l’opera d’arte, una sorta di confine che separa il prima e il dopo Duchamp. Tutto è rigorosamente anonimo, nel segno di una moltitudine influenzata dal progresso tecnologico e dall’omologazione dei valori estetici, stordita dai social media e dalle fake news, dalla riproducibilità meccanica e seriale dell’opera d’arte, d’altronde – come afferma la stessa Hiller – l’opera «Riassume enigmaticamente come ci vediamo nell’era digitale. Sapete siamo pixels, siamo luce».
Susan Hiller
Con l’omaggio a Duchamp e i riferimenti all’opera di Walter Benjamin l’artista non esaurisce il suo spettro d’indagine. Sulla stessa traiettoria che percorre la navata del binario delle OGR, ma questa volta al suolo, sono proiettate le animazioni digitali di From Here to Eternity, labirinti luminosi dal perimetro conforme alle antiche piante delle cattedrali gotiche: non sono nient’altro che un richiamo luccicante ai videogames anni ottanta. Con Psi Girls opera multischermo che proietta spezzoni di film hollywoodiani, l’artista continua le sue “ricerche di gruppo” inoltrandosi tra paranormale e poteri psichici; le sequenze sono tratte dai film The Fury (1978) di Brian De Palma; Stalker (1979) di Andreij Tarkovskij; Fenomeni paranormali incontrollabili (1984) di Mark L. Lester; Matilda (1996) di Danny DeVito; Giovani streghe (1996) di Andrew Fleming.
Svelando i tratti segreti della nostra società nel campo delle forze antropiche paranormali, l’analisi della Hiller ci consegna sicuramente un osservatorio misterioso e sterminato da cui attingere a lungo, una parte della nostra cultura moderna persuasa da tutto ciò che è invisibile.
Rino Terracciano