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Il mondo visto da Giuseppe Stampone

di - 11 Novembre 2014
Giuseppe Stampone è un artista che produce molto, riflessivo ma anche audace. Negli ultimi mesi ha realizzato diverse mostre in Italia, doppia personale con Eugenio Tibaldi ad Ascoli Piceno, la seconda a Bergamo, ed ora finalmente a Roma. Tutte mostre con lavori inediti, diversi tra loro ma con un’idea di fondo sempre presente. La mostra di Roma ha avuto complessa e lunga  gestazione, mesi di incontri tra il curatore Raffaele Gavarro e Stampone, mesi in cui il gioco tra riduzione e risoluzione l’ha fatta da padrone. La mostra, realizzata all’interno delle sale di Palazzo Poli, ai più nota come Calcografia, risulta essere una combinazione di sentimenti, di idee, di relazioni anche, che la rendono ben riuscita ed esaustiva.
L’elemento che da sempre accoglie lo spettatore nelle mostre di Stampone è il duplice binario di lettura, che è anche la cosa che probabilmente lo rende un artista a tutto tondo, capace di relazionarsi con il pubblico. I suoi lavori infatti si muovono essenzialmente su due livelli, uno di origine più estetica, l’altro con una profonda e seria riflessione di tipo politico. Che sia chiaro però da subito il concetto di politica di cui si vuole parlare, non il becero mondo di politici di cui sentiamo sempre alla tv, ma la politica in senso assoluto, l’idea secondo la quale l’arte deve rivendicare, nuovamente, una coscienza sociale, una identità tra chi la racconta e chi la legge.
La prima sala della mostra è un colpo al cuore, un sussulto di bandiere giustapposte, che raccontano, pedissequamente, le nazioni di appartenenza delle persone a cui è stato assegnato  il premio Nobel per la pace. Con buchi storici, che si riferiscono agli anni delle guerre mondiali, e con delle bandiere (vedi quella nazista) che suggeriscono riflessioni profonde in merito alla scelta di questi Nobel. Il lavoro di Stampone, con questo forte senso estetico, accompagna quindi lo spettatore in un viaggio di riflessioni, di pensieri, di approfondimenti. Fa pensare come il maggior numero di premi Nobel sia stato consegnato ai Paesi che più di altri hanno realizzato guerre, promosso tensioni politiche nel mondo, creato insidie. Dicotomie, paradossi di una realtà che viviamo e che speso siamo costretti a subire.
Anche la seconda sala è spiazzante, perché ci mostra i volti dei dittatori che sono esistiti, o forse addirittura avvicendati in varie parti del mondo, sempre con quel tratto delicato ma profondo della bic, che potremmo considerare il medium di Stampone. La perizia dei particolari dei volti per un attimo scosta il pensiero dal personaggio che abbiamo di fronte, ma poi di nuovo la mente naviga in direzione diversa, con quel senso di angoscia che l’artista pone come sottofondo. Non è certamente evidente, ma come non sentirsi angosciati nel passare da una sala in cui il tema sono i Nobel ad un’altra in cui i dittatori sono i protagonisti?
La mostra di Stampone però non dà tregua e prosegue, sempre affrontando argomenti complessi, altre sale che accompagnano lo spettatore in riflessioni, di tipo artistico a volte, con sfondo sociale in altre, come quando riporta tutti gli elementi del suo progetto sociale dal titolo “Solstizio”, in giro per il mondo dal 2008, realizzato insieme ad altri artisti. Una sorta di sociale network, in cui vengono evidenziati diversi modi di osservazione della realtà circostante. Postazioni interattive, fotografie, video, serviranno a creare la Global Education- definizione dello stesso artista- grazie alla quale verranno anche elaborati laboratori didattici per bambini.
Il titolo della mostra altro non è che una citazione di Antonio Gramsci: Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. (11 febbraio 1917).
In queste tre righe l’assunto dal quale si dovrebbe ripartire, spostando il baricentro verso un focus più intimo, laddove l’arte l’etica e l’estetica possano convergere in un’unica pratica artistica.
Non dobbiamo dimenticarci che Stampone è l’artista, forse l’unico artista, che volle sottolineare la tragicità del momento storico che visse la città de L’aquila, con quel suo lavoro potente ed indimenticabile, Saluti dall’Aquila, ed è l’artista che alcuni mesi fa ha realizzato un lavoro all’interno di un campo nomadi. Sembra somigliare molto a suoi colleghi sud americani per i suoi modi di fare arte, mai aggressivi, mai eccessivi, eppure dirompenti nel messaggio, che arriva secco ed incisivo, nonostante sia “scritto” con una penna bic.
Il suo lavoro, Saluti da L’Aquila, per sua stessa ammissione il più importante di tutti, perché vissuto realmente, non invecchia mai, ma purtroppo vive ancora una contemporaneità triste e sofferente. Proprio di ieri è infatti la sentenza di assoluzione della commissione Grandi Rischi. Dice Stampone: «Sono sei anni che la gabbia di ferro continua a trasformarsi in gabbia d’oro, nonostante ci siano stati indagati non cambia nulla, e i problemi dei cittadini de L’Aquila non si risolvono, le case fatte in tempi di record per il G8 sono pericolanti. Più il tempo scorre più il problema è acuto. L’Aquila, come dico sempre, doveva essere la città del rinascimento, con cupole d’oro, musei nuovi, ed invece tutta quella infatuazione si è persa. L’Aquila non sarà più quella di una volta, ma diventerà altro.
Il problema però è per tutte le calamità, per l’Emilia per L’Aquila, per Genova ora, non ci sono soldi, i pochi che ci sono servono solo a sostenere la politica stessa per il proprio tornaconto.  Il made in Italy sta perdendo i pezzi, le fondamenta sono crollati, balconi andati, giù, la gente de L’Aquila è sempre più depressa e  la situazione peggiora sempre più».
E  proprio domani Giuseppe Stampone è stato invitato al Maxxi in un talk il cui tema è Natura. Libertà o Limite?, dibattito tra l’artista, autore di Saluti Dall’Aquila 5 anni dopo (2014), Carla Di Francesco, Direttore generale della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Emilia Romagna; Giuseppe De Natale, direttore ‘Osservatorio Vesuviano INGV’, e lo studio SudArch, a cui si deve progetto del Parco della Memoria a San Giuliano di Puglia che oggi sorge sul sito una volta occupato dalla scuola elementare del paese, distrutta dal sisma il 31 ottobre del 2002.
Anche l’arte può servire a qualcosa.

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