Sembrerebbe l’ennesima mostra sul cibo, a tratti ridondante o ovvia, invece è un’esposizione agile e interessantissima che offre uno sguardo esaustivo sull’approccio al cibo di questi ultimi anni. E descrive con chiarezza la mission della Fondazione Marino Golinelli di Bologna che la promuove: arte e scienza al servizio «della società, ed in particolar modo dei giovani che rappresentano il futuro», come dice il vegliardo e vispissimo patron. “Gola, arte e scienza del gusto”, in corso alla Triennale di Milano (ospite e partner), si inserisce nel progetto pluriennale avviato dalla FMG nel 2010, di cui costituisce il quinto appuntamento, che intende divulgare i linguaggi comunicativi ed interpretativi nella scienza e nell’arte conferendogli pari dignità.
Il percorso della mostra si struttura tra exhibit scientifici e opere d’arte contemporanea, divisi in cinque aree tematiche, proporzionando perfettamente una parte divulgativa-didattica, con video informativi a scopo educativo, e una parte installativa – in cui la video arte occupa un grande spazio –proponendo nomi di eccellenti artisti internazionali quali: Marina Abramović; Boaz Arad; Sophie Calle; Gabriella Ciancimino; Hannah Collins; Cheryl Donegan; Christian Jankowski; Jørgen Leth e Ole John; Marilyn Minter; Ernesto Neto; Martin Parr; Anri Sala e Sharmila Samant.
Il progetto è nato da Giovanni Carrada, che ne cura la parte scientifica, in collaborazione con Cristiana Perrella, che si è occupata della scelta artistica. Una mostra duale, giocata sul rapporto tra il piacere di mangiare e la consapevolezza nell’atto della nutrizione, tra tradizioni culinarie locali e atteggiamenti gastronomici globali, con un percorso allestitivo che rispecchia questo confronto. Godere della proposta dell’arte quanto dell’apprendimento scientifico, è una risorsa che alimenta e nutre l’esigenza di gestire il gusto.
L’esposizione si apre e si chiude con opere video molto impattanti, veicolando fortemente il concetto di multisensorialità, come a descrivere la complessità dei fattori che determinano il gusto e coinvolgendo – o provando ad attivare – i cinque sensi dello spettatore. Ciascuna delle opere dei 13 artisti si lega ai diversi approfondimenti tematici con un taglio quasi didascalico, descrivendo gli aspetti della nostra contemporaneità culinaria: a partire proprio da “I sensi del gusto”, esponendo “I dilemmi dell’Onnivoro”, illustrando qual è il “Buono da pensare” e “I segreti del cibo-spazzatura” da evitare per avviarsi a “La ri-costruzione del gusto” (che si riformula periodicamente, come del resto i fenomeni umani, in un ciclo spiraliforme). Coinvolti nelle diverse sezioni, i sensi si intrecciano, indicando che il gusto si percepisce attraverso il sapore, il colore dei cibi, il loro profumo, la forma e il rumore prodotto nel masticarli.
Le opere che vertono sul valore culturale e identitario del cibo, hanno un ruolo emotivamente coinvolgente, dimostrando un dato antropologico curioso: ogni tradizione gastronomica fa riferimento ad una Nonna cuoca sapiente di cui si ha nostalgia, volendo ritornare alla genuinità delle origini, ma dalla quale ci si vuole al contempo affrancare, per tentare la sperimentazione. Appare evidente il richiamo a tutti, o quasi, gli attributi del nostro tempo: l’abbondanza e lo spreco, la celebrazione e la denuncia, i peccati di gola e la necessità di informazione. Da queste considerazioni prendono vita la proposta di un workshop che durante il periodo della mostra dà l’opportunità al pubblico di un allenamento culturale al cibo, e di un evento speciale, intitolato Il cibo, il cervello e noi previsto il 3 marzo, in cui un neuroscienziato, un filosofo, un cuoco e un’artista illustreranno i risultati di recenti ricerche scientifiche sulla collaborazione dei diversi sensi.
“Gola” è un suggerimento a potenziare il senso della vista e dell’udito, come del gusto, godendo con attenzione delle opere quanto del cibo, pur non eccedendo nell’alimentazione e nel ricercare l’origine del piacere. Le parole del curatore Carrada lo dimostrano: «La bocca è una finestra aperta sul nostro cervello, sulla natura umana in generale, e sulle sue potenzialità. Una finestra, per di più, che ognuno di noi può aprire per guardare cosa c’è là fuori (anzi, qui dentro). E non è roba per neuroscienziati. Tutti possiamo guardare con piacere. Anche perché se capiamo il gusto, possiamo capire anche altre cose su noi stessi. Comprese molte che con il gusto non hanno nulla a che fare».
Francesco Bonami d’altra parte, nel suo famoso “Lo potevo fare anch’io”, scrive che “l’arte è come il cibo, nessuno dice ‘non me ne intendo’ quando va al ristorante. È il cibo dell’anima e della mente”.