Categorie: altrecittà

INTERVISTA A BRUNO CECCOBELLI

di - 25 Ottobre 2011

Quando ha capito che sarebbe diventato un artista e quali sono le esperienze che le hanno indicato il percorso da seguire?

Da bambino volevo fare l’astronauta, nel ’61 Yurij Gagarin era il primo uomo ad andare nello spazio, lo ammiravo, sfidò un’impossibile missione ; contemporaneamente mi affascinava la figura umile del frate che io osservavo nelle mie terre umbre, venire nella mia contrada con l’asino a fare la questua, poi subito dopo l’amore per il disegno, Giotto, quel pastorello che io vedevo sulla scatola dei colori, Giotto che dipingeva una pecora su un masso sotto un albero, esaminato dallo sguardo stupefatto di Cimabue. Oggi che di professione faccio l’artista simbolico, trovo che questi due amori del mio passato risultino ben miscelati nella mia missione.


Quanto ha contato l’essere allievo di Toti Scialoja e quali sono i ricordi più belli di quegli anni?

Ho sempre considerato una fortuna essere stato allievo di Toti Scjaloia, abile pittore di livello internazionale di cultura eclettica, grande conoscitore delle letterature della fine Ottocento e primo Novecento, divertente poeta di filastrocche, amico dei pittori americani del’Action-painting . Il momento più toccante per me era l’inizio delle sue lezioni sempre  puntuali e che duravano regolarmente tre ore filate, all’avvio il maestro si concentrava  e voleva circa un minuto di silenzio assoluto da parte di tutti gli studenti, poi incominciava ad alzare le sopracciglia per qualche istante e immancabilmente alla prima parola, si impuntava; questa piccola fragilità lo rendeva, in contrapposizione alla sua affascinante oratoria, un mitico aedo.

La vostra generazione artistica rappresentava una gioventù che aveva degli ideali di cambiamento e che era convinta che l’arte aiutasse la gente a trovare una dimensione nuova, più spirituale, mi sbaglio? Trova che si possa dire lo stesso dei giovani artisti e non, di oggi?

Effettivamente quanto più la gran parte della nostra generazione era strafottente verso il sistema statale, ossessionata dalle ideologie e dalla partecipazione di parte alle ragioni rivoluzionarie  salvifiche, tanto meno i giovani attuali  stentano a trovare le motivazioni e la voglia di ribellarsi patendo questa attuale deludente assenza e mal funzionamento delle strutture sociali  politiche e governative nazionali; è l’impotenza della macrogestione di un sistema che ha mali e pregi di una imprescindibile  globalizzazione. Nel campo artistico in quegli anni Ottanta nasce l’ultimo gruppo artistico: la Transavanguardia, di li in poi c’è stata solo una ricerca individuale della propria indagine di campo. Personalmente la mia poetica ha avuto fin dall’inizio una forte carica simbolica spirituale, sono un teosofo, mi sono rivolto da subito alle culture orientali. L’arte porta con sè l’essere parte di una coscienza superiore. Io ho vissuto l’ascesa del successo del discorso di Joseph Beuys, ed aderivo in quel momento alle sue teorie sulla Terza Posizione, della “rivoluzione siamo noi” e della “scultura sociale”, poi discostandomi, ho portato avanti un mio discorso personale sulla Economia della Grazia. Oggi i giovani sono più esasperati del nostro passato, sembra che tutte le ideologie siano impotenti verso una vita senza più l’esistenza di lavori convenzionali; devono trovare la forza di vedere e creare ed imporre nuove idee, immaginare una nuova forma sociale oltre al sistema capitalista.


Parliamo dell’esperienza dell’Ex Pastificio Cerere, ci può raccontare un aneddoto interessante?

Per quanto riguarda la famosa esperienza della cosiddetta scuola di San Lorenzo, intrapresa in Via degli Ausoni  all’ inizio degli anni Ottanta, posso dire che per me ora è una esperienza conclusa, certo non era una scuola nè un movimento, non avendo, nessuno  dei nostri, formulato o firmato un manifesto poetico. C’era in quegli anni un certo confrontarsi continuo e contiguo, avendo gli atelier nello stesso palazzo Cerere, un fatto questo molto positivo per crescere l’uno sull’esperienza dell’altro; una serrata critica e forti discussioni operative sulla pittura o sulle vicende del mercato dell’arte che hanno alzato il livello qualitativo di ognuno di noi.


Mi interessa molto l’aspetto spirituale del suo essere artista, il suo modo di ricercare l’essenza dell’esistenza attraverso l’arte, ci può raccontare?

Raccontare quello che i quadri o le mie installazioni mi hanno insegnato con una sola risposta è difficile ma ci proverò, intanto credo che tutto quello che si immagina si possa poi realizzare veramente. L’arte o la poesia sono i soli mezzi con cui si dovrebbe leggere la realtà e regolarla, quindi sono per l’abolizione dell’economia capitalistica e della politica. Per ottenere questo, ci dovrebbe essere prima una vera metanoia sociale, la scoperta cioè che lo spirito è la parte più importante dell’individuo. Auspico una società basata sullo scambio dei doni senza più orologi o cognomi, dove tutti sono artisti e siano uomini di cosmo, con una vita pacificata con l’Assoluto.

L’impressione è che negli ultimi anni l’arte, come tutti i campi dell’esperienza, sia condizionata dalla moda e dal mercato, è sempre così? Qual è il modo per trovare un giusto compromesso tra qualità e guadagno?

Oggi nel mercato dell’arte contemporanea più che grandi mostre si hanno sempre più grandi mostri. Premesso che ho sempre lottato e sempre lotterò, con le mie uniche forze di artista minimo, per far si che tutti gli esseri umani diventino semplicemente artisti, portatori cioè di una coscienza di Grazia, senza mercato e per una società del dono, a questa sua domanda vorrei rispondere con ironia e malizia. Premesso anche che, se il gusto o il bello avessero delle regole precise  di definizioni uguali per tutti, allora un giorno potrebbe avverarsi un brutto sogno cioè che la scena dell’arte, (dico direttori di musei, di riviste,di fiere ,di fondazioni, di case d’aste, poi mercanti, galleristi, artisti,collezionisti), sarebbe sottoposta ad una burocratizzazione democratica da tipici curatori scrupolosi, diciamo tedeschi o inglesi. Un brutto sogno dove qualcuno potrebbe credere di poter  pesare, misurare, spiegare scientificamente tutta l’arte attuale; in questo senso si disporrebbe di una legge ferrea, come quella”reale” ( dell’onorevole Reale). Allora, per capire l’arte contemporanea  nascerebbero controlli tipo: fermo di polizia antiflagrante, centri d’igiene mentale, nuclei antisofisticazioni, l’antidroga, l’antiriciclaggio, l’antievasione, dipartimento investigativo antimafia, esami di etica e di storia dell’arte, quozienti di intelligenza per entrare nell’ordine degli artisti, per patenti di guida artistica, per antiperversioni, antiglobalizzazione, ecc…,  e uno psicopompo che misuri il peso dell’anima degli artisti morti. Ora, in questo surreale sogno, la popolazione  della scena dell’arte moderna presente, si potrebbe ridurre  ad una  percentuale dell’ uno per cento, facendo così felici chi vuol vivere arte abbastanza vera; ma risvegliamoci  da questo brutto sogno e ritroviamoci  nella gioiosa macchina da guerra del caos “magno” del mercato dittatoriale odierno.


So che l’esperienza in Senegal è stata particolarmente toccante per lei, come uomo e come artista, ci vuole raccontare qualcosa a tal proposito?

Nel Senegal a Dakar, sono andato agli inizi degli anni novanta per tenere un seminario nella locale Accademia di Belle Arti, un vero shock. Il Senegal è un paese all’equatore e tutta la natura è esagerata, colori e profumi sono straripanti come anche i ritmi dei tamburi ossessivi nel sottofondo dei rumori stradali; ho conosciuto molti artisti nei loro studi nell’isola Gorè, ho vissuto scontri in piazza, sono stato tra gli abitanti di sperduti villaggi e capanne isolate e ho conosciuto il loro carattere flemmatico, quasi zen, ho viaggiato nei deserti fino al lago rosa e ho ascoltato il rombo assordante dell’oceano Atlantico, mi sono riposato all’ombra dei grandi Baobab, una meravigliosa vertigine che ha condizionato tutti i miei anni ‘90, e che mi ha coinvolto in pitture solo di carte molto colorate.

a cura di ilaria carvani
*foto in alto:  Bruno Ceccobelli, Schöne Träume, 2010, Photo by Auro e Celso Ceccobelli
[exibart]

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