22 novembre 2011

INTERVISTA A GAIA SCARAMELLA

 
Abbiamo intervistato Gaia Scaramella, classe 1979, artista presente all'ultima edizione del Premio Cairo e attiva in questi ultimi anni della scena artistica contemporanea...

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Hai appena partecipato alla 12a edizione del Premio Cairo, in cui ciascuno degli artisti doveva presentare un progetto inedito da installare in uno spazio uguale per tutti. Tu che lavoro hai deciso di portare e per quale motivo?

Il progetto da me pensato ed istallato per il premio, s’intitola “Legami o Legami?” L’idea nasce dalla spazio dato, e cioè due pareti da 3,60 x 3 metri, un angolo retto, e l’opera lo coinvolge totalmente, da una parete all’altra. L’opera svela la sua lettura negli elementi che la compongono, dalle pareti ad angolo, i filati, fino alle mani stesse che racchiudono e  rievocano vene, arterie, capillari, legamenti, etc.
Le linee, di diverso colore e lunghezza, conservano concettualmente, nelle misure, l’estensione interna umana, nudi, in assenza di corpi, d’involucri e membrane. Come un abbraccio, come una morsa, vanno da parete a parete chiudendo e reticolando “l’angolo”, impedendone l’entrata . Stato di chiusura, blocco, Angoscia, dal latino angus = angolo stretto, significa: esperire una riduzione in fuori gioco, un “essere messi all’angolo”.
L’opera tocca il tema dei legami, del coinvolgimento stretto che molto spesso incastra, vincola ed imprigiona.
Dal titolo, due parole graficamente scritte uguali ma con due sensi diversi, ma anche due parole che si possono  leggere allo stesso modo, nell’uno o nell’altro senso.
…Al fruitore la scelta del senso e del verso!

Cosa ne pensi della vittoria di Giovanni Ozzola, che ha suscitato non poche polemiche?

Per quanto riguarda le polemiche sulla sua opera o su di lui come artista, oltre tutto legato ad una “certa galleria”, preferisco andar oltre. Non nego allo stesso tempo il mio disaccordo riguardo al Premio stesso.
Mi spiego, da artista invitata a partecipare, mi è stato chiesto di rispondere a dei parametri:
Primo: creare un opera inedita. Ma che vuol dire inedita?…anche questo può essere relativo!
L’inedito  per me, non consiste nel realizzare un elaborato, un tema, ormai più che assodato, esposto e datato, semplicemente variandone la forma estetica/espositiva. Ironicamente mi viene in mente una semplicissima “regoletta” matematica: “cambiando l’ordine degli addendi, il risultato non cambia!”
Secondo: creare un opera in relazione a quello spazio dato, site specific, ( a differenza degli altri anni, dove si prevedeva l’esposizione di un opera più datata con una più recente, accostandole), per me questi criteri erano un chiaro invito alla creazione di un opera istallativa, che avesse a che fare con altri parametri e linguaggi espositivi, ben lontani dall’idea di appendere a parete dei “quadri”. Rendere quelle pareti, non più solo pareti, ma un enviroment. Francamente mi rendo conto che facendo una veloce panoramica sui premi dati negli anni scorsi (salvo la vittoria di Masbedo, o in seconda istanza Pietro Ruffo, vere “mosche bianche” !), non si può non notare una certa tendenza verso una figurazione anche un po’ classica, nella maggior parte pittorica.
Perciò indubbiamente potrei dirmi che son stata io a “servire” l’opera sbagliata al contesto, ma dico pure che non avrei fatto assolutamente diversamente. Il signor Cairo, è libero e padrone di farsi la collezione a suo gusto, ma trovo ambizioso e forviante  (per certi artisti che lavorano con altri linguaggi, che a questo punto non andrebbero nemmeno invitati), la richiesta di fornire un opera che poi vuole essere un’altra cosa. Perciò trovo che non ci sarebbe niente di male intitolare il “Premi Cairo”, come premio d’arte figurativa, questo solo perché molti artisti, valuterebbero diversamente la loro partecipazione.
Ma comunque, tutto è grande esperienza, l’importanza, ed il confronto con la propria opera prescinde da qualsiasi premio, vincita e guadagno. “Tutto fa brodo e pelo nello stomaco”!…perciò serve.
 

 L’anno scorso ti abbiamo vista alla mostra collettiva Acthung!Acthung!, in cui ogni artista condivideva il dramma dell’olocausto, espresso in una sorta di percorso emozionale molto forte. Come hai vissuto quest’esperienza?

Beh,  è vero, anche in questo caso la mia presenza si è manifestata con un istallazione sicuramente legata al tema ma, con la mia opera ho cercato di “saltare, superare, andare oltre” la problematica in questione.
L’olocausto è indubbiamente  uno sdegno, una sospensione, un’interruzione del pensiero, della vita, della cultura pensante,della dignità umana e sociale. È la tragedia, il genocidio, più vicino a noi, non l’unico storicamente, forse nemmeno il più grave, ma sicuramente inaccettabile in quanto più recente, il più incompatibile all’idea di una società culturalmente avanzata e liberale come si spera sia oggi diventata la nostra.
Tornando, anzi cominciando, a entrare nel contesto dell’opera, ritengo che l’arte debba essere sempre e comunque propositiva, dal mio punto di vista, l’artista oggi non è chiamato a far cronaca, e nemmeno contestazione politica, per questo ritengo ci siano altri mezzi di comunicazione. Come dicevo pocanzi, l’opera d’arte deve essere  propositiva, deve fornire allo spettatore una nuova chiave di lettura, punti di vista innovativi ed immaginifici, perciò essendo stata “chiamata” a formulare un’immagine di pensiero riguardo una commemorazione come quella della “memoria”, non ho ritenuto opportuno rappresentare nello specifico, queste “pagine oscure” appartenenti alla brutalità umana e sociale.
L’opera narra il prima ed il dopo strage.
Ogni memoria (memory cards) comincia con dieci foto storiche, per lo più d’epoca, foto di famiglie, di classi studentesche, ritratti di gente comune o volti conosciuti storicamente, immagini sgranate in bianco e nero prese da album di famiglie e non solo, storie di famiglie ebraiche, racconti ed immagini che appaiono nel web, o su motori di ricerca, archivi, profili da social network. Immagini antecedenti alla discriminazione e deportazione.
 Nel mezzo, una foto quasi nera, che mi ritrae, un’ immagine buia e sgranata che mi rappresenta in un impercettibile ghigno di sdegno e disapprovazione. Questa foto funge da “sparti acque” tra le foto in bianco e nero del “prima” e quelle a colori del “dopo”. Le altre dieci immagini rappresentano la contemporaneità, immagini che raccontano il presente, il domani, fotografie che parlano di una rinascita, valori propositivi, figli del superamento.
L’ installazione, “Memoria dell’altro ieri, memorie di dopodomani”, consiste in un tavolo d’epoca con quattro sedie, rivestito in formica bianco e celeste, con gambe in metallo e struttura in legno.
Il classico tavolo, memoria familiare, che si trovava nelle cucine, dove le famiglie “accalcate” si ritrovavano a mangiare e a confrontarsi quotidianamente, ed a consumare lì l’inizio e la fine di una giornata, e così giorno per giorno . Sul piano del tavolo sono disposti 10 “personaggi”, monocromi bianchi, di uguali fattezze e dimensioni ( 21×10 cm circa), sulle teste di questi, sono inserite, appoggiate, delle “memory card” (contenenti i file con le foto). Queste figure non sono né maschili e né femminili, non sono dotati di espressione o movimento, sono rappresentativi di una presenza umana, supporti e custodi della memoria.
Il cassetto del tavolo è aperto e contiene al suo interno uno schermo digitale (25×18,5 cm), lo schermo serve per la visualizzazione le foto custodite nelle memory. “Lo spettatore” interagisce con l’opera prelevando le memory  cards dalle teste ed inserendole così nell’entrata apposita posta sullo schermo, visualizzando così la memoria del personaggio e frame della vita.
 
Nella mostra SuperEco è stata l’ecologia invece a vederti protagonista con altri artisti presso l’Aranciera di San Sisto a Roma, in cui si è indagato il tema del riuso e del recupero come forma d’arte necessaria per l’ambiente e per la cultura. Pensi sia davvero possibile oggi avvicinare gli artisti all’ “arte ecologica”, spesso vista in modo snobbistico?
 
Sinceramente, un caso!
Ho partecipato perché la cura della mostra e la partecipazione di certi artisti, era composta da persone per me degne di stima per il  loro modo di lavorare e, sempre per coincidenza, parte del mio lavoro rientra tranquillamente anche dentro una mostra con questi criteri, ma non vuol dire che per me questa sia una presa di posizione sociale, politica o, uno statuto, riguardo quello che per me debba essere l’arte, con i suoi linguaggi e relative tecniche…Non mi sento assolutamente di sostenere un’arte ecologica, rispetto ad una povera, chimica, artificiale, naturale, plastica, omeopatica, etc,etc… Per me, l’unica certezza è che la tecnica deve essere solo un supporto dell’idea, al messaggio, perciò qualsiasi mezzo espressivo è lecito, l’artista deve essere un “giocoliere”con le tecniche, scegliere di volta in volta la più affine, quella che renderà meglio il messaggio!!!
 

Nei tuoi lavori spesso riesci ad unire la tecnica dell’incisione, da sempre considerata una tecnica arcaica, con contenuti contemporanei. Da cosa nasce l’esigenza di tornare alle “origini”di un processo così antico?

“…è più difficile fare un buon disegno che un buon quadro.
Un disegno è come un cuore messo a nudo o è come un rivo
d’acqua dove traspare il fondo.
Il colore è invece come una mutanda per signora che ha
da coprire qualche bruttura
.”

Luigi Bartolini

In molte delle tue opere ricorrono frequentemente simboli religiosi, a volte strettamente cattolici, altre volte invece prese in prestito a diverse forme di culto, che convivono con un contesto attualizzato e moderno. Un contrasto evidente, spesso divertente e quasi ossessivo, sbaglio?

La religione è il singhiozzo di una creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, lo spirito di una condizione priva di spirito. È l’oppio dei popoli.”

Karl marx

Ora torno un po’ indietro, ma non posso non chiederti cosa ti ha spinta il 28 aprile del 2001, quando eri ancora all’Accademia di Belle Arti, a presentarti nuda a Piazza Navona per la performance di Spencer Tunick, l’ artista americano celebre per le sue foto a gruppi nudi.  Deve essere stata un’esperienza elettrizzante, vuoi raccontarcela?

Divertenti, irripetibili follie di gioventù!!
 
 
a cura di giulia fontani
 
 
[exibart]

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