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INTERVISTA A KIT CRAIG
altrecittà
Abbiamo incontrato Kit Craig (Londra 1980), artista, rigoroso, attento ai minimi dettagli, alla sua prima personale italiana: Nine Men’s Morris, alla Galleria Maria Grazia del Prete fino al 10 dicembre, e ci racconta la sua ricerca solida e profonda che va avanti da anni...
di redazione
L.P. Questa è la tua prima mostra personale, non solo romana, ma anche italiana, per la quale tua hai creato appositamente un ciclo di opere. Si potrebbe pensare che esiste un collegamento, dunque, tra le opere esposte e il contesto romano?
Precedentemente hai focalizzato la tua attenzione sulla parola, in questo caso si può dire lo stesso oppure c’è stato un cambiamento?
Il linguaggio è un modo, come altri, che utilizzo per creare concetti. Il mio scopo, in un certo senso, è quello di rompere la logica, scomporla in tutte le sue parti, per tirarne fuori le singole componenti.
Puoi spiegarmi qual è stato il punto di partenza per le opere esposte in mostra? A ha che fare con il titolo Nine Men’s Morris?
Si potrebbe anche mettere un po’ in relazione con il genere della “natura morta”, che nello specifico, qui è rappresentato dalla frutta secca che è una metafora delle pedine nel gioco da tavolo. In pratica gli oggetti si spostano per trovare un significato specifico, ma non è detto che questo si affermi sempre.
Il tavolo al centro della galleria, in particolare, cosa rappresenta?
Di fronte al tavolo, un foglio bianco?
A proposito di geometria, che valore dai alla prospettiva? Tu che in passato hai anche dedicato una tua opera The Offer Up, 2010 a Filippo Brunelleschi?
Tutte le opere sono collegate, puoi parlarci dell’allestimento?
Un’ultima domanda.. guardando la planimetria della galleria, a dispetto del numero di opere compaiono solo tre titoli? Che valore hanno per te e come si riallaccia questo all’allestimento?
Pensandoci, forse questa sintesi è stata un escamotage per chiarire ancor di più l’idea di opera d’arte totale che mi ero fatto per questa mostra. I titoli per me sono molto importanti, perché conferiscono un valore aggiunto alle opere, che nel mio caso spesso sono date da un insieme di diversi lavori.
a cura di ludovica palmieri