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Kjartansson, la musica e l’amore. In una vasca da bagno

di - 30 Settembre 2013
The Visitors, realizzato nel 2012 per il Migros Museum di Zurigo, è di scena in una nuova versione  concepita appositamente per l’Hangar Bicocca da Kjartansson e dai curatori Andrea Lissoni e Heike Munder, nell’ambito del Festival MITO Settembre in Musica. È una video installazione che  prende il titolo dall’ultimo album degli ABBA (1981), in cui il celebre gruppo svedese compare ritratto in una casa. Ragnar Kjartansson, islandese, trentasettenne dalla faccia nordica, bonaria, un mix tra un cantane country e una guardia forestale di chissà quali boschi, ex membro della band islandese Trabant, è un loro fan. In questa spettacolare opera, composta da nove maxi schermi in scala 1:1, compaiono diversi musicisti suoi amici, tra cui l’ex tastierista del gruppo Sigur Ros, oltre a Kristin Anna e Gyoa Valtysdottir, sorelle fondatrici della band dei Mum. E non è tutto, perché in questa opera totale tra suono e immagini, Kjartansson trasforma una melodia scritta per una poesia rivolta all’ex moglie Asdis Sif Gunnarsdottir (performer e poetessa psichedelica), in un struggente inno alla dolcezza degli affetti e dell’amicizia.
Entrate nella sala oscurata della Kunsthalle milanese e lasciatevi andare, non abbiate fretta e ascolterete un gospel armonico di voci e strumenti, in cui ogni musicista, pur mantenendo la propria individualità, si concentra all’unisono sull’esecuzione corale di Feminine Ways, brano composto da Rangar per l’ex moglie. Si tratta di una videoarte performativa, basata sulla musica, che prende spunto dal cinema, ma si ascolta come un breve racconto e si guarda come un quadro fiammingo per tagli di luce che “spazializzano” la musica, evidenziando gli interni bohémien di una grande casa: Rokeby Farm, da oltre 200 anni di proprietà degli Astor, una delle famiglie più ricche americana dell’Ottocento e del primo Novecento, incastonata in un parco fiabesco sul fiume Hudson, a nord di New York dove il tempo sembra essersi fermato.
L’intento di Kjartansson è di “ricostruire una casa in modo cinetico” e la durata e la ripetizione dello stesso ritornello si trasforma in un mantra meditativo, una litania ipnotica. L’ora scorre veloce in questo spazio perimetrato da nove grandi schermi sospesi nel buio, uno per ogni musicista dotato di uno strumento, una telecamera, un microfono e un paio di cuffie per sentire tutti gli altri distribuiti in biblioteca, studiolo, sala della musica, cucina e nella camera da letto, un pianerottolo, una veranda, mentre l’artista compare immerso in una vasca da bagno con la sua chitarra. Questo  “concerto visivo” ispirato alle teorie di Stockhausen è concepito come un tableau cinematografico musicale, in bilico tra realtà e finzione, filmato nell’ora che precede il tramonto, in cui la casa e il parco divengono quinte di un’opera totalizzante.
The Visitors è stato registrato come se fosse un  brano musicale a nove canali in cui ognuno, dotato di audio e video, viene proiettato singolarmente: avvicinatevi allo schermo e avrete l’impressione di entrare fisicamente in una stanza della casa dove il musicista sembra suonare solo per voi. Gli inquilini di casa sono raggruppati sotto il portico della casa mentre guardano Ricky Aldrich (uno dei padroni di casa) azionare un cannone rubato alla Cina dai militari americani nel 1901 che secondo una leggenda deriva dalla dinastia Ming. Il rumore del cannone è un elemento spiazzante all’interno dell’opera, ma nel complesso funziona  e sembra enfatizzare un non so che di celebrativo e trionfale. La videoinstallazione ripercorre la relazione tra il gruppo e gli individui, dopo aver ritratto i protagonisti avvolti dalla loro solitudine e intimità, la narrazione si conclude con l’incontro dei personaggi e il loro abbandono della  casa.
La musica è la protagonista e non potrebbe essere altrimenti dato che l’artista è musicista, performer poliedrico, figlio di drammaturghi e cineasti, cresciuto a teatro e musica. Per Kjartansson la musica è casa, spazio e ritmo. Ma nel suo lavoro c’è anche altro, e lo dimostra il fatto che nel 2009 è stato il più giovane artista islandese a rappresentare il Padiglione del suo Paese. Ricorderete l’opera, The End presentata in occasione della 53° Biennale di Venezia, di cui abbiamo scritto, in cui l’artista per sei mesi ha dipinto un quadro al giorno, ritraendo un amico artista in costume da bagno. La grande quadreria che ne è nata e stata esposta lo scorso anno alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo a Torino. Quest’anno poi, all’Arsenale di Venezia, ha realizzato S.S Hangover, in cui l’autore sintetizza performance, scultura e suono.

Jacqueline Ceresoli (1965) storica e critica dell’arte con specializzazione in Archeologia Industriale. Docente universitaria, curatrice di mostre indipendente.

Visualizza commenti

  • La trasformazione dell'Hangar è stata proprio notevole, questo progetto poi particolarmente struggente.

  • nostalgia retrò....l'assenza di strumenti musicali digitali lo indica, e questa è l'arte con-tempora-nea? cioè l'arte di un nuovo tempo?

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