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LA DANZA CONTEMPORANEA SECONDO ROMAEUROPA FESTIVAL 2011 |

di - 23 Ottobre 2011
Try the impossible, recitano i cartelloni sparsi per la città di Roma ormai da diverse settimane: un proposito che svela l’idea di una sfida. I sipari si sono aperti con gran successo di pubblico e questo fa ragionevolmente pensare che anche le imprese più difficili oggi siano ancora possibili. C’è ancora tempo quindi per aprire una finestra sulla proposta artistica di quest’anno che, come da tradizione, dedica grande spazio alla danza e accoglie artisti provenienti da diversi paesi.  
A inaugurare il Festival al Teatro Eliseo c’è stato Saburo Teshigawara, coreografo-danzatore di provenienza giapponese, ma noto per aver generato un vocabolario di movimento molto denso e profondamente contemporaneo, che incrocia le arti visive e sconfina nel meticoloso lavoro sullo spazio, sul suono e con le luci. La capacità di questo artista di accelerare e rallentare il movimento del corpo fino a trasformarlo in un fluido evanescente era già stata notata al Romaeuropa Festival nel 2009 con Glass Tooth, pezzo in cui una danza su vetri rotti invocava il respiro di una natura invisibile. Stavolta Teshigawara ha proposto Obsession, un duetto con l’elegante danzatrice Rihoko Sato, ispirato al cinema surrealista di Buñuel: una creazione che ha svelato pulsioni di vita e morte attraverso attrazioni e repulsioni quasi elettriche dei corpi in movimento. Conclusa per quest’anno la possibilità di vedere questo straordinario artista in scena, resta ancora quella di vivere l’installazione intitolata Double District che lui stesso ha progettato – curandone regia, coreografia, disegno luci e costumi – per Digitalife2. Si tratta di un sistema di proiezione in 3D passivo ad alta definizione che crea un’immagine virtuale tridimensionale. Il corpo di Teshigawara, accompagnato anche in quest’occasione dalla danzatrice Rihoko Sato, metterà lo spettatore in condizione di percepire una fisicità illusoria, quindi la sensazione di una prossimità del tutto illusionistica. Digitalife2 è una piattaforma realizzata da Romaeuropa in collaborazione con Telecom Italia, che si propone di usare le tecnologie per mettere lo spettatore in relazione non abituale con l’arte. Il Festival dimostra ancora una volta grande apertura verso l’eterogeneità delle tecniche e delle pratiche artistiche: dal 26 ottobre all’11 dicembre sarà possibile percorrere lo spazio dell’Ex-Gil a Trastevere (Largo Ascianghi 5) dove oltre al lavoro di Teshigawara, spiccano nomi noti come Marina Abramovic e artisti già ospitati in altre vesti performative da Romaeuropa come il collettivo Santasangre – stavolta in collaborazione con The Pool Factory – e Masbedo.

Seconda importante presenza, ospitata dal Teatro Argentina, è stata quella dei DV8 con un pezzo intitolato Can we talk about this?. Gruppo storico inglese che si pronuncia come “deviati”, fondato a Londra da Nigel Charnock e Lloyd Newson e oggi diretto soltanto da quest’ultimo, i DV8 si sono sempre distinti per la loro capacità di infierire contro i tabù e i pregiudizi, di gettare luce sulle dinamiche sociali e sulle diversità tra esseri umani fino ad abbracciare tutte le complessità e le contraddizioni della società contemporanea. Già ospiti del Romaeuropa Festival nel 1998 con l’anticonformista Enter Achilles, nel 2003 con lo sconvolgente The Cost of Living e infine nel 2005 con Just for Show i DV8 hanno costantemente cercato di scavalcare gli stereotipi comuni sulla danza attraverso un pensiero impegnato, che sempre traspare dalla coreografia. Stavolta al centro dello spettacolo è stata una semplice quanto complessa domanda: “possiamo parlarne?”: prendendo spunto dalla cronaca e dalla storia si è discusso di politica e di tematiche centrali nella nostra epoca, dal multiculturalismo alla libertà di espressione e di stampa.
A Roma la Trisha Brown Dance Company si è esibita il 18 e il 19 ottobre prima al MAXXI, Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo (dove stasera ci sarà l’ultima esibizione) e poi al Teatro Olimpico (21-22 ottobre). Il primo appuntamento era dedicato agli Early Works, sette lavori creati negli anni ’70-’74 da Trisha Brown, icona della danza americana della seconda metà del Novecento, tra cui tre prime italiane come Scallops Re-Worked (1973), Leaning Duets (1970) e Leaning Duets II (1971), seguite da altre creazioni come Accumulation (1971), Spanish Dance (1973), Sticks (1973) e Figure 8 (1974). Si tratta di coreografie create espressamente per spazi espositivi, musei, strutture architettoniche, quindi ambienti non convenzionali per la danza. Il MAXXI non è nuovo a queste esperienze; aveva già incontrato la danza in occasione della sua apertura, quando fu chiamata di proposito la compagnia di Sasha Waltz per “abitare-danzando” gli spazi del museo. Questa volta Trisha Brown, che fin dai primi anni del Festival Romaeuropa è stata ospite d’eccezione (ricordiamo la sua presenza nel 1989 a Villa Medici e in seguito sia nel 1992, che nel 1998), ha fatto rivivere al pubblico lo straordinario periodo del Grand Union Newyorchese, con echi di un passato legato agli happenings, allo storico collettivo artistico del Judson Dance Theatre e al movimento Fluxus.

Il secondo appuntamento con la Trisha Brown Dance Company sarà dedicato alle coreografie ideate appositamente per il palcoscenico: grande attesa per una nuova creazione in anteprima ispirata alla scultura e alla calligrafia, cui si affiancheranno “pezzi di storia” come Opal Loop/Cloud Installation #72503 (1980), Watermotor (1978), Foray, Forêt (1990) ultima delle collaborazioni con l’artista visivo Robert Rauschenberg e infine la recente Les yeux et l’âme (2011). In queste coreografie sarà evidente l’attenzione di Trisha Brown per il linguaggio del corpo, inteso soprattutto nella sua complessa sintassi spaziale e sonora. Allo stesso tempo si sveleranno echi di un lavoro legato all’improvvisazione e a personaggi che hanno inciso profondamente sull’evoluzione della coreografia del Novecento e dell’arte in più in generale, come Mercé Cunningham, Yvonne Rainer e Simone Forti.
Un altro grande ritorno all’Auditorium Conciliazione (27 ottobre) sarà quello di Hofesh Schechter, coreografo e compositore formatosi a Gerusalemme, attivo come danzatore a Tel Aviv nella Batsheva Dance Company, a fianco di coreografi come Ohad Naharin e Vim Vandekeybus, ma nel 2002 approdato in Inghilterra, luogo da subito rivelatosi incredibilmente fertile per le sue creazioni. Caratteristica distintiva di due produzioni già presentate nel 2009 a Romaeuropa – Uprising e In your rooms – è la potenza ritmica delle musiche che sostengono la danza: Hofesh studia percussioni a Parigi e arriva a comporre personalmente tutte le musiche dei suoi spettacoli. Le sue coreografie intendono dare uno sguardo sulle dinamiche della modernità attraverso una lieve impertinenza, un’ironia velata, accompagnata però anche da momenti di grazia. Dinamiche di gruppo, senso d’insieme, spettacolarità energia del movimento, coordinazione, traiettorie all’unisono: queste le peculiarità poetiche del coreografo israeliano più acclamato del momento, che con Political Mother tornerà ad affrontare le inquietudini contemporanee attraverso una critica dell’autoritarismo, la messa a nudo delle frustrazioni di gruppo, della rabbia e insieme della speranza.
C’è attesa anche per Jan Fabre, regista, coreografo, scenografo, scrittore e artista visivo, ospite del Romaeuropa Festival già nel lontano 1987. Contestatore d’impatto fulminante, sconvolgente, Fabre ha sempre creato inquietudine e smarrimento con i suoi spettacoli attraverso la fusione di linguaggi che toccano profondamente l’estetica e l’etica dell’essere umano, spoglio di tutto. Questa volta proporrà al Teatro Olimpico (5-6 novembre) uno spettacolo intitolato Prometeus – Landscape II, ispirato proprio alla figura di Prometeo: testi di riferimento sono due, uno dello stesso Fabre e uno di Jeroen Olyslaegers che attinge direttamente alla tragedia di Eschilo. La figura del titano che si ribella a Zeus per schierarsi dalla parte degli umani donando loro il segreto del fuoco sarà rielabrata in una visione plasmata sui problemi del nostro tempo: le guerre, la morte, la sofferenza.
28, 29 e 30 ottobre saranno invece tre giorni dedicati interamente all’autorialità italiana in ambito coreografico performativo: DNA Danza Nazionale Autoriale è un progetto della Fondazione Romaeuropa, a cura di Anna Lea Antolini, che inaugura quest’anno la sua seconda edizione. Si tratta di un focus sulla creatività del nostro Paese, quindi un momento prezioso per conoscere la danza di qualità che ci rappresenta in Italia e nel mondo. Moderatore dei momenti di confronto sarà Stefano Tomassini, studioso di danza che faciliterà la comunicazione tra scena e platea per fare in modo che artisti e spettatori condividano attivamente lo spazio teatrale; un’occasione speciale per assistere e contribuire all’analisi dei processi creativi in showcase.
La prima serata si svolgerà al Teatro Palladium e i tre artisti ospiti saranno presentati rispettivamente dalle realtà che nel tempo hanno consentito loro di sviluppare specifici progetti coreografici. Lo spettacolo di Francesca Foscarini, Cantando sulle ossa, coprodotto da Kilowatt Festival e sviluppato nell’ambito di CHOREOAM sarà presentato da B.motion/Operaestate con Roberto Casarotto (responsabile progetti internazionali danza) e Rosa Scapin (direttore generale); Marco d’Agostin con la sua creazione Viola sarà presentato dal Premio GD’A Veneto 2010 con Selina Bassini (coordinatrice rete Anticorpi) e Massimo Carosi (coordinatore Premio GD’A); Francesca Pennini con il suo Collettivo Cinetico in *(Titolo futuribile) sarà presentata dal Teatro Comunale di Ferrara con Marino Pedroni (direttore artistico) e Gisberto Morselli (consulente danza).
La seconda giornata avrà invece luogo nello spazio dell’Opificio Telecom Italia con i lavori di Daniele Albanese/Compagnia Stalk in AnnoTtazioni (coproduzione Stalk/Tirdanza con il sostegno di Fondo Fare Anticorpi2010), Caterina Inesi/Immobile Paziente in Ten Thousand Leaves, interpretato da Marcella Mancini (con il sostegno dell’Accademia Filarmonica Romana diretta da Sandro Cappelletto) e infine Francesca Grilli insieme al soprano Lina Vasta, accompagnata dal pianista Diego Mattiello, in Enduring Midnight (coproduzione Centrale Fies, Rijksakademie van beeldende kunsten, Amsterdam).

Terza e ultima serata di DNA Danza Nazionale Autoriale, sempre all’Opificio Telecom Italia, sarà interamente dedicata al lavoro del gruppo MK con Instruction Series III: Orang Orang in prima nazionale. Si tratta di un modulo produttivo specifico, che il coreografo Michele di Stefano sta sviluppando in collaborazione con Xing e che in questa occasione sarà realizzato con la collaborazione di Sonia Brunelli e Cristina Rizzo – entrambe esponenti della danza di ricerca italiana – l’artista visivo Luca Trevisani e il gruppo musicale Sigourney Weaver, nelle persone di Biagio Caravano e Daniela Cattivelli). L’esperimento consiste nella produzione di formati compatti, seriali, brevi e al tempo stesso flessibili, che non soffocano mai l’autorialità delle singole personalità coinvolte. In pratica Michele di Stefano provvederà di volta in volta a impartire indicazioni coreografiche a distanza, ovvero via mail, lasciando che le sue istruzioni inneschino un processo creativo aperto, in continua evoluzione. Parole d’ordine: totale libertà di azione e reazione, nessuna limitazione al fraintendimento.
A conclusione della proposta danza 2011 di Romaeuropa Festival ci sarà la sezione chiamata Corpi Resistenti: una panoramica su danzatori e compagnie provenienti dal Maghreb e dal vicino Oriente, paesi dove le guerre hanno inciso fortemente sulla possibilità da parte degli artisti di realizzare progetti ambiziosi, aree geografiche in cui continue limitazioni di libertà hanno reso difficile, se non addirittura impossibile, la creazione coreografica e di conseguenza anche la ricezione da parte del pubblico. Danzatori e compagnie esponenti di una realtà in continua evoluzione, spesso accolti e sostenuti nel corso della loro carriera da paesi come la Francia, saranno presenti a Romaeuropa a testimonianza del fatto che, anche in questo senso, l’impossibile talvolta diventa possibile: nella maggior parte dei casi proprio il braccio teso dall’Europa ha fornito agli artisti in questione un trampolino di lancio per nuovi progetti, uno spazio fisico e mentale per riuscire a esprimersi liberamente.
Dalla Tunisia un grande ritorno per il Festival sarà quello di Radhouane El Meddeb, già ospite di Romaeuropa lo scorso anno. In occasione del suo debutto a Roma El Meddeb si era cimentato in una performance a Villa Medici in cui la danza si affiancava alla preparazione di couscous da servire al pubblico. Danzatore eclettico, attore, mimo, commediante dalla presenza fisica importante, massiccia, atipica, ma al tempo stesso agile e armonioso, a suo modo delicato e ironico, El Meddeb questa volta presenterà al Teatro Palladium (9 novembre) uno spettacolo ispirato al testo di Camille de Toledo, a partire dal quale si svilupperà una discorso fatto di memorie, passioni, di ritorno alla terra di origine e agli affetti familiari.
Debutta invece per la prima volta in Italia Nacera Belaza, algerina di nascita e francese d’adozione, giunta tardi alla danza proprio a causa dei divieti familiari che la obbligavano a praticare clandestinamente quest’arte. Artista dal gesto puro e astratto, in un certo senso mistico, carico di spiritualità e distante dalla narrazione, Belaza presenterà a Romaeuropa due lavori, entrambi in scena al Teatro Palladium l’11 novembre: il primo è un duetto con la sorella Dalila Belaza intitolato Le Temps Scellé, il secondo s’intitola invece Les Sentinelles.
Il 12 novembre all’Opificio Telecom Italia è invece in programma una giornata speciale dedicata al convegno intitolato Corpi resistenti: che ruolo per gli artisti della primavera araba? – ideato da Gerarda Ventura e Ornella d’Agostino – nel quale interverranno tutti i danzatori e i coreografi coinvolti nella Piattaforma araba del Festival, affiancati da esperti e studiosi del settore. Il convegno sarà preceduto da una performance via skype degli artisti tunisini Selma e Sofiane Ouissi, un duetto a distanza trasmesso in tempo reale, uno spettacolo virtuale che vedrà i due danzatori esibirsi l’una in Francia, l’altro in Tunisia. Proprio questa lontananza forzata, questo spazio vuoto eppure carico di senso tra i due artisti funzionerà da spunto per avviare una discussione costruttiva con il pubblico.
Ancora: Egitto, Iraq e Algeria. Mahmoud Rabiey detto “Vito” in Enshrined, Muhanad Rasheed in B-Dream e Fares Fettane in La fin ce n’est que le commencement sono altre tre proposte artistiche che andranno in scena al Teatro Palladium nel corso di un’unica serata, il 13 novembre. Temi trattati saranno rispettivamente: la relazione dell’uomo con Dio secondo la filosofia del sufismo, il senso dello scorrere del tempo, la dimensione spirituale a confronto con le suggestioni quotidiane.
Infine, a grande richiesta dopo lo straordinario successo dello scorso anno, torna al Teatro Eliseo il Gruppo Acrobatico di Tangeri con lo spettacolo Chouf Ouchouf, creato da Zimmermann & de Perrot. Torri mobili umane che si compongono, scompongono e ricompongono in un flusso continuo di corpi, quelli di eccezionali acrobati eredi dell’antica arte funambolica marocchina. L’energia del movimento, insieme a danze e canti tradizionali, genererà un’ambientazione capace di invocare il brulichio tipico della casbah algerina. Questo spettacolo, il cui titolo letteralmente significa “osserva ma con attenzione”, vuole indagare gli equilibri complessi della società araba, nel tentativo di discutere e comprendere il senso della sua storia sospesa tra passato e futuro.
Romaeuropa Festival però non è solamente danza, ma anche teatro, musica e tanto altro ancora. Un’offerta densa e variegata da esplorare nel tempo e nello spazio cittadino. Tanti motivi validi per partecipare.
a cura di francesca magnini
foto in alto: Hofesh Schechter, Political Mother, photo by GABRIELE ZUCCA
Per altre informazioni su programma, luoghi e orari del Festival: www.romaeuropa.net
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