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14
gennaio 2014
L’arte del vicino è sempre più verde
altrecittà
L’ultimo aumento dell’IVA penalizza ulteriormente le compravendite fatte in Italia, mentre all’estero la tassa sugli acquisti delle opere rimane ferma. Agli occhi di molti operatori, redditometro e tracciabilità degli acquisti sono l’ultima mannaia che può assestare il colpo definitivo su un mercato che non riesce nemmeno a far decollare i giovani. Ma il “nero” resta un problema. Che fare allora? Provano a rispondere esperti, collezionisti e giuristi
Come sopravvivere in un’Europa sempre più divisa sul fronte dei dazi e delle politiche fiscali? Se lo stanno chiedendo in molti dopo l’aumento dell’IVA che non ha risparmiato le compravendite di oggetti d’arte. Ma si badi bene; il “molti” in questione è un piccolo esercito di addetti al settore, fauna sì variegata, ma che nel suo complesso fa riferimento a un settore tale da non smuovere gli interessi dei più. Per comprendere lo scarto tra noi e loro, basta un piccolo accenno a quanto è accaduto la scorsa estate in Germania. Maggio 2013: la proposta avanzata dalla Commissione Europea di aumentare la VAT sulle opere d’arte, portandola dal 7 al 19 per cento per uniformarla all’Europa, ha ricevuto un primo colpo di arresto; protagonisti di questa vittoria la Bundesverband Deutscher und Galerien Kunsthändler–BDGV (Associazione Federale di Gallerie e Commercianti) e il Ministro per la Cultura tedesco Bernd Neumann. Stesse barricate sono quelle che sta alzando la Francia, dove a gennaio 2014 l’IVA sulle opere importate dovrebbe fare un balzo dal 7 al 10 per cento: solo tre punti di differenza ma guardati con timore per il futuro di Fiac, sempre più vicina alle giornate di Frieze.
E cosa dire a proposito delle fiere italiane? Prova a rispondere Vincenzo De Bellis che dal 2013 ha preso in consegna e traghettato Miart verso i primi e positivi risultati: «Dal canto nostro stiamo tentando da una parte di ampliare il mercato locale, portandolo all’estero, dall’altra di essere attraenti agli occhi dei collezionisti stranieri». Motivo per cui, durante la fiera, Milano si sta arricchendo di un ricco programma collaterale, senza dimenticare l’auspicata sovrapposizione con le giornate del Salone del Mobile. Ma ci sono anche altri ordini di fattori che dovrebbero spingere un collezionista ad acquistare nel Nord Italia: «Creare una piccola fiera gioiello, che miri alla qualità dei prezzi così come alla tipologia delle proposte», prosegue De Bellis, dove sia possibile acquistare capolavori, ma con costi meno ragguardevoli rispetto alle cifre battute a Miami o a Basilea. Questo tenendo sempre a mente il target del collezionista italiano; un compratore sì attento, ma che si muove nei piccoli e medi investimenti.
C’è chi, come i coniugi Natalina e Pierluigi Remotti, ha una vivace attività anche fuori dai confini italiani e nota come anche in Paesi molto protezionisti, alcuni settori non godono delle agevolazioni fiscali: «Personalmente sento penalizzante l’acquisto di opere fotografiche con un IVA alta in Germania» dove per i beni riproducibili in edizioni l’aliquota rimane al 19 per cento, ma nonostante ciò «si compra in un circuito forte e attento, dove alle spalle dei galleristi c’è una rete di istituzioni solida e costante», afferma Natalina Remotti. Tutto questo tenendo tra parentesi la tassa del 10 per cento sulle importazioni vigenti in Italia che grava per chi acquista all’estero.
Redditometro e tracciabilità degli acquisti rappresentano agli occhi di molti operatori del settore la goccia che potrebbe incidere sul precario equilibrio del mercato «con effetti che – prosegue Natalina Remotti – si avvertiranno già nelle prossime fiere autunnali, dove ad essere svantaggiati saranno in primis gli artisti italiani». Argomento questo che Vincenzo De Bellis conosce bene. Come si può investire su un artista giovane, nel senso più esteso del termine, se il mercato non lo fa decollare nel suo circuito di riferimento, che è prima di tutto quello locale? I grandi assenti sono ancora le istituzioni, motivo per cui a spaventare il collezionismo non è tanto il controllo fiscale in sé, quanto il suo mero scopo punitivo; «una trasparenza totale, legata alla tracciabilità degli acquisti, potrebbe fare la differenza se la nostra politica restituisse in attenzione e investimenti», tagliano corto i coniugi Remotti.
Ma i blitz fiscali riguardano prima di tutto chi vende: Giangi Fonti, dell’omonima galleria partenopea, tiene a precisare che il divario IVA rispetto ai vicini concorrenti europei pesa e in modo considerevole, anche se è solo di pochi punti percentuale. La proposta quindi, per l’Italia, è talmente semplice da apparire scontata: perché non estendere alla compravendita di oggetti d’arte l’aliquota al 4 per cento di cui già godono l’editoria e gli audiovisivi? Azzardo per cui non è detto che i tempi non siano maturi, non molto tempo si sono registrati cauti segnali in controtendenza: «L’errore della legislazione fiscale risiede nel considerare già culturalmente ed economicamente affermati quei soggetti che, al contrario, sono all’inizio della propria carriera artistica». Non sono parole di “addetti del settore”, ma è il testo di una legge (n. 4075 del 14 febbraio 2011), che avanzava la proposta di una riduzione forfettaria dell’IVA al 10 per cento, sia per cessioni dirette dell’artista che nel caso in cui partecipino alla vendita degli intermediari.
Si apre qui un altro capitolo spinoso: chi sono questi intermediari, e qual è il loro ruolo? Domande, queste, recentemente al centro di una battaglia che 83 gallerie italiane, rappresentate dagli avvocati Silvia Stabile, Enrico Del Sasso e Gianfranco Negri-Clementi, stanno portando avanti nei confronti della SIAE. Il primo passo è stato il riconoscimento della distinzione tra mercato primario e secondario, dove nel primo la galleria opera giuridicamente come “mandatario senza rappresentanza”: un semplice intermediario nella compravendita che ha delle opere in consegna per venderle ai propri clienti e di cui non acquista la proprietà. In questo senso si “parla di prima vendita”, poiché gli effetti traslativi del diritto di proprietà operano dall’artista al collezionista, pur intervenendo la galleria nella transazione. Ottenuto un primo “placet”, rimane aperto il delicato problema del rimborso dei compensi per il “diritto di seguito” (diritto dell’artista ad un compenso per ogni vendita successiva alla prima, determinato dalla legge sul diritto d’autore) che la SIAE ha incassato, ad oggi, anche sulle prime vendite.
Si prospetta ora l’imminente apertura di un tavolo di lavoro con il coinvolgimento del MiBACT e dell’Agenzia delle Entrate ma, nota l’avv. Stabile, «è auspicabile che le gallerie del mercato primario si riuniscano in un’associazione di categoria e agiscano quindi come soggetto unico, dal momento che queste ultime non si sentono rappresentate appieno dall’ANGAMC (ndr: Associazione Nazionale delle Gallerie di Arte Moderna e Contemporanea) che ha condotto prima del nostro intervento il dialogo con la SIAE e il MiBAC, oltre a delle consultazioni con la Commissione Europea sui temi del diritto di seguito. Anzi, una maggiore collaborazione anche con l’ANGAMC potrebbe essere utile per affrontare altri temi aperti come l’applicazione dell’IVA e, nell’ambito delle seconde vendite, del cosiddetto “effetto a cascata” che si verifica quando la galleria coinvolta in due consecutive transazioni si ritrova a pagare il compenso due volte per la stessa opera d’arte, una come acquirente e l’altra come venditore».
Ai posteri (e al mercato), l’ardua sentenza.