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L’emozione corre sul video

di - 22 Aprile 2014
Videoartista di chiara fama, Bill Viola (1951, New York) è nato, cresciuto e pasciuto (come ama ricordare) con il video, materia prima delle sue creazioni. E la sua produzione video è presentata al Grand Palais di Parigi attraverso una trentina di proiezioni che vanno dai 7 ai 35 minuti. La mostra, curata da Jérôme Neutres e Kira Perov, executive director dello Studio Bill Viola e sua consorte dal 1980, è stata allestita anche con il contributo scenografico di Bobby Jablonski e Gaëlle Seltzer, che hanno immerso le opere nella penombra per conservarne una buona qualità visiva, rivelandone l’intensità della luce e del colore.
Ore e ore di immagini in movimento come un viaggio nel viaggio, in cui ogni opera tocca, in modo sempre diverso, il tema della vita e della morte, e in cui ritroviamo elementi come l’aria, l’acqua, il fuoco, ma anche la memoria e il tempo, e la loro fortissima capacità di trasformazione e di distruzione. Il tutto avvolto in suoni che a loro volta diventano corporei come le immagini. Bill Viola ci sorprende con storie e situazioni mai confezionate su misura, mai idealizzate, ma appena suggerite, come versi di poesie sospese, che fanno riflettere ognuno di noi sulla vita e l’aldilà. Linfa vitale, fonte d’ispirazione è la morte, che non va intesa come la fine di ogni cosa, ma complemento dell’esistenza, in cui l’essere umano diviene elemento intermedio.
In questo contesto che s’inserisce una tra le esperienze più rilevanti dell’infanzia dell’artista: a sei anni stava per affogare in un lago, sospeso tra la vita e la morte, viene salvato in extremis dallo zio. Per questo ed altro si può azzardare l’ipotesi, del resto suggerita implicitamente dall’artista stesso, che l’opera di Viola sia spesso “volontariamente” autobiografica.
Ma all’entusiasmo dell’artista per le nuove tecnologie fa eco il suo amore per i classici, da Bosch a Van Eyck a Pontormo, fino a grandi maestri come Giotto, ad esempio per l’Annuncio a Sant’Anna, presso la Cappella degli Scrovegni a Padova, che ritroviamo qui nella rappresentazione della casa nel video The Voyage. Questo presenta un uomo allungato in un letto che, arrivato alla fine dei suoi giorni, dopo una breve visita del figlio, parte in barca con una donna, la moglie forse, per un viaggio senza ritorno. Il video è parte del polittico Going Forth By Day (Collezione Pinault, 2002), che esplora temi come la morte, appunto ma anche la società e l’individuo, in tutto cinque video che sono proiettati simultaneamente sui muri, senza supporto, alla maniera degli affreschi del Rinascimento italiano, mentre il titolo dell’opera fa riferimento al Libro dei morti degli antichi Egizi.
Onnipresente in tutti i lavorio di Vila è il corpo umano, ma che cosa fanno tutti questi corpi che lievitano, che camminano nel deserto, in mezzo a foreste, per la strada, che rinascono miracolosamente dall’acqua? Sono spirituali e liberi, belli e inviolabili, ed è attraverso loro che scopriamo inaspettatamente un’altra dimensione in cui esistere e combattere l’inerzia. L’azione ridotta al minimo, all’impercepibile come per quelli del video The dreamers (2013), composto da sette schermi, ognuno dei quali vede persone di età e di sesso diverse, come se stessero in un boccale d’acqua. Immersi in un’intensa meditazione, lasciano intravedere qua e là bollicine d’aria che salgono lentamente in una superficie invisibile. Sono immagini che sembrano raffigurare quell’attimo inquietante che separa la vita dalla morte che e qui acquista un’alta spiritualità altrimenti inafferrabile.
M dall’immobilità si passa poi al movimento nella bella performance di Weba Garretson in Catherine’s Room (2001), proiettata in cinque piccoli schermi, questi ritraggono una donna sola che vive i cinque momenti della giornata, mentre da una finestrella s’intravedono le varie tappe del cicli annuali della natura «il paesaggio è il legame tra il nostro io esteriore e il nostro io interiore». afferma Viola. Le cinque scene di vita quotidiana, in cui Weba Garretson fa yoga, rammenda o scrive, ricordano per disposizione e linearità narrativa le raffigurazioni delle vite dei santi spesso inserite in riquadri apposti sulle pareti di chiese di epoca classica.
Un’ultima osservazione, come abbiamo già accennato, il suono in Viola non è un riempitivo, ma è opera esso stesso, lo dimostra Presence (1995), installazione sonora parte di Buried secrets, presentata alla Biennale di Venezia presso il Padiglione degli Stati Uniti (1995). Qui si possono sentire voci che vanno dall’infanzia alla vecchiaia, queste appena udibili, vogliono rappresentare la memoria umana, mentre il corpo seppur invisibile è rappresentato dal rumore della respirazione e dal battito cardiaco. Ma in tutto quest’equilibrio quasi perfetto tra immagini e suoni risuona l’affermazione dell’artista statunitense che sottolinea come «l’errore sia la forza necessaria affinché l’essere umano cresca e attui il cambiamento».

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  • Il bello di passare la domenica di Pasqua chiusa in casa a cercare di finire un manoscritto. Vai per santificare la festa a San Marco ma è pieno di turisti che divorano gelati come gabbiani con gli avanzi. Il posto più spirituale che trovi è l'ultimo piano del negozio Louis Vuitton, subito dopo la Bocca di Piazza, dopo il Correr, e dopo esserti sentita in colpa perché chiude la bella mostra della Bevilacqua e non hai scritto il pezzo, invece sali all'ultimo piano della maison dei bauli e trovi una installazione commovente di Bill Viola, meglio, un doppio dittico Viola e Carpaccio, sulla vita la morte e la rinascita; Carpaccio Madonna con Bambino, Viola Rinascita, Carpaccio Pietà, Viola Pietà; commovente, profonda. Nel frattempo un turista americano accompagnato dalla moglie, guarda la madonna con bambino di Carpaccio e chiede: How much is it? E lì capisci perché ha vinto Barabba e sempre vincerà, nei secoli dei secoli, amen.
    Post Scriptum:
    La venditrice bellissima elegante impeccabile come Ponzio Pilato ha risposto, No, it's priceless.

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