Il Friuli, che durante gli anni della sua giovinezza è stato un luogo di passaggio, formazione ed osservazione, dedica a Lorenzo Mattotti (Brescia, 1954) due mostre presso gli spazi di Casa Cavazzini a Udine, dove sono presenti (fino al 4 giugno), i primi lavori, ed una retrospettiva a Villa Manin di Passariano. Quest’ultima, conclusasi con un grande successo di pubblico il 19 marzo, ha ospitato un corpus di 400 opere fra illustrazioni, carte, quaderni, acrilici, mettendone in luce il carattere eclettico dell’artista. Curata da David Rosenberg, con la collaborazione di Giovanna Durì, si presenta come seconda tappa della sua prima retrospettiva tenutasi al Fonds Hélène et Édouard Leclerc pour la culture a Landerneau in Francia. Il percorso, dialogico-emotivo più che cronologico, nella prima sala apriva con gli slanci di danzatori e circensi bloccati nell’attimo della sospensione acrobatica. Fluidi, ma al contempo sempre inseriti in quella rigida linearità che contraddistingue gran parte del suo operato — probabile retaggio degli studi in architettura —, questi pastelli e chine su carta, dove a dominare sono i colori vividi, sembrano muoversi da un supporto ad un altro, alla continua ricerca di altre dimensioni. Dimensioni che lottano costantemente — e spesso contemporaneamente —, fra la necessità del distacco da una nevrotica simbiosi e la ricerca di libertà.
Caboto, sua prima opera storica, come pure Psiche, serie di illustrazioni proposte da Einaudi per una raccolta di opere di Freud, per proseguire con The Raven, Hansel&Gretel e la serie degli abbandoni, mettono in luce quel senso di claustrofobia e di inevitabile incaglio dell’essere umano nei meandri della sua psiche. L’indagine si sofferma sui flussi di coscienza, sulle ombre nascoste e sulle paure dell’essere umano, analizzate in passato dalla pittura simbolista ed espressionista. Immediati sono infatti i rimandi ad Alfred Kubin, Otto Dix, ma anche ai più contemporanei David Hockney e Francis Bacon, con le inquadrature taglienti, le ambientazioni solitarie, i corpi che si liquefanno e si fondono e confondono con lo sfondo. Decisamente incentrato sulle ‘luci’ e sulle gioie che provengono quasi sempre dai piccoli gesti, dalle attenzioni e da quella quotidianità che oggi tendiamo sempre più a banalizzare, il secondo piano. Seguiva un serie di volti femminili, per i quali l’autore ha provato attrazione, conclusi, come i paesaggi della Patagonia, dalla memoria o dall’immaginazione.
Se il piano terra era caratterizzato dall’incontro — spesso spaventoso — con il sé, i piani alti sono quelli dell’incontro con l’altro, dell’accoglienza. Uno scarto di solitudine che ancora persiste ci fa guardare stavolta oltre la tenda, facendoci scorgere la possibilità. Avviandoci verso la scoperta. Amore, passione, tensione, viaggi e paesaggi come occasioni per scambiare, crescere ed evolvere. La serie di acrilici su tela, matite e pastelli su carta Nell’acqua, realizzata dal 2000 al 2006 e quella più cupa delle Stanze, realizzate fra il 2004 e il 2005, si rivolgono, come lo stesso autore ha affermato «a quei momenti in cui scopriamo l’altro, lo guardiamo ridere, dormire, in cui incominciamo ad esplorare il suo corpo». Sono brevi attimi dalla potente intensità ed intimità. Momenti che appartengono solo alle persone che li vivono e che attraverso la loro impalpabilità sembrano domandarci se siamo in grado di entrare in modo delicato nei corpi e nelle menti di chi amiamo. Se siamo capaci di penetrare galleggiando. I colori ritornano luminosi, quasi abbacinanti nella loro trasparenza e rifrangenza. La grafica e l’illustrazione lasciano piano piano spazio alla pittura e la serie dei corpi fusi e aerei in mare, si trasforma nell’animazione voluttuosa dei tre cortometraggi di Eros diretti da Michelangelo Antonioni, Steven Soderbergh e Wong Kar Wai. Le contrapposizioni fra i rossi ardenti e gli azzurro-blu divengono, mano a mano che si procede verso le ultime sale, sempre più accesi, quasi matissiani. Sono l’impronta dell’esotico, di Bali e delle Indie. Qui il gesto si fa libero, la pittura di un espressionismo astratto più morbido sino a generare mondi lisergici frutto di incontri spirituali. Ogni stanza è un crescendo, un’epifania visionaria, che marca quell’«oltremai» citato nella postfazione in catalogo: «oltremai il reale… oltremai il mondo… oltremai noi stessi…»
Eva Comuzzi
mostra visitata il 18 marzo
Lorenzo Mattotti
www.villamanin.it
Dal 25 febbraio al 4 giugno 2017
Lorenzo Mattotti, Primi lavori,
Casa Cavazzini, Udine
ww.civicimuseiudine.it