Necessariamente erudita, frutto di un’interrogazione non improvvisata sulla fotografia, la collettiva “Umano, troppo umano”, allestita negli spazi espositivi di Grafica Metelliana a Mercato San Severino (SA), crea prima di tutto un dibattito, lo spazio per una discussione non esattamente al centro di una temperie di genere. La mostra è realizzata in collaborazione con Cobbler, spazio per l’arte contemporanea, e con la Galleria PrimoPiano di Napoli, con il conferimento del Matronato della Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee.
Questa «insubordinata esposizione», come l’ha definita Antonio Maiorino – il curatore che insieme a Rosa Cuccurullo ne ha stabilito le ragioni teoriche – conduce artisti diversi per formazione e istinto sul punto critico di una medesima questione. La fotografia è riconosciuta come «primo apparato», cioè «espressione, attraverso l’umano apparato visivo, di quell’astrazione di primo grado che precede di millenni la scrittura». Non ancora il rudimentale tentativo di creare l’immagine con l’utensile macchina ma una primordiale e folcloristica idea dell’immagine pura e non fattuale.
Appellandosi alle riflessioni di Vilém Flusser, filosofo ceco e studioso dei linguaggi e delle tecniche di comunicazione, autore, tra le altre cose, del testo “Per una filosofia della fotografia”, il curatore individua un filo concettuale che, così espresso come il frutto di letture appassionate, compie un salto che non sovrasta le opere ma richiede un distacco da esse, una tregua dall’opera per ragionare sull’opera, quella generica immagine fotografica di cui l’esposizione si compone. Allora, i lavori di Luigi Grassi, Karen Stuke, Massimo Pastore e Roxy in The Box sono consegnati a una più ampia dinamica di senso, che richiama il presunto scontro, di matrice heideggeriana, tra natura e tecnica, che in questo caso vede protagonisti l’essere umano e la macchina fotografica, dunque l’artista e il programmatore dell’apparato.
Nel disegno di uno scontro tanto netto – fuorviante se si considera invece proprio l’heideggeriana definizione della vera essenza della tecnica come nulla di tecnico – le opere in mostra appaiono l’espressione di uno “Spirito libero” capace di rompere quell’accerchiamento, imponendo una volontà artistica di respiro. Si tratta, in effetti, di quello stesso Essere che, non volendo essere obliato, si disvela, opponendosi alla logica dell’oggettivazione che lo manipola proprio attraverso la tecnica. E di volontà si tratta, considerando così l’atto artistico un volontario gesto, compiuto consapevolmente, allenato a quel dinamismo che lo rende capace di stare sul limite dell’acrobazia perenne.
Umano Troppo Umano, Grafica Metelliana
L’esposizione, aforistica per l’ispirazione del titolo e per la necessità di ricondurre solo frammenti di lavori più ampi nel tutt’uno troppo umano, ripone la propria fiducia in artisti capaci di stare sul limite di questo conflitto. Così è per i volti in bianco e nero di As You Like It, le immagini toccanti di Massimo Pastore in cui il coinvolgimento del soggetto è tale da stabilire una nuova, altra volontà da contrapporre a quella autoriale. Così è per le fotografie di Luigi Grassi ne Il mondo che vedo, in cui la poetica del buio opera un rovesciamento di preferenze, ampliando l’abisso dove c’è più necessità di luce. E il discorso vale anche per Roxy in The Box e il suo Save the Icon, agile confronto con il ruolo dell’icona, affrontato nella solita maniera esuberante dell’artista che, nella sua mutevolezza, diviene icona nei panni dell’amato Elvis Presley. Lo stesso, infine, vale per Karen Stuke, le cui opere sono volatili e inattaccabili zone franche, dove l’incertezza di abitare un luogo di frontiera è così evidente da scatenare sensazioni irriconoscibili, come accade forse soltanto quando si dorme.
È certo una sensazione comune, questa di sentirsi in bilico nelle vesti di perenni acrobati, una forma di incertezza che difficilmente è ricollegabile a un unico formato; non è infatti soltanto un sentire di generazioni sgangherate come ce le figuriamo tutti, né una tensione sociale che si forma in certi ambiti, quando le possibilità sono poche e irreversibili sono gli insuccessi. Questo sentire riguarda piuttosto le attitudini che a quella sensazione si adeguano, modificandosi o addirittura che, nascendo in quel sentire così avvertito, danno vita ad ambizioni già lacerate, ibride e poco convinte. Gli artisti allora finiscono col manipolare quella sensazione obliqua e incerta che diviene il solo materiale a disposizione, con cui si può far tutto o nulla.
Elvira Buonocore
mostra visitata il 19 maggio 2017
Dal 19 maggio al 15 luglio 2017
Luigi Grassi, Karen Stuke, Massimo Pastore, Roxy in The Box, Umano Troppo Umano
Grafica Metelliana
Mercato San Severino
Orari: dal lunedì al venerdì, dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 16 alle 19
Info: info@graficametelliana.com