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30
novembre 2014
Marlene Monteiro Freitas, GUINTCHE CSS, Udine
altrecittà
Arriva direttamente dalle isole capoverdiane il primo spettacolo di danza contemporanea della stagione CSS contatto a Udine. Una danza animale e ipnotica che alterna l'ebbrezza della festa, alla solitudine della sua fine
di Eva Comuzzi
È un diavolo seducente quello che ci accoglie in platea nel primo dei suoi inquietanti travestimenti.
È un boxeur, che più che aprirci alla sfida, si espone alla perenne lotta con se stesso. In lontananza, una musica soffusa sembra portare il vento della saudade.
Il buio in sala lascia intravedere le luci malinconiche blu. Oltre al cappuccio di un accappatoio dello stesso colore, si scorge il volto ammaliante di qualcuno. Il trucco è pesante. Forse è una donna, ma potrebbe anche essere un transessuale, una prostituta. O un clown pronto a farci ridere. Una maschera, semplicemente. Improvvisamente il buio totale alterna luci cangianti che si riflettono su di loro. Stanno tutti al centro. Sono in tanti, anche se ne vediamo soltanto uno. Sono fermi al centro del palco ma in continuo movimento. È da questo istante che Marlene Monteiro Freitas inizia il suo convulso esorcismo, dal quale vomiterà tutti i suoi demoni.
I movimenti si fanno sempre più frenetici e le danze oscillano fra la parata carnascialesca e il rito dionisiaco-vudù, dove ci si purifica bevendo il sangue caldo della gallina. Per mezz’ora rimaniamo ipnotizzati dall’espressività mimica della danzatrice, le cui metamorfosi oscillano fra l’umano e l’animale. In questa violenta battaglia fra istinto e ragione, abbandono e controllo, la Freitas si trasforma come un pupazzo di plastilina di Nathalie Djurberg e angoscia come un volto sfregiato di Arnulf Rainer. Come l’arcano numero 15 dei tarocchi, tira fuori le sue due lingue, quella rossa sul volto e quella blu che ha sul ventre e come lui presenta diversi occhi sul viso perché è un essere che sa guardare in faccia le sue paure.
Il colore blu dell’accappatoio iniziale, e quelli delle luci e del telo sullo sfondo, contrastano con quelli in prevalenza rossi del costume in scena, indicando uno scontro fra lo spirito e la materia. La prima parte si conclude con l’abbandono delle piume e il lancio sul pubblico della treccia (corna/coda?), simbolo forse di un abbandono di quella componente animale difficile da gestire. Le luci si spengono di nuovo, la musica cessa. Rimane il silenzio e l’essere umano esorcizzato abbandona la sua bestia, stremata a terra. Tenta di rialzarsi. Per un attimo ci annusa e, trasformatasi in un viscido serpente, striscia sui nostri malanni. Si passa dai colpi di tamburo a quelli di tosse. I suoni ora sono solo rumori di fondo, quasi non li ricordo più. I movimenti si fanno maldestri, i passi talvolta pesanti, meccanica imitazione di una gestualità stereotipata. La danza selvatica ed ebbra lascia spazio ai passi di danza controllati. La ricerca dell’equilibrio fra Natura e Cultura non ha fine. Le batterie mano a mano si esauriscono e la bambola, incapace oramai di ricaricarsi dell’energia naturale, scoppia in frantumi.
Eva Comuzzi
Spettacolo visto il 21 novembre
Marlene Monteiro Freitas, GUINTCHE
Testo Marlene Monteiro Freitas
ideazione e performance Marlene Monteiro Freitas
scene/luci luce Yannick Fouassier
musiche Cookie
costumi Catarina Varatojo
una produzione Andreia Carneiro (Bomba Suicida) e Erell Melscoet
in co-produzione con ZDB-Negócio /residenze O Espaço do Tempo, Alkantara Festival
con il supporto di RE.Al / Forum Dança