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Muri di gomma

di - 11 Maggio 2011

Perché hai scelto  di fare del silicone la materia prima del tuo lavoro. Ne hai fatto quasi una pelle, cosa c’è sotto?

Negli anni Ottanta diversi artisti cercavano l’espressione della loro poetica attraverso l’elaborazione di nuovi materiali prodotti dall’industria, come plastica, vetroresina e colle. La mia necessità stava nel trovare un materiale adatto a creare una sorta di tessuto artificiale apparentemente naturale al tatto. L’idea era di simulare la pelle umana, quindi un lavoro sul corpo, anche se indiretto, attraverso l’elaborazione di una serie di immagini macro. La rappresentazione dell’infinitamente piccolo per rimandare al grande. Rivolsi subito la mia ricerca – dopo aver ovviamente scartato i materiali duri come la pietra o il bronzo – verso il mondo industriale e la sua nuova produzione. Il silicone, prodotto per sintesi dalla sabbia (silicio) attrasse immediatamente la mia attenzione proprio per la sua morbida duttilità plastica e versatilità cromatica. Nasceva cosi nel 1987 il primo ciclo delle Griglie e, in seguito, i Guerrieri Silenziosi.

Hai deciso di assegnare nuove sembianze al mondo scientifico e biologico, cosa è che ti attrae? Pensi che ci sia un legame fra i due, l’arte e la scienza?

Lo scopo dell’artista non è quello di “mettere a posto le cose”, piuttosto di scompaginarle per obbligare le persone a ripensarle, a rielaborarle. L’apparente identificazione con un processo o immagine biologica è il tramite per creare una trappola visiva, “somiglia ma non è”. Mi sia consentito, a proposito, di rilevare l’eterno dualismo che è alla base del sistema della comunicazione, la differenza tra essere e apparire. Non saprei dire esattamente se c’è un rapporto diretto tra arte e scienza, forse nell’approccio metodologico, nella fondamentale importanza della ricerca, ma i risultati a cui punta l’artista sono diversi da quelli propri dello scienziato. Tra il mio lavoro e alcune branche scientifiche c’è un unico filo diretto che si va a situare sostanzialmente nell’utilizzo dell’infinitamente piccolo. È lì che la scienza ha fatto le sue più grandi scoperte, ed è così ancora oggi, come testimonia il successo degli studi sulle nanotecnologie.

Sembra quasi che i tuoi lavori siano dei corpi organici, ed ogni opera appare come       microcosmo che, assieme alle altre, forma organismi più complessi.

Un tessuto è formato da un insieme di cellule, così come ogni punto o goccia di silicone forma e completa una superficie. Nel mio lavoro è sempre presente il concetto di “insieme”, sia all’interno del singolo lavoro sia a livello d’installazione. È un po’ come quando si guarda un piccolissimo frammento di qualcosa e si riesce ad immaginarne “il tutto”, come quando nell’infinitamente piccolo si può vedere l’infinitamente grande e viceversa. Per me rimane sempre importante la  percezione del “dentro”. George Perec dice: “Quello che succede veramente, quello che viviamo, il resto, tutto il resto, dov’è? Quello che succede ogni giorno e che si ripete ogni giorno, il banale, il quotidiano, l’evidente, il comune l’ordinario, l’infra-ordinario, il rumore di fondo, l’abituale, in che modo interrogarlo, in che modo descriverlo?…Forse si tratta di fondare finalmente la nostra propria antropologia: quella che parlerà di noi, che andrà cercando dentro di noi quello che abbiamo rubato così a lungo agli altri. Non più l’esotico ma l’endotico.”

Qual è il “bisogno” che sta alla base delle tue manipolazioni estetiche e multisensoriali?

Se dovessi indicare due aggettivi che sono alla base del mio pensiero e che in qualche modo identificano l’epoca contemporanea, direi “durezza” e “duttilità”, da trasporre nell’ossimoro “Forze Molli”. Controsenso? Per fortuna si. Friedrich Nietzsche dice “Il loro senso è un controsenso, il loro giudizio è un pregiudizio”. È molto difficile per me trasmettere a parole un bisogno o un pensiero che ho affidato da tempo alla materia, provo a farlo avvalendomi di frammenti – di cui condivido pienamente la valenza – scritti molto tempo fa da un carissimo amico, purtroppo scomparso, Maurizio Sciaccaluga. In un testo di presentazione ad una mia mostra del 1991 scrisse che “qualunque scultura di Valente, sospesa tra ironico disincanto e tragica partecipazione, non può che scandagliare un particolare universo semiotico e semantico, dettando leggi in favore di una peculiare scrittura illeggibile. Perché costruita sulle basi di presunte irregolarità, appunto, capaci anche di rovesciare il senso comune e di trasformare l’estensione in ritenzione, la regola in difetto, il giudizio in pregiudizio; perché pronunciante soltanto una propria ansia di rovesciamento e liberazione.

Attraverso i tuoi lavori è  possibile forse  esorcizzare le paure tipiche della società contemporanea, alle prese con  i rischi della modernità.  Quasi muri di gomma contro cui far rimbalzare e attutire le nostre paure…

Si, la paura è un aspetto ricorrente della nostra società, ahimè amplificata dal nostro sistema della comunicazione: il futuro e le sue incertezze, le malattie e la morte, l’altro e le sue diversità, tutto ci terrorizza. Probabilmente i media hanno diverse colpe in merito, mi viene da pensare che ci sia una voluta enfatizzazione delle notizie negative a scapito di tutto ciò che di positivo esiste nel nostro sistema sociale. Permettimi di citare ancora George Perec: “Quel che ci parla, mi pare, è sempre l’avvenimento, l’insolito, lo straordinario: articoli in prima pagina su cinque colonne, titoli a lettere cubitali. I treni cominciano ad esistere solo quando deragliano, e più morti ci sono tra i viaggiatori, più i treni esistono; gli aerei hanno diritto di esistere solo quando sono dirottati; le macchine hanno come unico destino quello di schiantarsi contro i platani: cinquantadue week-end all’anno, cinquantadue bilanci: tanti sono i morti e tanto meglio per l’informazione se le cifre non fanno che aumentare! Dietro ogni avvenimento ci deve essere uno scandalo, un’incrinatura, un pericolo, come se la vita dovesse rivelarsi soltanto attraverso lo spettacolare,..” Siamo così spaventati da tutto che a volte non ci accorgiamo più di quali sono i pericoli reali, ma questa è un’altra storia.. In chiave ironica ho inserito spesso questa componente nei miei lavori, soprattutto nella serie  “Viaggio Allucinante”, giocando con il significato e  il significante, invertendone i valori, mascherando  bellezza estetica con elementi ritenuti negativi, pericolosi, operando con le forme accattivanti degli stessi.

Mediante le tue cellule e griglie bicromatiche sembra quasi che tu voglia fare “a pezzi” sistemi tutti da analizzare, al fine di non lasciare nulla di intentato o di sconosciuto…..

Sì, e vero. I “pezzi” delle Griglie sono come dei frammenti di una catena biochimica  immaginaria  che si ripete all’infinito e l’esempio più calzante potrebbe essere quello del DNA o di altro materiale simile, in fondo non ha molta importanza. L’aspetto fondamentale è che si tratti di un comune denominatore per descrivere un mondo creato dalla “mia materia” per formare nuova plastica e nuovi cromatismi. Nelle ultime Griglie ho introdotto un altro elemento, lo specchio, che si intravede tra un elemento a goccia e l’altro. Lo spettatore osservando parti di frammenti potrà così vedere se stesso. Una nuova “finzione” per tentare di intuire l’inafferrabile, la verità.

a cura di loredana barillaro

[exibart]

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