Categorie: altrecittà

No place like home | Giorgio Vigna. Acque Astrali | Studio la Città, Verona

di - 16 Gennaio 2019
“No place like home” è il titolo della collettiva, a cura di Marco Meneguzzo, che porta a Studio la Città una selezione di opere di tre generazioni di artisti chiamati a ragionare sui significati, letterali e figurati, reali ed immaginati, piani e contradditori, del concetto di “casa”.
Dalle fotografie di Vincenzo Castella (1952) in cui gli interni di una casa pescarese ci parlano di una dimensione intima, casalinga eppure articolata e complessa, passiamo ai collage su carta e gli acrilici su lino di Brian Alfred (1974), in cui il tema della finestra si dipana tutto in superficie e trasforma i soggetti (le finestre stesse o i paesaggi che si intravedono al di fuori di esse) in astrazioni bidimensionali che ricordano primitive immagini digitali. Dall’essenzialità delle stanze di Alberto Garutti (1948), in cui l’artista pone l’accento sull’idea di “spazio vissuto” e di casa come luogo di relazioni in una serie di monocromi su tavola o carta da parati in cui vengono operati dei buchi a delimitare concettualmente la proiezione dei mobili nella casa in cui è cresciuto, ci perdiamo nelle complesse installazioni di Tracy Snelling (1974), fatte di immagini fisse e in movimento, dove si dispiega il tema dell’abitare nei grandi agglomerati urbani con i loro enormi e articolati palazzi in cui si percepisce il senso di solitudine dell’individuo all’interno di un’anonima moltitudine. E poi, Igor Eškinja (1975) con una casa in cui non si può entrare poiché altro non è che un’illusione prospettica realizzata sulla parete con strisce di cartone, e Daniel González (1963) con un capovolgimento della relazione tra ciò che è privato e ciò che è pubblico, ciò che è domestico e ciò che è condiviso, attraverso un’installazione site specific fatta con mobili e oggetti di una tradizionale casa veronese: al contrario di “Welcome” Eškinja, “La Casa del Tiempo” di Gonzáles è un’opera in cui entrare, da vivere nello spazio e nel tempo, da esplorare in ogni suo elemento significante. In aperto dialogo con questo lavoro, Anna Galtarossa propone un “Petit Trianon”, realizzato appositamente per la mostra: una personale visione dell’idea di casa resa attraverso un carrello della spesa in cui si accumulano oggetti di uso quotidiano come pentole, tazze, cartone, carta e forme di artigianato tradizionale femminile. Qui il concetto di casa si discosta dall’immagine di un edificio in cui fare ritorno, per trasformarsi in un concetto mobile e trasferire la riflessione sull’assenza e sulla precarietà dell’abitare oggi. Come scrive Meneguzzo: “[…] è la precarietà dell’abitare – e quindi del vivere – il soggetto delle loro [Gonzalez e Galtarossa] case, che quasi non hanno più l’aspetto di case, ma solo di giacigli, di bagagli, di oggetti. Povere, leggere, tremolanti, rutilanti di colori […] sono l’emblema sfacciato e un po’ commovente di un’umanità scartata e impaurita, senza tetto né legge, ma non per sua volontà”. E infine, Hema Upadhyay, che con questo senso di precarietà ha sicuramente un legame, ma che dialoga contemporaneamente con il sovraffollamento in cui l’individuo si perde della Snelling e come quest’ultima trasporta nelle proprie opere un che di assolutamente personale, di vissuto sulla propria pelle. Sono le baraccopoli di Mumbai in contrasto con l’iper-decorativismo di raffinitati pattern indiani dei suoi “Killing site”, in cui mondi sottosopra ci parlano delle diseguaglianze socio-economiche che emergono come conseguenza nascosta dell’inarrestabile marea dello sviluppo urbano.
No place like home, vista della mostra, Brian Alfred, Vincenzo Castella, Igor Eškinja, Anna Galtarossa, Alberto Garutti, Daniel González, Tracey Snelling, Hema Upadhyay a cura di / curated by Marco Meneguzzo foto / photo Michele Alberto Sereni courtesy Studio la Città – Verona
Si dispiega così la duplicità, la molteplicità del concetto di “casa” secondo Meneguzzo che vede la “casa come rifugio, guscio, luogo sicuro, luogo franco, riparato da ogni pericolo, dove smettere l’abito sociale per assumere un abito esistenziale, individuale, personale”, ma anche come “establishment convenzionale da contestare e abbattere, in nome della libertà di vivere «senza tetto né legge»” e infine come assenza, come oggetto simbolo di una crisi sociale, economica, culturale che rimanda ai drammi delle guerre, della povertà, dell’emigrazione, ma anche al cambiamento radicale dell’idea di casa come luogo fisso, come punto di riferimento, che lascia il posto a un sentire intimo e immateriale, in cui la casa è focolare che si porta sempre con sé, nel cuore e nella mente.
Oltre alla collettiva “No place like home” Studio la Città ha inaugurato nello stesso giorno altri due progetti di notevole interesse: la personale di Giorgio Vigna “Acque Astrali” e il debutto di Chiara Zuanazzi nell’ambito di First Step 9 con l’installazione “Accendo, ricordo, rivivo, fisso. Si spegne”.
La mostra dedicata a Giorgio Vigna (1955), poliedrico artista veronese che torna nella sua città natale dopo esperienze internazionali, presenta una selezione di nuovi lavori in un allestimento intimo e contemplativo. La sua ricerca da sempre si articola su un limite sottile tra realtà e immaginazione, mettendo in campo forme naturali dagli aspetti primari e primordiali. Artificiale e naturale si combinano nei suoi lavori cercando sempre un legame con gli elementi. Nel caso del progetto ideato per la project room di Studio la Città, si tratta dell’acqua: dalle “Acque astrali” (che danno il titolo alla mostra) realizzate in vetro di Murano trasparente come una sorta di grosse gocce di rugiada solidificatesi all’improvviso fino a raggiungere la durezza di un pietra, al “Libro delle Cosmografie”, che raccoglie una serie di lavori su carta realizzati con la tecnica dell’acquatipo per dar vita a galassie liquide e diafane di inchiostro, fino alle “Acque”, ciotole di varie dimensioni in cui l’artista indaga le possibilità del vetro nella relazione mistica tra acqua e fuoco. Risulta così evidente come nel suo lavoro “micro e macrocosmo s’intrecciano, grande e piccolo, leggero e pesante, solido e liquido, freddo e caldo si scambiano di posto e generano oggetti che chiedono nell’incontrarli anche una sospensione del pregiudizio basato sull’esperienza del già noto” (G. Vigna in un’intervista di Luca Massimo Barbero per la mostra “Stati Naturali”, 2013). A impreziosire la mostra, un testo critico di Paola Marini, che già in passato aveva manifestato vivo interesse nei confronti dell’artista quando nel 2013 (nell’ambito della citata mostra “Stati Naturali”) egli intervenne con la scultura “Acquaria” nella fontana di Carlo Scarpa al veronese Museo di Castelvecchio, che allora la Marini dirigeva. Scrive ora di Vigna: “Sensibile e capace di coltivare relazioni molto profonde, egli è ben consapevole del ruolo avuto nella sua formazione dalle visite a Studio la Città, pellegrinaggi nella prima sede della galleria in Vicolo Samaritana, resi ancora più mitici dal ricordo, per incontrare e conoscere i fermenti del mondo artistico internazionale grazie all’intuito e all’impegno di Hélène de Franchis. Al pari delle visite a Castelvecchio, al bordo della fontana con i pesci, illuminate dai colloqui con Licisco Magagnato. Per celebrare e rendere omaggio a questo legame così importante Giorgio ha concepito un nuovo percorso nel suo mondo vastissimo e universale seppure composto da pezzi di apparente disarmante semplicità. Un nuovo atto d’amore”.
La mostra “Acque astrali” si configura allora per Vigna come un vero e proprio ritorno a casa. Non stupisce dunque la convivenza della sua esposizione personale con “No place like home”, in quell’accezione intima e amorevole di un luogo, non necessariamente fisico, in cui è possibile percepire il calore del sentirsi a casa.
Una nota di merito va infine a Chiara Zuanazzi, sebbene l’esposizione del suo “Accendo, ricordo, rivivo, fisso. Si spegne” si sia conclusa (il 21 dicembre). Per la giovanissima artista veronese, classe 1997, è stato il primo passo nel mondo dell’arte ed è stato un passo decisamente significativo. A renderlo possibile, il progetto dell’Accademia di Belle Arti di Verona First Step, che da ormai 9 anni si impegna nella promozione del lavoro dei propri studenti o neodiplomati permettendo a un numero selezionato di loro di confrontarsi con il mondo delle gallerie. Il progetto di Chiara per Studio la Città è un’installazione di barattoli di vetro e fumo di candela, che parla del trascorrere del tempo (reso dal lento consumarsi delle candele di cera) e delle tracce che esso imprime nella materia e nella memoria (l’annerimento del vetro a opera del fumo). Una resa cruda e insieme poetica di una sostanza effimera e impalpabile come il ricordo. 
Jessica Bianchera
mostra visitata l’01 dicembre 2018
Dall’01 dicembre 2018 al 16 febbraio 2019
No place like home
Dall’01 dicembre 2018 al 19 gennaio 2019
Giorgio Vigna. Acque Astrali
Studio la Città
Lungadige Galtarossa, 21
37133 Verona
Orario: da martedì a sabato, ore 9.00-13.00 e 15.00-19.00 (lunedì solo su appuntamento)
Info: +39 045 597549 www.studiolacittà.it

Si laurea in storia dell’arte contemporanea nel 2013 presso l’Università degli Studi di Verona e nel 2018 consegue il titolo della Scuola di Specializzazione in Beni Storico Artistici presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna. Da settembre 2013 a giugno 2015 ha lavorato in Spagna a un progetto in collaborazione con la Camera di Commercio di Santander; da ottobre 2015 è cultore della materia per la cattedra di storia dell'arte contemporanea dell'Università di Verona. Scrive per Exibart e altre riviste d’arte contemporanea come Op.Cit. Selezione della critica d'arte contemporanea; da ottobre 2016 collabora con ArtVerona nell’ambito del programma di visite guidate. Nel novembre 2016 fonda l’Associazione Culturale Urbs Picta, attiva nella promozione e organizzazione di eventi culturali al fine di favorire la conoscenza e la fruizione consapevole dell’arte contemporanea. Collabora con musei, gallerie, enti e manifestazioni per progetti di ricerca e di curatela.

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