Da quale idea nasce questa sua mostra?
Dal voler toccare, nel cinquantesimo anniversario della televisione, il rapporto tra pubblicità televisiva e vita quotidiana, capitolo storico della nostra cultura materiale.
La pubblicità è lo specchio o il motore della società dei consumi?
Specchio direi, il suo scopo precipuo è di convincere a comprare. Deve quindi parlare alle persone comuni mettendosi in una dimensione di desiderio, un poco lirica. Deve descrivere una realtà ideale. Quindi ha un ruolo specchiante.
Cosa ci ha dato e cosa ci ha tolto la pubblicità?
Premesso che è parte del sistema industriale, essa ha un ruolo trainante ed informativo. Spiega l’uso dei nuovi beni. In questo senso è stata pedagoga, ha insegnato ad usare detersivi e mangiare cibi confezionati. Dà anche un contributo all’innovazione dei consumi e come controparte sfrutta e colonizza l’immaginario, cambiando la nostra vita. In passato eravamo più poveri, una serie di cose semplici erano più complicate. La società dei consumi ci ha reso più facile la vita e l’ha appiattita, massificata, omologata: ci sono poi i costi esterni, come quelli ecologici, di cui mi occupo, ma che non possono essere presi in considerazione in una mostra sulla pubblicità.
La pubblicità ha svolto un ruolo di civilizzazione dei consumi imponendo il materialismo sulla spiritualità, che sopravvive in Oriente?
Trovo discutibile una tale distinzione, anche perché nel mondo arabo in Giappone o in Cina sono consumisti come noi. Noi facciamo parte di un periodo storico che privilegia il consumo di merci su altri valori, come quelli gerarchici di un Ancient Régime per esempio, in cui il posto nel mondo e la gloria erano elementi al primo posto. E’ difficile esprimere un giudizio semplice, se si pensa che i nostri bisnonni erano per la maggior parte molto poveri e morivano presto. Non si può non giudicare positivo l’effetto democratico del consumo. Compresi i criteri spirituali come l’alfabetizzazione.
Va bene, ma forse la pubblicità risulta oggi una esasperazione dell’ecumenismo dei consumi…
La pubblicità è l’ideologia della produzione industriale. Deprime le qualità spirituali dell’uomo ma non credo che il capitalista sia in disaccordo con il pubblicitario. Come tutte le etiche e le ideologie, la pubblicità amplifica, semplifica ed esalta una realtà costruita. Si tratta di uno specchio dei sogni dove l’asse ideologico portante stipula che il possesso del bene equivale alla felicità.
Quale sarà la pubblicità del futuro
Dipenderà da quali valori seguiremo. Il problema è politico e sociale: occorre stabilire quali leggi e valori seguire. La pubblicità ne è un sottoprodotto. Credo comunque che si tornerà a spot più lunghi e integrazioni multimediali. La pubblicità si regge sul paradosso che è una esaltazione dei costumi privati ma agisce sul pubblico. E’ anche possibile che se la società cambierà direzione e che la pubblicità scompaia.
Qual è la specificità della pubblicità televisiva?
Riesce a parlare a tutti. Quella delle vecchie affissioni prodotta sovente da artisti, come Depero, Dudovich o Lautrec, era elitaria, parlava ai ricchi ed era poco diffusa.
Che rapporto ha con l’arte e qual è il senso della sua musealizzazione
Rifiuto la svalutazione rispetto all’arte. Poiché anche quanto definiamo arte, che si distingue dalla pubblicità per essere una forma espressiva autonoma ed una elaborazione linguistica fine a se stessa, è influenzata dalla storia. La pubblicità potrebbe essere considerata un’arte applicata, interessata ma determinata anch’essa culturalmente e storicamente. Si tratta di forme diverse dell’elaborazione del senso. La pubblicità finisce in museo perché è una forma di costruzione del senso, come tante altre cose. C’è per lei un interesse in più perché è la comunicazione più potente ed è effimera che c’è. Quando inizi ad analizzarla è già morta. Museificarla significa fermarla per poterci ragionare su, come stiamo facendo ora. Comunque anche le merci, la moda e perfino il giornalismo sono ad alto tasso di obsolescenza al pari della pubblicità.
Che in più ha poteri ipnotici…
Non credo, ma studi dicono che lo schermo li ha. E poi la pubblicità è deduttiva, cerca di ottenere un consenso continuo mentre l’ipnosi è temporanea. Direi, per sintetizzare, che ha funzioni pedagogiche, ideologiche e deduttive.
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bio Ugo Volli insegna Semiotica della pubblicità all’Università di Torino. Esperto in comunicazione di massa ha insegnato in molti atenei ed è stato consulente di varie istituzioni pubbliche e private, capo redattore della casa editrice Bompiani e direttore di collana per la casa Electa. Ha pubblicato molti libri, tra cui Arte e scienza, Come leggere il telegiornale, Contro la moda e Semiotica della pubblicità.
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