Categorie: altrecittà

Parlando con Rui Chafes

di - 6 Dicembre 2011
G.Z. Hai concepito un itinerario di sculture pensato per i Sassi, un progetto promosso dall’Ambasciata del Portogallo a Roma e dalla Provincia di Matera, in particolare per gli spazi del complesso chiesastico “Convicinio di Sant’Antonio”. Un itinerario progettato secondo un’idea di “anti-scultura” oscura e indecifrabile che “prende parte” al luogo espositivo interno ed esterno. Le opere di Matera diventano delle presenze vaganti in un sito arcaico e rituale, mitico e umano al tempo stesso. Cosa rappresenta per te questa architettura liturgica?
R.C.Lavorare a Matera per me è stato un privilegio perché è una città unica al mondo. I Sassi di Matera per uno scultore sono una sorta di “trappola”. Sono una scultura scavata nella roccia, un luogo di memoria. Come uno scultore scava il proprio pensiero nell’opera, gli abitanti di Matera hanno scavato la propria abitazione e il posto dove pregare.
Le tue opere sottostanno continuamente ad un progetto di dialogo con lo spazio e il contesto architettonico. Esse agiscono dallo spazio della galleria e del museo agli scenari naturali del parco o della spiaggia oceanica. Ciascuna opera richiama aree di riflessione: il richiamo all’organico quale riferimento alla vita, l’anelito alla leggerezza e alla smaterializzazione, l’impulso a contaminare e ad espandersi.
Parlami del rapporto con lo spazio. In questo caso del rapporto con le presenze iconiche e simboliche delle chiese rupestri, con la loro forza espressiva. Inoltre delle differenze tra il progetto di Matera e quello nel Castello di Sintra.
Come ho anche detto in diverse occasioni abbiamo fatto questa mostra con molta passione. Il rapporto con lo spazio è stato certamente non facile. Uno spazio arcaico, preistorico, rupestre. Un posto umanizzato e sacralizzato, difficilissimo per uno scultore, che si trova in uno spazio che è già di per se una scultura. Mi sono trovato di fronte ad un intero sistema urbanistico creato dall’uomo così come si crea una scultura. Niente a che vedere con uno spazio neutro come può essere una galleria o un museo, ma neanche architettonico in un senso puramente storico, mi sono trovato di fronte ad un’architettura intuitiva (simile all’opera di un artista). Ho quindi pensato che tutto quello che un artista apporta è già troppo. Le opere di Matera sono paragonabili metaforicamente a dei “tagli di uno spazio mentale”. Il rapporto delle sculture con lo spazio crea un’intensità poetica, scaturita dall’unione tra parola del titolo, spazio e ferro. Questo spazio più che a Sintra, che è uno spazio abitato, si può avvicinare alla costa atlantica dove ci sono le sculture abbandonate.

A Matera le opere acquistano un significato performativo, creano una scena visionaria, senza porre significati precisi ma toccando diverse tematiche, fra le quali morte e fascino. A volte la loro presenza trasmette la sensazione di un pulsare vivo che stabilisce un legame intimo e magico con lo spazio circostante.
Nel “Convicinio di Sant’Antonio” hai elaborato una ricca scena di opere: da Inerme, quattro sculture simili a letti di ferro, ciascuna nascosta in ogni ambiente sotterraneo, e Mondo misterioso, due coppie di sculture che sembrano strumenti per camminare più in alto, “stampelle” o trampoli, a Il tempo è il mio unico amico, quattro parallelepipedi rettangoli in ferro dipinto di nero inseriti perfettamente in vasche scavate nel suolo (probabili sepolture). Le opere appaiono misteriose? Esprimono un tempo sospeso e meditativo? Svelano uno spazio poetico?
Nell’insieme si può parlare di un percorso di intensità poetica che non è mai narrativa, sono più che altro apparizioni incomplete, alcune delle quali si ripetono nelle diverse stanze. Lo spettatore inizia il percorso della mostra e improvvisamente le opere gli appaiono come delle ombre, a volte si ripetono. Ecco perché parlo di azioni incomplete. Il tutto viene controbilanciato dalle uniche sculture stabili e complete, le quattro scatole nere che definirei come un’anti-azione, un anti-movimento che coincide solo in un unico spazio geometrico rigoroso. La geometria, il dogma della forma, il simbolo più diretto, più semplice. Si può vedere dietro queste sculture un simbolo di sepoltura, di morte, oppure soltanto il mondo, il suo essere verticale ed orizzontale. É l’unico campo statico e ne avevo bisogno.
Pensando a Pasolini hai intitolato la mostra “Entrate per la porta stretta” (in riferimento alle parole del Cristo: “Quanto é stretta la porta e angusta la strada che conduce alla vita e pochi quelli che la trovano”). Questo progetto chiama in causa da una parte i “principi etici” che Pasolini ha rivendicato nel suo film (il Cristo che, nella sua lotta contro l’ipocrisia religiosa e la brama di potere, si spinge a porsi come “figlio di Dio”), dall’altra l’architettura religiosa e civile di Matera, con i “suoi labirinti umani fatti di sassi e isolamento”. Esiste una componente umana e una divina. Per te dov’è rintracciabile l’umano e dove il divino?
E’ importante vedere per me come il divino è tra l’umano. Questo è ciò che ha voluto dire Pasolini nel suo film Il vangelo secondo Matteo. Dio è uno di noi o non è uno di noi? Penso che Matera sia il luogo ideale per far rivivere il divino nell’umano. E’ proprio in questo punto, non per la forma ma per l’intenzione che mi avvicino a Pasolini.

Il tuo lavoro innesca sempre un processo di riverberi tra diversi livelli di lettura e appropriazione da parte del fruitore, costringendolo ad un “viaggio” dall’esistenza ordinaria al mondo fantasticante, lungo una galleria di presenze scultoree “sonnambule”.
Sì infatti non è una mostra realista, né surrealista, ma una mostra “sonnambula”. Come diceva Novalis: “Siamo vicini dallo svegliarci quando sogniamo di sognare”.
a cura di giacomo zaza


dal 26 novembre al 31 gennaio 2012
Rui Chafes
Sassi di Matera, Convicinio di Sant’Antonio
Parco della Murgia, Musma
[exibart]

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