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Pittura e fotografia del realismo socialista: arte di Stato e sentire sociale

di - 10 Dicembre 2011
Con la rassegna sulla pittura del Realismo socialista e la mostra dedicata ad Aleksandr Rodčenko (San Pietroburgo 1891 – Mosca 1956), il Palazzo delle Esposizioni ripropone l’intenzione, già riconoscibile nella sorprendente monografica su Aleksandr Deineka (Kursk 1899 – Mosca 1969) e nella mostra 100 capolavori dallo Städel Museum di Francoforte della primavera scorsa, di offrire al pubblico gli elementi per un rinnovamento storiografico, storico-artistico ed estetico. Realismi socialisti arriva come una ventata da nord est. Attrae come la rottura di un tabù. Toglie dalle ideologie favorevoli o contrarie l’Arte di un periodo storico-politico che influenzò tutto il ‘900, ben oltre i confini dell’URSS. Il percorso, articolato in sette sale, evidenzia le ripercussioni dirette o indirette sull’arte delle diverse fasi della politica russa sovietica, dalla Rivoluzione d’Ottobre fino a Brežnev. Negli anni ’20 l’auspicio di Lenin ad  “un’arte comprensibile per le masse” frena le tendenze avanguardiste dell’arte russa del primo Novecento e porta all’affermazione di artisti definiti “antifuturisti affidabili”, impegnati a rispecchiare la realtà con verità documentaria. Fra questi spicca Isaak Brodskij (Sofiyevka 1884 – Leningrado 1939), apprezzato successivamente anche da Stalin. Altri artisti, come Deineka, si fanno interpreti dell’esigenza di unire contenuto eroico-documentario e senso moderno dello spazio pittorico. I temi trattati trasversalmente sono il progresso industriale, tecnologico, sociale, fisico, educativo, politico, e l’affermazione dell’Uomo nuovo.

Il “Realismo socialista” trova la sua ufficializzazione negli anni ’30 con Stalin al potere: l’arte assume sempre più una dimensione utopica che prende forma nelle metafore del corpo, del volo, della gioventù; viene meno il pluralismo artistico e quindi le tendenze moderniste; oltre a quello di “proletariato” si afferma il concetto di popolo, visto anche in una dimensione ancestrale di unione biologica fra uomo e natura (Il bagno dei cavalli di Arkadij Plastov). Il periodo della seconda guerra mondiale, che nell’URSS prende il nome di “guerra patriottica”,  vede opere come La madre del partigiano di Sergej Gerasimov (Mozhaysk 1885 – Mosca 1964) e Stalingrado di Vasilij Efanov (1900-1978), che rappresentano il coraggio e l’orgoglio della popolazione durante l’assedio nazista; mentre assumono caratteri trionfalistici, ripresi dal Barocco e dal Romanticismo, le opere successive alla vittoria del ’45 (Vasilij Jakovlev, Ritratto del maresciallo Georgij Ukov). Alla guerra succedono gli anni della “non-conflittualità” secondo l’idea che, con il venire meno delle classi nella società sovietica, non potevano più esistere conflitti sociali. Di qui rappresentazioni edulcorate della società come Pane di Tat’jana Jablonskaja (1917-1989). Con l’avvento di Chrušëev e la destalinizzazione questa corrente va esaurendosi a favore di uno “stile severo”. Artisti come Tair Salachov (Baku, 1928) e Viktor Popkov (Mosca 1932-1974) danno luogo ad immagini sintetiche ispirate a pittori occidentali come Renato Guttuso, ai muralisti messicani, allo stile di Deineka, con sagome dai contorni marcati, forme e sfondi semplificati quasi fino all’astrazione, che rendono emblematici e a tratti onirici momenti e personaggi staccandoli da un contesto. Nell’epoca di Brežnev il realismo socialista raggiunge il suo apice e la sua fine: Gelij Koržev rappresenta in Bruciati dal fuoco di guerra le conseguenze psicologiche della separazione, della perdita e del trauma fisico dovute alla guerra patriottica. L’arte diviene specchio di un ripiegamento individualistico: nel ’32 Corsa di Deineka mostrava un uomo che esisteva in quanto parte di una collettività, a trent’anni di distanza un dipinto sullo stesso tema, Ginnasti dell’URSS di Dmitri Žilinskij, presenta degli atleti slegati fra loro, disinteressati gli uni dagli altri. La monografica su Aleksandr Rodčenko arriva con slancio futurista.

Il periodo di attività preso in considerazione è in realtà coincidente. Si parte dagli anni ’20, in piena temperie leninista, quando Rodčenko, già pittore, grafico, designer, scenografo dell’avanguardia russa, invade la fotografia, trasformandola da mero strumento di registrazione della realtà a mezzo per la rappresentazione di strutture intellettuali dinamiche (Ritratto di madre, 1924). La fotografia diventa un modo per vedere le cose e farle vedere come mai prima: “Le prospettive più interessanti al giorno d’oggi sono dall’alto in basso e dal basso in alto […] Chi le ha inventate non lo so. Vorrei però sostenere questi punti di vista, diffonderli in modo che le persone ci si abituino”(A. Rodčenko, Grande ignoranza o semplice cattiveria, 1928). Brillante, ma sempre figlio del suo tempo. Come nei dipinti realisti, ad ogni scatto di Rodčenko sottende un intento sociale progressivo: “Per abituare le persone a nuovi punti di vista è essenziale fotografare gli oggetti quotidiani e familiari da angolazioni totalmente inaspettate e in posizioni del tutto inconsuete.” (A. Rodčenko, I percorsi della fotografia contemporanea, 1928). All’uscita dal Palazzo delle Esposizioni quello che ci si porta dietro è proprio la sensazione di aver guardato la storia per qualche ora da più angolazioni diverse, insieme ad una sorta di leggerezza nel potere di nuovo dichiarare l’esigenza di un’arte con un pensiero sociale.
a cura di anita fumagalli
*foto in alto: Aleksandr Rodčenko, Gradinata, 1929, Stampa d’epoca alla gelatina d’argento, Collezione privata. © A.Rodčenko – V. Stepanova Archive, ©Moscow House of Photography Museum

Dall’ 11 ottobre 2011 – 8 gennaio 2012
“REALISMI SOCIALISTI. Grande pittura sovietica 1920-1970” a cura di Matthew Bown, Evgenija Petrova, Zelfira Tregulova; e “Aleksandr Rodčenko”
a cura di Olga Sviblova.
Palazzo delle Esposizioni
Via Nazionale, 194 – 00184 Roma
www.palazzoesposizioni.it
[exibart]

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