03 febbraio 2014

Ragazze in trasferta e ansia da prenotazione

 
Il titolo completo è “La ragazza con l'orecchino di perla. Il mito della Golden Age. Da Vermeer a Rembrandt. Capolavori dal Mauritshuis”. Ora potete dimenticarlo, perché quello che pare interessare tutti a Bologna non è l'arte, ma il “Grande Evento”. Le file chilometriche, le prenotazioni, gli “indotti”. E poi, dove andrà a finire tutto? Tornerà a casa, dove torneranno anche tutti quelli che si sono messi in fila per guardarla. Senza aver visto nulla

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Marco Goldin al Teatro Comunale di Bologna, attore ne lo spettacolo dedicato alla Ragazza con l'orecchino di perla (19-20 gennaio 2014)

Sono mesi che non si parla d’altri che di lei. L’annuncio era arrivato a febbraio 2013, come punta di diamante della nuova partnership tra Linea d’Ombra, la società di produzione di mostre capitanata da Marco Goldin, e Fondazione Carisbo, che metteva a disposizione per la nuova joint venture Palazzo Fava. Stiamo parlando dell’arrivo in Emila de La ragazza con l’orecchino di perla, stella tra le altre 37 opere che andranno a comporre la mostra che, come elencato da Goldin stesso, porta a Bologna «oltre Vermeer anche Rembrandt. E poi da Hals a Ter Borch, da Claesz a Van Goyen, da Van Honthorst a Hobbema, da Van Ruisdael a Steen». Speriamo che almeno per gli artisti la pronuncia l’abbia azzeccata, visto che in una festosa intervista al Gr3, ha ribattezzato il museo che ospita la Ragazza “Mauritshais” (all’inglese), anziché “Muritshuis”, come si legge e pronuncia in olandese.   
Ma la cosa più interessante, nel calderone di notizie che da qualche giorno si rincorrono su qualsiasi media nazionale e non (anche www.artdaily.com, il primo quotidiano d’arte web degli Stati Uniti ha dedicato un suo primo piano alla trasferta del dipinto dal Mauritshuis de L’Aia a Bologna), è la questione dell’ “eccezionalità dell’evento”. Poco altro si legge tra le righe, insieme alla “possibilità di ammirare il dipinto-icona della bellezza”, “la sorella della Gioconda”, “il capolavoro assoluto come lo sono L’Urlo, Monna Lisa, i Girasoli” e mirabilia per le masse simili.
Mauritshuis, L'Aia

La mostra apre il prossimo 8 febbraio, in un restaurato Palazzo Fava che in quella data chiuderà alle 2 del mattino, con tanto di concerto e stuzzichini ai visitatori all’addiaccio in attesa di entrare, offerti dal Consorzio dei Panificatori Bolognesi.
Un restauro, quello al Palazzo, durato un paio d’anni, e di cui le cifre non si riescono a scucire. Così come tutti i costi della “mega mostra”, sei sale di esposizione in tutto, anch’essi tenuti sotto stretto riserbo. 
Probabilmente perché altissimi, e perché nessuno voleva essere da meno che a Tokyo e Kobe, San Francisco, Atlanta e New York, che negli ultimi due anni hanno ospitato a tempi alterni il viaggio della Ragazza, in attesa che il Mauritshuis termini i suoi lavori di restauro (la riapertura è prevista per l’inizio dell’estate e attualmente buona parte della collezione è ospitata al Gemeente Museum, sempre all’Aia) cosicché il Vermeer possa tornare a casa, per sempre. 
In conferenza stampa, ad una legittima domanda proprio sulle finanze, Goldin ha goffamente glissato (siamo comunque nell’ordine delle cifre a sei zeri), ricordando solo come, nonostante i sette pezzi in più, la mostra di Bologna sia costata meno delle precedenti tappe.
Palazzo Fava, Bologna

Ancora non si parla d’arte, come dicevamo poco sopra, ma di evento.  
E allora torniamo ai dati: la mostra dedicata alla Golden Age si sta rivelando già un investimento? In che senso? Nel senso che ad oggi paiono essere state superate le 100mila prenotazioni (intero 13 euro, interno con visita guidata 21 euro), e Palazzo Fava aprirà con orario continuato dalle 9 alle 22 fino al prossimo 24 maggio (data di fine mostra). Presenze stimate? 230mila in poco più di tre mesi.
Ancora in conferenza, Fabio Roversi Monaco, Presidente di Genus Bononiae e Carisbo, ha ricordato le polemiche che hanno accompagnato la scelta di esporre a Palazzo Fava l’opera di Vermeer, affermando: «Quando si dice prendiamo i capolavori che abbiamo e mostriamoli, si dice una cosa dal punto di vista etico e culturale corretta, ma si dovrebbe pensare all’effetto “statico” di cui queste opere sono vittime e per il quale, per esempio, la Santa Cecilia di Raffaello e la Pinacoteca cittadina scarseggiano di visitatori. Alla domanda che spesso mi rivolgono “Ma che cosa resterà di tutto questo?” io rispondo che cosa resterà di tutti gli altri eventi che abbiamo promosso. Che cosa resterà, domanda di estrema attualità, per esempio, dell’Orchestra Mozart dopo la scomparsa del maestro Abbado? Sono domande a cui non si può, o forse non serve, rispondere prima del tempo». 
Vermeer, Ragazza con turbante, 1665-66

Già, cosa resterà a Bologna dopo l’arrivo e la ripartenza della ragazza olandese?  Il solito deserto nelle sale dei Musei Civici perché non promossi a sufficienza? 
Davvero siamo così sicuri che in città la ricaduta sull’economia, grazie ai visitatori di Palazzo Fava, sarà altissima? 
Lapidario, su questo punto, è Philippe Daverio in un’intervista di Stefano Pitrelli sull’Huffington Post: «Si calcolino soltanto i valori assicurativi: questa mostra costerà parecchio denaro. Dovranno guadagnarci su gli olandesi, l’assicurazione, chi la organizza. Però non serve a niente. Il compito del denaro pubblico – e quello speso è denaro pubblico, anche se in una veste particolare – è di contribuire alla formazione e alla presa di coscienza dei cittadini. (…) In una città come Bologna, dove uno dei musei più importanti d’Italia vive situazioni drammatiche di sopravvivenza, perché buttare soldi in operazioni come questa, e non su un lavoro serio sui Beni Culturali? Ancora un po’ e le sovrintendenze saranno costrette a spegner le luci. Per non parlare dell’Emilia, che esce da un terremoto: una parte delle opere d’arte delle sue chiese sono ancora messe in rifugio, sono ancora in deposito. Questa è solo una roba inutile. Imbarazzante». 
Facciamo ora solo un paio di esempi “economici”: per la clientela di serie A il Grand Hotel Majestic, ex Baglioni, unico 5 stelle lusso della città, propone il soggiorno “Perle d’Arte”, con cena e aperitivo a tema, corso di pittura e “un ricordo speciale per un evento eccezionale” per tutte le clienti (sarà mica un orecchino, o un turbante?!?) mentre invece, da tutta la penisola, i tour operator dell’arte stanno mettendo a disposizione trasferimenti di ogni genere e sorta. 
Che appunto dovrebbero portare a Bologna centinaia di migliaia di persone che resteranno in città il tempo della fila, della visita a una manciata di sale, e poi saranno riportate da dove venute.
Thomas Struth - Audience 13 - 2004 - c-print - cm 178x276,5

Intanto è altissima l’ansia da prenotazione, e anche un po’ di terrorismo psicologico, per  una corsa al biglietto che ha del fantozziano: “Si sa già che le richieste saranno superiori alle disponibilità: la sede espositiva, per altro bellissima, ha una capienza limitata e la Ragazza, ovunque sia andata in questa sua breve tournée fuori casa, ha attratto le folle”, si legge in uno degli ultimi comunicati stampa diffusi. E ancora, sullo stesso tenore: “Ogni giorno sulla homepage del sito (www.lineadombra.it) sarà reso noto il numero degli ingressi disponibili per il giorno successivo. Per ogni chiarezza, la stessa informazione sarà riprodotta su un display luminoso all’esterno di Palazzo Fava, dove sarà possibile leggere la disponibilità, a scalare, sia della giornata in corso, sia quella per il giorno successivo”. Non crederete insomma di farla franca, pensando di presentarvi alle casse come se nulla fosse?
In tutto questo, come sarà la mostra? Senz’altro il fiore all’occhiello è l’illuminotecnica, lodata anche dagli stessi responsabili del museo olandese. Nulla invece si vedrà del contesto, ovvero degli affreschi rinascimentali per i quali Palazzo Fava è famoso nel mondo, lasciati al buio per consentire solo il focus sui Maestri olandesi, messi in scena attraverso i temi del paesaggio, del ritratto, degli interni e della Natura morta. E quali sono davvero i pezzi di rilievo? Le Nature Morte, appunto, e i tre ritratti di Rembrandt. 
La ragazza con l’orecchino di perla? Il titolo effettivo è Ragazza col turbante. Eseguito nel 1665 circa, misura 44 centimetri per 39. Una miniatura, come tutti i dipinti di Vermeer, che ha bisogno di essere osservata in silenzio e concentrazione, per poterne coglierne la magia dello sguardo, in quello che sembra un antesignano scatto fotografico rubato. E che invece dovrà incrociare migliaia e migliaia di occhi, spesso tutti insieme, magari accavallati l’uno sull’altro. Che fatica, povera ragazza incompresa! 
(Ha collaborato all’articolo Leonardo Regano)

5 Commenti

  1. Alcune opere d’arte assumono un’aura di mito e non gliene possiamo fare una colpa: qualcosa si muove dal gesto dell’autore e attraversa il tempo e lo spazio. Altre opere restano in un angolo,vittime magnifiche e struggenti forse del caso o forse di un loro non essere abbastanza vive.Il fatto che si tratti di un evento non cambia la sostanza di poter vedere da vicino un piccolo oggetto nato per farsi guardare. Le critiche ostinate appaiono un pizzico snob. Io visito molte mostre, palazzi, monumenti e , se mi sono piaciuti, ne scrivo per invogliare gli altri a farlo; alzo gli occhi verso i soffitti affrescati e faccio volentieri le file perché mi fa piacere trovare gente nei posti. Ho potuto vedere solo un altro quadro di questo pittore che amo da sempre prima di sapere di Proust e prima di leggere il delizioso libro: l’ho visto a Modena qualche anno fa in una piccola mostra gioiello creata intorno a quell’ unica opera. A Roma non sono potuta andare perchè le distanze per molti contano. Bologna è una sede ideale per molti, è uno snodo importante.
    Sono andata alla serata evento al Teatro Comunale alla quale ero riuscita a prenotarmi interagendo con un’organizzazione che con me è stata gentile ed efficiente. Mi sono goduta una bella serata, peraltro gratuita, e ho, nel mio piccolo, operato una ricaduta sull’indotto locale usufruendo del parcheggio e di ben tre esercizi della zona, in una città bellissima che offre mille cose da vedere e ora anche questa. Se ad alcuni il visitatore scappa e fuggi sembra così trascurabile io invece lo adoro, per la sua ostinata ricerca di bellezza, e quindi gli regalo il consiglio di far rientrare nel viaggio almeno un’altra piccola cosa la casa-studio di Giorgio Morandi in via Fondazza o l’antica sede dell’Università.

  2. Concordo con Vera, della quale mi incanta il tono civile e non inutilmente polemico dell’intervento. Aggiungo anzi, che, con la consueta “abilità”, Linea D’Ombra” ha creato per Bologna una interessante promozione di circuiti di visita cittadini (e Bologna, come avete scritto è una miniera, all’aperto al chiuso dei suoi Palazzi)legati al biglietto d’ingresso alla Mostra. Mi pare vero, e perciò atto di trasparenza, sottolineare che – al di là di quanto espresso nella recensione per inciso da Daverio (questioni di opportunità contingenti etc etc) condivisibilissimo – il tono snob sia riferibile ad una polemica interna al mondo dell’organizzazione artistica verso il successo, sicuramente pop, di Linea D’Ombra e del suo abile imprenditore. Critica che personalmente mi vede d’accordo: ci siamo bevuti anni di pre-post ed impressionismo in tutte le salse e pessimi (in tutti i sensi) allestimenti di gran battage ed altrettanto successo di pubblico. Rimane sempre aperta e valutabile la questione se questo tipo di “imprenditoria” sia in parte utile, nella misura in cui avvicina i molti, diversamente lontani, all’arte. Magari fraintendendola, forse non godendola nella sua complessità, ma comunque famigliarizzandoci.

  3. Non penso proprio che il visitatore mordi e fuggi sia un “ostinato ricercatore di bellezza”: piuttosto è un “trasportato”. Gli ostinati di solito cercano l’arte, anche e soprattutto da soli, senza bisogno di tour operator.
    Resta la famigliarizzazione, ma cosa porta se non è abitualmente alimentata?

  4. Conosco bene l’intima delizia di visitare da soli una mostra, magari piccola e individuata curiosando qua e là. Devo però confessare che al godimento di soffermarsi a piacimento su ogni piccolo particolare, ritornando più volte su ciò che più ci ha interessato, si unisce , almeno per me, un sottile senso di colpa, o almeno una sorta di rimpianto che molte persone, i ragazzi prima di tutti, non possano partecipare di tale piacere.Dico non possano perché esiste un sistema politico- economico che vuole diminuire l’amore o almeno il rispetto per la cultura e un sistema dell’arte che esalta prodotti di un certo clan e ne denigra altri, senza alcun rapporto con il loro reale valore artistico e non tutti hanno la formazione, gli strumenti per coltivare territori inaccessibili. Se da un lato quindi dobbiamo rispetto a chi dedica la domenica ad una mostra-evento invece che al centro commerciale, trascurando il fatto che non approfondisca tutti i temi ad essa correlati, non bisogna vergognarsi di dire che è bene che un’esposizione incassi, perché altrimenti non ce ne sarà un’altra, specialmente di questi tempi.

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