17 dicembre 2011

Se il design parla cinese

 
Un’interessante quota di vincitori cinesi al concorso italiano “Un designer per le imprese”, tanti studenti cinesi formati alla scuola occidentale del design. È un movimento culturalmente monodirezionale? Solo estensione del nostro know-how in cambio di onerose rette? Sembra di no. D’altra parte non lo fu neanche in senso contrario secoli fa, quando il lusso delle corti europee esibiva manufatti cinesi e imparavamo da loro le tecniche eccelse della produzione ceramica, della laccatura e della tessitura serica...

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Il 10 novembre 2011 sono stati premiati in Triennale a Milano, dove saranno esposti fino all’8 gennaio 2012, progetti di studenti degli istituti di design Naba e Domus Academy, per la seconda edizione del concorso “Un designer per le imprese”. Leggendo l’elenco dei premiati e selezionati per i prototipi aziendali, un dato incuriosisce: per Domus Academy si notano diversi nomi cinesi. Ben il 31% dei loro studenti vincitori.
Al di là di istintive quanto miopi preoccupazioni xenofobe ai tempi della crisi, viene da chiedersi: come mai?
Gli studenti di design cinesi in Europa sono tutti alla Domus? Oppure in tutti gli istituti post-universitari si verifica questa pacifica invasione? Questi futuri professionisti disegneranno in Europa o in Cina? Ma soprattutto, arricchiranno il design contemporaneo con i caratteri della loro civiltà? Oppure semplicemente acquisiscono know-how e stile occidentale?
Sulla presenza di studenti cinesi alla Domus, ci siamo informati. L’istituto ha una vocazione internazionale e ospita in maggioranza studenti stranieri. Per quanto riguarda i cinesi, nell’ultimo anno hanno costituito il 9% del totale dei loro studenti. Tra l’altro, pare siano anche un gruppo talentuoso, visto che come vincitori del concorso “Un designer per le imprese” sono saliti al 31%, come dicevamo.
Ma anche altre scuole italiane, negli ultimi anni, hanno beneficiato delle iniziative messe in campo dalle nostre istituzioni per recuperare il gap con gli altri paesi occidentali, nell’attrazione di studenti cinesi paganti. Vedi il Progetto Marco Polo del 2006 e l’attività di promozione dell’offerta formativa italiana del centro Uni-Italia dal 2007, che ha portato ad ottobre scorso alla missione di 30 atenei italiani in Cina.
Pechino, dal suo canto, apprezza la nostra presenza stabile presso di loro: ad aprile 2011, nell’Università Tongji, è stato fondato il Centro sino-italiano del design e dell’innovazione, che attirerà oltre 50 famose aziende di design cinesi e italiane e darà inizio a progetti locali di formazione nel campo del design. In effetti è già da qualche anno che la Cina si sta organizzando per aprire sue scuole di design, con un programma che nel 2008 prevedeva l’apertura di 550 istituti nel paese.

Ad ogni modo, ovunque studino i futuri designer cinesi, il dato interessante è che sono definitivamente orientati ad acquisire know-how occidentale, pur avendo una tradizione di qualità stilistica e manifatturiera altissima.
Nella storia di tutti i paesi dell’Estremo Oriente, la cultura cinese è stata sempre la più avanzata ed indipendente, influenzando enormemente paesi vicini e lontani, dalla Corea al Giappone, all’Europa ed all’America. Nel XVII e XVIII secolo l’importazione di porcellane e sete in Europa portò ad un diffuso gusto cinese nella decorazione e nel design di arredamento. In Francia Ie chinoiserie si mescolarono al Rococò, in Inghilterra nacque lo stile ibrido Chinese Chippendale, nelle colonie americane gli interni dei ricchi esibivano carte da parati con motivi cinesi.
Questa passione occidentale portò anche, in negativo, allo scadimento dei caratteri del design cinese nelle imitazioni europee e nelle produzioni cinesi destinate al mercato occidentale. Da queste erronee contaminazioni nacque e perdura il preconcetto di un design tradizionale cinese pesante, eccessivamente decorato, quasi clownesco. In realtà il design cinese originale, concepito in Cina per i cinesi, era assolutamente maturo, serio, sofisticato, di eccellente esecuzione e qualità.
E arriviamo così a porci gli ultimi interrogativi di questa breve riflessione: qual è la distanza tra l’eccelso design cinese tradizionale e il design cinese contemporaneo?  Quest’ultimo può continuare ad arricchire il patrimonio mondiale con i suoi caratteri distintivi, oppure la formazione prevalentemente occidentale dei designer cinesi ne inibisce l’originalità?
Alcune positive risposte arrivano dagli oggetti visti negli ultimi anni in esposizioni europee, come “China Design Now” al V&A Museum di Londra nel 2008 e “China New Design” in Triennale a Milano la scorsa estate.
Il co-curatore della mostra londinese,  Zhang,  aveva detto in quell’occasione: “I cinesi amano vedere qualcosa di nuovo ma che ricordi anche il loro patrimonio. Voglio dire tradizioni profonde, non simboli e draghi. Un buon esempio potrebbero essere le sedie di Shao Fan, che decostruisce le sedie Ming creandone di nuove con elementi moderni.”

Qualcosa di nuovo, che poi a guardar bene tanto nuovo non lo è più. Il design moderno cinese è ormai ultratrentenne, ha avuto tutto il tempo di maturare identità e consapevolezza da quando, nel 1978, le riforme di Deng Xiaoping hanno permesso lo sviluppo di poli internazionali del lifestyle e graphic design come Shangai e Shenzen.
Dagli anni Novanta, poi, parallelamente alle nuove riforme ed alla crescita della middle class,  la domanda cinese di oggetti di design è definitivamente aumentata evolvendosi dalla iniziale ricerca esterofila dei brand del lusso ad un gusto più maturo. E si sono moltiplicate le occasioni lavorative per creativi e progettisti cinesi nel loro stesso paese.
Forse un giorno saranno di nuovo loro a formare noi, e probabilmente non manca neanche molto.
a cura di imma puzio
 
 
*foto in alto: Premio “Un Designer per le Imprese” 2011 – Progetto “ShockWave” di Na Zhao e ChengHao Huang
 
 
[exibart]

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