12 dicembre 2011

TFF: Che fine ha fatto il red carpet?

 
Il Torino Film Festival si conferma anche quest'anno come uno dei pochi (o l’unico) festival cinematografici italiani di respiro internazionale, che deve la grande partecipazione di pubblico esclusivamente alla qualità dei film...

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Quello di Torino, è un Festival cinematografico diverso. “Che non si è mai voluto mettere a paragone con quello di Roma, ne tantomeno con quello di Venezia” dice l’oramai collaudato direttore Gianni Amelio. Al Torino Film Festival in effetti manca qualcosa: il clamore dei gossip, lo strascichio delle vesti delle celebrità, il brio delle mattine ancora pregne di alcol dei festeggiamenti notturni o il ripetersi martellante dei flash fotografici sul tappeto rosso? Ecco, al TFF manca un red carpet messo bene in mostra dove i vips possano sfilare (e non essere contestati come è successo al Teatro Regio), mancano le cerimonie roboanti e rutilanti, manca la mondanità tipica del mondo del Cinema … al TFF del mondo del Cinema sono rimasti solo i Film. Ebbene questo è  “solo” un festival di Film. Dei 200 lungometraggi proiettati nelle 11 sale pochi riappariranno nei circuiti commerciali, perché tra l’altro il TFF promuove solo opere prime, seconde o terze dei registi, incoraggiando una cinematografia giovane e (addirittura) indipendente. Difatti il film che ha vinto il concorso, Either Way , è un film islandese dal modestissimo budget, girato in 3 settimane, con una troupe di 15 persone. Un film che è stato definito beckettiano: due soli personaggi che si occupano della manutenzione stradale nei fiordi nord occidentali e cercano “valorosamente” di ammazzare il tempo. Either Way  è l’esordio nel lungometraggio di finzione del trentatreenne Hafsteinn Gunnar. Al di là di vincitori e vinti, la sezione del TFF sono volte in toto a carpire le tendenze inedite e contemporanee del cinema internazionale e ad approfondire gli aspetti innovativi degli autori del passato. Oltre a quella del concorso Torino 29, la sezione Festa Mobile propone le novità stimolanti e le mode nascenti del 2011 passando dall’horror di Intrudes , per il POV movie di 338 Arletta avenue fino alla commedia folle di The Catechism Cataclysm. Quest’anno la giuria ha consegnato il Gran Premio Torino, nato quattro edizioni fa per omaggiare gli autori che con la loro opera “hanno contribuito al rinnovamento del linguaggio cinematografico, alla creazione di nuovi modelli estetici e alla diffusione delle tendenze più significative del cinema contemporaneo”, a Aki Kaurismaki per il suo bellissimo Miracolo a Le Havre, passato inosservato a Cannes.

Il festival ha dedicata la  sua retrospettiva principale al noto regista Robert Altman , presentando  i suoi oltre quaranta lungometraggi per il cinema e la televisione. L’altra grande rassegna è quella di Rapporto confidenziale. Si è riproposta la complessità e la completezza del percorso cinematografico del grande autore giapponese Sion Sono,  rivelando agli spettatori italiani la sua matrice sperimentale degli anni 80, che negli ultimi lavori è totalmente fusa con quella narrativa. Mentre Onde è  la sezione in cui lo spirito di rinnovamento dei linguaggi e  di ricerca  del TFF, è spinto al limite massimo e prende forma in opere transmediali,  che si liberano da ogni tipo di caratterizzazione e di genere. Due grandi autori dell’avanguardia americana hanno partecipato con i loro lavori difficilmente classificabili tra documento, sperimentazione e videoarte: James Benning e il maestro dell’underground Jonas Mekas. Il primo con un opera dalle reminescenze warholiane, Twenty cigarettes è un susseguirsi di venti ritratti cinematografici di persone che in tempo reale fumano una sigaretta. Mekas ripropone una Mille e una notte americana: in Sleepless Nights Stories  con il pretesto di una notte insonne racconta intimamente alla sua telecamera circa 25 vicende differenti riprese dalla vita quotidiana dei suoi buoni amici: aneddoti, angosce, discussioni filosofiche e ricordi. Questi film rappresentano la forte partecipazione del cinema americano in un festival tutt’altro che eurocentrico, che è superata , però, dalla preminenza asiatica, sia per la partecipazione numerica delle pellicole che per la loro immediatezza espressiva.

Il cinema asiatico, e quello giapponese in particolare, si rivela pronto a recepire gli stimoli contemporanei  della società e palesa una capacità di comunicare in termini filmici che valica le convenzioni consolidate del cinema occidentale. La produzione di Sion Sono ci illumina in questa direzione, ma spiccano anche film come Record future di Kentaro Kishi , in cui i piani temporali si confondono (senza sconfinare in ambito horror): i due giovani insegnanti protagonisti sono posseduti dagli eventi passati che appartengono al luogo dove si  sono trasferiti  e li proiettano nel futuro. Anche Honey Pupu di Hung-i Chen , in cui i protagonisti riuniti in una chat room rielaborano il presente come fosse una variabile impazzita tra assenze e ricordi, è da segnalare per l’ uso del  linguaggio cinematografico che si avvicina alla fluidità dei media digitali. La cinematografia asiatica emerge  dalla produzione internazionale perché non si avvale di una comunicazione stanca e didascalica,  dimostrando come l’immaginario dell’ oriente non sia saturo quanto quello occidentale. Il TFF quest’anno ha raggiunto i 69.000  ingressi totali  alle proiezioni, un’affluenza in aumento esponenziale dalla scorsa edizione . Oltre a quelle già citate, ha avuto in programmazione opere esclusive  di grandi autori , come l’incandescente documentario di Werner Herzog sulla pena di morte Into the Abyss, l’ultimo film di Woody Allen: Midnight In Paris e in extremis  ha presentato come evento di chiusura Twixt, l’horror gotico del maestro Francis Ford Coppola.
 
a cura di arianna forte

 
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