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Un buon contenuto non basta

di - 22 Settembre 2017
Una delle più grandi innovazioni tecnologiche degli ultimi anni è sicuramente lo smartphone, e non solo per il versante delle comunicazioni, ma soprattutto sul fervore “innovativo” che è riuscito a liberare: le app.
Grazie all’utilizzo di applicazioni esterne, gli smartphone rappresentano un portato di innovazione continuo: alti tassi di nascita, alti tassi di mortalità, e, in qualche caso, applicazioni in grado di migliorare sostanzialmente la vita delle persone. Dalle applicazioni per il lavoro (come il pacchetto office, o tutti i software finanziari) fino a quelle per il tempo libero (dai social network ai giochi), i nostri cellulari sono diventati il terreno di battaglia su cui a suon di app, grandi e piccoli team di sviluppatori/innovatori cercano di raggiungere una fetta sempre più grande di clientela. Ma quali sono le dimensioni della cosiddetta “app economy?” e quali sono le previsioni di sviluppo?
Un rapporto, stilato da App Annie prevede che per il 2021 la dimensione totale del mercato legato alla realizzazione, distribuzione e consumo di app sarà maggiore di 6 trilioni di dollari, vale a dire: $ 6.300.000.000.000.000.000. Una cifra certo non da poco, soprattutto se, come dice lo stesso report “Se quest’economia fosse quella di uno Stato, allora sarebbe il terzo stato al mondo per PIL”.
Il report, ovviamente, non cita il nostro Paese, ma si limita semplicemente ad indicare i principali player del settore che sono, in ordine, Cina, Stati Uniti, Giappone, Regno Unito e India. In particolare, secondo il report, l’economia che maggiormente crescerà nei prossimi cinque anni è proprio la Cina: dagli 0,79 triliardi di dollari, il report attribuisce una crescita di mercato incredibilmente elevata, che si attesterebbe intorno ai 2,59 triliardi di dollari.
Spesa oraria in App 2016-2021
Sempre secondo il report, che include nella spesa tutti gli acquisti fatti attraverso mobile app, questo grande incremento è dovuto soprattutto alla relazione tra tempo trascorso e acquisti. Anche sotto questo punto di vista il Paese leader del mercato proviene dalla zona geografica dell’estremo oriente: il Giappone.
Quali conseguenze per le Industrie Culturali e Creative?
Evitando di citare le ICC ad alto contenuto tecnologico (da quelle che costruiscono siti ed app fino alle imprese di online advertising e di social media marketing) il cui coinvolgimento in questo settore è naturale, questo mercato può apportare alle restanti industrie del comparto un grande livello di opportunità: dalle case editrici online agli editori e sviluppatori di videogames, una crescita sostanziale del mercato online è sicuramente correlata con un aumento del fatturato globale del cluster. Il motivo, prima ancora che economico è di tipo “concettuale”. La materia con cui è costruito il mondo virtuale, contrariamente a quanto si pensi, non è fatta di bit o byte, ma di contenuti.
E quindi è quasi inimmaginabile che un utente medio possa trascorrere sulla stessa app più di un’ora se in quell’app non c’è nessun tipo di contenuto “extra”: dall’utilizzo di video (ICC), alla realizzazione di articoli di blog (ICC), dalla realizzazione di grafiche accattivanti (ICC) fino a veri e proprio progetti che cercano di coniugare lo specifico settore retail (ad esempio la moda) con contenuti di tipo artistico (ICC).
Spesa totale per App nel 2016 e la previsione per il 2021
Un esempio su tutti? Il progetto Prada Doll House, un progetto che in tutto e per tutto richiama le regole della gamification (in effetti è un dress-up games, giochi in cui le persone si divertono a “vestire” modelle e modelli che fungono da manichini virtuali, soltanto che ovviamente tutti i vestiti con cui si gioca sono quelli della griffe italiana, e i contenuti multimediali (dai video all’ambientazione, fino alla “giocabilità”) sono caratterizzati da elevati standard qualitativi.
Questa semplice constatazione mostra come la correlazione tra crescita del mercato mobile e crescita delle ICC possa essere facilmente estesa non soltanto alle start-up tecnologiche e digitali, ma che possa riguardare tutto il settore dei contenuti: basta avere una buona idea e anche le imprese che si occupano di archeologia possono beneficiare di questi nuovi trend di consumo.
Attenzione però, perché le buone idee certo non vengono da sole: c’è bisogno di un’organizzazione, di personale competente, di apertura alle novità e di processi “aziendali” in grado di sviluppare un pensiero “laterale”, creativo. Non si può pretendere che basti avere un contenuto e questo divenga interessante. C’è bisogno di risorse dedicate alla realizzazione di progetti collaterali, che riescano a favorire l’integrazione dei settori della cultura con quelli più market-oriented.
Se non capiamo questo, allora parliamo soltanto del nulla.
Stefano Monti

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