Un momento conviviale e a dir poco divertente, che quest’anno come tema si è dato il titolo di “Zavagli e Svarioni”, che in romagnolo significa pressappoco “combinare un guaio, fare un casino, prendere un abbaglio”, ma che indica anche quegli oggetti inutili e ai quali ci si lega d’amore, o più prosaicamente essere un po’ fuori di testa, un po’ come si è collettivamente – in senso stupendamente buono – da queste parti.
Ma l’essere un poco più bizzarri della media italiana, giusto per stare nei confini nazionali, provoca dei cortocircuiti che – nonostante le apparenze goliardiche e mangerecce – scavano profondamente nel concetto di relazione, condivisione, convivialità e cittadinanza partecipata.
Tanto che i cittadini, appunto, scendono per le strade a migliaia evitando – ribadiamolo perché trattasi di un punto importante, e qui sta la diversità – di scadere nelle fila della fiera paesana, della sagra, dell’osteria a cielo aperto.
Siamo a Faenza, in occasione dell’11esima edizione del week end di Distretto A, il quartiere dell’arte della cittadina romagnola (ovvero il suo centro storico): tre giorni che si potrebbero definire di impronta dada-surre-situazionista, in cui Faenza apre le sue porte (54 spazi tra botteghe, ceramiche, studi, vetrine, bar, ristoranti, case private, esterni, cortili e affini), ospitando ristori e chef stellati, ognuno dei quali propone un piatto, facendo divenire i faentini che accettano di partecipare all’evento i “curatori” del proprio spazio.
Responsabilizzandoli, insomma, verso una dimensione organizzativa-estetica (si sa, le nonne insegnano che con l’ospite bisogna pur sempre fare bella figura).
Che l’arte “partecipativa” sia una questione quotidiana ormai è fuori discussione: da nord a sud del mondo sono infiniti i festival, i progetti, le manifestazioni che cercando di creare comunità intorno alla fruizione dell’arte in modalità vis-à-vis. Spesso, però, si perde facilmente la percezione rispetto al soggetto con il quale il pubblico dovrebbe dialogare: è l’opera? È l’artista? È un innesco che provoca la nascita di una nuova istanza, di una consapevolezza, di una “cultura”?
Ecco che a Faenza, senza troppi fronzoli e rimasticamenti di concetti abusati sul tema, è proprio l’intera città ad essere faccia a faccia con se stessa, con la questione dell’offrire una dimensione dello “star bene” che dura una manciata di ore, in un progetto così evanescente e così frizzante che, per sua natura, può solamente essere un fulmine.
E che è la punta dell’iceberg di una collaborazione con “Buongiorno Ceramica”, evento nazionale che avviene contemporaneamente in tutte le città della ceramica italiane (AICC), e si svolge proprio in questo week end, intersecandosi con il fine settimana di Distretto A (hashtag ufficiale #DAWE2018).
E così, insieme al Tico-Taco (taco di calamari, cavolo, avocado e lime) offerto dal ristorante (due stelle Michelin) Magnolia di Cesenatico a Lucero’s House, o ai gnocchetti al ragù di mora romagnola firmati DaGorini nella corte di Casa Sangiorgi o al Raw Magna (ovvero la via romagnola al Pulled-pork come recita la guida del week end) di quelli di Postrivoro – gli organizzatori faentini delle cene “immaginarie e invisibili” – in via Pezzi, alla piadina di Quintoquarto nella sede della Cassa di Risparmio di Cento (già, la piada servita in banca, operazione a dir poco ardita e surreale) c’è chi mette in scena le opere della propria collezione, e quelle dei propri avi. Anche in questo caso in case, nei cortili, nei bar e per le strade.
Urban Art Contest 2018, Faenza. Murale di Tellas per Blocco A, courtesy l’artista
Potete anche storcere il naso, ma vi ricorderete perfettamente l’appeal dell’artista outsider, giusto? E allora perché Faenza non si dovrebbe poter fare? Soprattutto nella Faenza patria di ceramiche d’autore e con le migliori botteghe sulla piazza, e le residenze del Museo Zauli, solo per fare un paio di esempi.
“Allora fate come vi pare”, a proposito di arte, è una piccola mostra di ceramiche curata da Matteo Zauli al primo piano del Blocco A, ex deposito degli oggetti smarriti del Comune, che raccoglie produzioni di Ettore Sottsass, Chiara Lecca e anche una foto di Marco Samoré, giusto per citare qualche nome, appartenenti alla collezione di Francesco Pinoni, banchiere e mecenate, che del titolo della mostra aveva fatto il suo motto. E in attesa di istituire ufficialmente un premio per giovani artisti alla sua memoria ecco l’omaggio in questo spazio che la cui facciata è stata interamente dipinta dallo street artist cagliaritano Tellas, nella prima parte di un doppio murales che – giocato sul rapporto terra-mare – è stato il vincitore dell’Urban Art Contest di quest’anno, sempre promosso da Distretto A in collaborazione con l’Associazione Culturale Punta Comune, la cui seconda parte verrà realizzata a Palermo, nei giorni di Manifesta, sostenuto anche grazie a una campagna di crowdfunfing: «Di solito non partecipo mai a concorsi – ci dice l’artista – ma stavolta sono rimasto affascinato dal tema e dal fatto di poter pensare il muro per due città differenti. D’altronde, per me, ogni muro ha una sua identità e il bozzetto iniziale resta assolutamente tale: di fronte al muro e alle differenti possibilità e difficoltà di realizzazione il progetto reale cambia forma, a volte colori. È in progress nel vero senso del termine».
Perché Faenza, ormai da diverse edizioni, è in anche una città di graffiti: sui muri del suo centro storico si sono alternati negli anni Eime ed Etnik, per esempio.
Se poi cercate qualcosa di più istituzionale, oltre al Museo Carlo Zauli e al MIC potete fare un giro nei bei saloni dell’ISIA, che ospita una nuova versione della mostra “Work”, a cura di Andrea Anastasio, presentata anche a Milano durante lo scorso Salone del Mobile da Assab One.
Un modo per conoscere da vicino anche la didattica che si offre in questo istituto d’eccellenza che ospita ogni anno una classe di circa 30 studenti che, oltre ad apprendere l’aspetto teorico della progettazione, sono affiancati da designer e professionisti che ricordano come la disciplina del progetto debba essere anche corrisposta da un’azione pratica, dalla capacità di “mettere le mani” in pasta.
Evviva il Distretto A, insomma, in questo week end che da queste parti è rimasto un po’ postmoderno – tirando in ballo la figura (dal sottoscritto particolarmente amata) di Pier Vittorio Tondelli, che da e di queste zone ha scritto pagine di poesia assoluta, raccontando una quotidianità che è fatta di piccoli eventi speciali. E di radio libere che ancora, dagli anni ’80, suonano i grandi successi degli A-ha o di Michael Jackson e che fanno ballare in una piazza, come accade in Call me by your name con l’ombrosa Love my way, qui grazie alle casse dell’emittente MelodyBox. Evviva la Romagna.
Matteo Bergamini