È a Forte dei Marmi, capitale delle estati versilesi e italiane, che si è sugellato l’importante e sorprendente sodalizio con il Museo Egizio di Torino. Museo che per la prima volta si è aperto a spazi esterni scegliendo per l’esposizione di 24 suoi preziosi reperti lo storico fortino del 1700 edificato da Pietro Leopoldo di Lorena, simbolo della storia e della cultura di Forte dei Marmi. La mostra Gli Egizi e i doni del Nilo, fino al 2 febbraio 2025, nasce quindi dal rapporto instaurato dalla Fondazione Villa Bertelli e dal Comune di Forte dei Marmi con il Museo Egizio, settimo museo più visitato in Italia e seconda realtà nel mondo dedicata alla civiltà nilotica, inserendosi nel ricco programma di iniziative per i suoi duecento anni dalla nascita.
Un percorso in cui poter approfondire le arti, le tecniche, le professioni e i materiali utilizzati della grande civiltà sviluppatasi sulle rive del Nilo proponendo un viaggio nel tempo, dall’Epoca Predinastica (3900 – 3300 a.C.) all’età greco-romana (332 a.C. – 395 d.C.), attraverso vasi, stele, maschere, amuleti e papiri: reperti di grande valore provenienti dai depositi del Museo (l’Egizio custodisce quarantamila oggetti, di cui 12mila in esposizione), pertanto normalmente non visibili al pubblico e, in alcuni casi, mai esposti prima. Immagine guida dell’esposizione è una maschera funeraria di età romana (30 a.C. – 395 d.C.) proveniente da Assiut: una riproduzione idealizzata del volto del defunto, realizzata in cartonnage (materiale simile alla cartapesta) e destinata alla protezione magica della mummia.
«La mostra intende sollecitare la curiosità, illustrando la complessità di quello che presentiamo», dichiara Christian Greco, Direttore del Museo Egizio. «Gli oggetti esposti ci parlano di cultura funeraria, non perché gli Egizi fossero ossessionati dalla morte. Conosciamo la loro cultura materiale principalmente per aver scavato in necropoli e questa è la nostra principale chiave di accesso alla cultura dell’antico Egitto. Il racconto che facciamo qui, grazie ad un approccio prosopografico, vuole invece presentare le persone oltre l’oggetto. Sono quindi felicissimo che, oltre coloro che potranno visitare la mostra d’estate, la comunità si possa appropriare di questa esposizione e la possa utilizzare per capire come quella memoria materiale, che proviene da un luogo distante, in realtà predetermini chi siamo noi oggi e ci proietti in quest’ottica mediterranea, dove la civiltà nilotica ha avuto un ruolo fondamentale».
Estremamente interessante la parte degli approfondimenti storico scientifici attraverso infografiche e, soprattutto, le importanti installazioni multimediali per la conoscenza di reperti inamovibili ma di enorme interesse storico e artistico. Al terzo piano del Fortino, infatti, è possibile osservare la riproduzione del sarcofago di Butehamon.
In una sala completamente immersa nel buio il visitatore ha invece la possibilità di fare esperienza dello studio scientifico del reperto riprodotto in scala 1:1, a partire dai rilievi condotti dal Politecnico di Milano e stampato in 3D: testimonianza concreta di come dati scientifici, analisi di un reperto e il suo restauro possano diventare un racconto visivo e tridimensionale assolutamente affascinante e coinvolgente.
Sempre fra le installazioni multimediali al terzo piano del Fortino, un video relativo al processo di mummificazione dà modo di approfondire con il Direttore Greco l’interessante argomento a cui si accenna, relativo alla tematica dei diritti e dei doveri che caratterizzano oggi l’esposizione di resti umani e delle sue implicazioni etiche. Tema a cui le istituzioni museali più importanti al mondo ormai sono sempre più sensibili.
«Abbiamo aperto nel Museo dal 2020 la cosiddetta Sala alla ricerca della vita», racconta Greco a exibart. «Non usiamo più le mummie come sineddoche. Le mummie, infatti, non vengono più esposte per spiegare il rituale della morte, questo dopo averne potuto ricostruire l’identità e la biografia, ridando loro dignità e memoria come persone. In più abbiamo un decalogo fuori dalla sala in cui spieghiamo il nostro approccio illustrando come ci stiamo muovendo a livello di antropologia culturale, e abbiamo realizzato un sondaggio tutt’ora in corso in cui chiediamo ai nostri visitatori quale sia il loro atteggiamento nei confronti dell’esposizione dei resti umani. Un approccio che si è sviluppato soprattutto nei paesi anglosassoni e poi in Europa, e a cui il Museo Egizio sta dando seguito in maniera molto forte».
Una mostra come opportunità di riflettere su una civiltà millenaria ma anche su nuove importanti sensibilità, incontrando reperti preziosi e, per questa occasione speciale, in un luogo significativo a due passi dal mare. Mare che ancora oggi lega e racconta di mondi, di storie antichissime di popoli, sempre attuali.
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