I resti di una antichissima civiltà riemergono dalle acque. Non si tratta di Atlantide ma delle spoglie di una cittadina nella zona del sito archeologico di Kemune, nella regione del Kurdistan iracheno. E la notizia non ci fa stare tranquilli: gli studiosi già erano a conoscenza della possibile presenza di reperti archeologici ma a portarli definitivamente alla luce è stato il lungo periodo di siccità che ha colpito il Paese in questi ultimi mesi, conseguenza dei cambiamenti climatici sempre più drastici e repentini. Per far fronte alla siccità, che ha causato grandi danni all’agricoltura, le autorità locali hanno autorizzato il prelevamento di ingenti risorse d’acqua dal bacino di Mosul. Una simile situazione si era verificata già nel 2018 e anche in quella occasione fu avviata una campagna di studio e di scavo.
Non ci sono certezze sulle origini della città, che comunque dovrebbe risalire a circa 3400 anni fa ed esta stata scoperta per la prima volta negli anni ’80, in occasione della costruzione della diga di Mosul sul fiume Tigri. Secondo gli archeologi che hanno condotto le proprie analisi sulle rovine, l’ipotesi è che potrebbe trattarsi della città, finora leggendaria, di Zakhiku, centro nevralgico del regno dei Mitanni, che arrivò al massimo splendore tra il 1450 a.C. e il 1350 a.C., durante la fase terminale del Tardo Bronzo.
La città fu distrutta da un terremoto intorno al 1350 a.C. ma ancora visibili sono i resti di un maestoso Palazzo, scoperto nel 2019 da un team di archeologi curdi e tedeschi, che identificarono una serie di mura alte più di 6 metri e spesse 2. Anche in quel caso, la scoperta fu “aiutata” dal livello basso delle acque che, da un lato, permette agli archeologi di “vederci meglio”, dall’altro, però, espone a enormi rischi ambientali i fragili reperti.
Tra gennaio e febbraio di quest’anno, un gruppo di ricerca guidato dagli archeologi tedeschi Ivana Puljiz e Peter Pfälzner, rispettivamente delle università tedesche di Friburgo in Brisgovia e di Tubinga, in collaborazione con il presidente dell’associazione di archeologia del Kurdistan, Hasan Ahmed Qasim, aveva mappato l’area della città. Ma l’abbassamento del livello dell’acqua ha reso necessario l’avvio dei lavori di salvataggio e in pochi giorni è stata costituita una squadra. Il finanziamento dell’opera è stato ottenuto in breve tempo dalla Fondazione Fritz Thyssen attraverso l’Università di Friburgo. Il team tedesco-curdo è stato sottoposto a un’enorme pressione, perché non era chiaro quando l’acqua nel serbatoio sarebbe risalita.
In breve tempo, i ricercatori sono riusciti a mappare in gran parte la città. Oltre a un palazzo, già documentato durante una breve campagna nel 2018, sono stati portati alla luce diversi altri grandi edifici In breve tempo, i ricercatori sono riusciti a mappare in gran parte la città. Oltre al palazzo già documentato durante la campagna del 2018, sono stati portati alla luce diversi altri grandi edifici, come una massiccia fortificazione con mura, un grosso complesso produttivo e un magazzino su più piani, probabilmente adibito alla conservazione di prodotti per il commercio.
Il gruppo di ricerca è rimasto sbalordito dall’ottimo stato di conservazione delle mura, a volte alte diversi metri, nonostante il fatto che le pareti fossero fatte di mattoni di fango essiccato al sole e fossero rimaste sott’acqua. Questa buona conservazione è dovuta al fatto che la città fu distrutta da un terremoto intorno al 1350 aC, durante il quale il crollo delle parti superiori delle mura seppellì gli edifici.
Di particolare interesse il ritrovamento di cinque vasi in ceramica che contengono un archivio di oltre 100 tavolette cuneiformi, alcune sigillate ancora nei loro contenitori, risalenti al periodo medio-assiro, poco successivo al terremoto che colpì la città. I ricercatori sperano che questa scoperta possa fornire informazioni importanti sulla fine della città del periodo Mittani e sull’inizio del dominio assiro nella regione. «È quasi un miracolo che le tavolette cuneiformi fatte di argilla cruda siano sopravvissute per così tanti decenni sott’acqua», ha dichiarato Peter Pfälzner.
Per evitare ulteriori danni causati dall’innalzamento dell’acqua, gli edifici scavati sono stati completamente ricoperti con teli di plastica e con un riempimento di ghiaia, nell’ambito di un vasto progetto di conservazione finanziato dalla Fondazione Gerda Henkel. Lo scopo è proteggere le pareti di argilla cruda e qualsiasi altro reperto ancora nascosto tra le rovine durante i periodi di inondazione. Il sito è ora di nuovo completamente sommerso.
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