Studiatissimo, visitatissimo, fotografato da milioni di persone, riprodotto su qualunque supporto e in qualsiasi formato eppure, nonostante tutto questo – e una strada a scorrimento veloce lì nei pressi e il progetto un po’ folle di un tunnel sotterraneo –, il sito di Stonehenge rimane uno dei più misteriosi e suggestivi al mondo. Il cerchio di megaliti, in gergo cromlech, i cui pilastri pesano dalle 25 alle 50 tonnellate, fu eretto tra i 5mila e i 3500 anni fa nella campagna del Wiltshire, in una pianura battuta dal vento, nella regione sud-ovest dell’Inghilterra, 130 chilometri circa dall’attuale Londra. Una fatica che immaginiamo enorme e nessuno sa ancora perché. Cimitero, santuario, calendario, osservatorio? Forse ognuna di queste cose, almeno secondo la grande mostra attualmente in esposizione al British Museum di Londra, “The world of Stonehenge”, a cura di Neil Wilkin e Jennifer Wexler.
Il mondo di Stonehenge, perché, in effetti, la storia intrecciatasi intorno a quelle pietre sembra andare ben oltre il sito. Obiettivo della mostra, che presenta anche tutte le recenti scoperte scientifiche e archeologiche effettuate nei pressi del sito, è ridare vita alle persone che edificarono il cromlech e alla loro cultura, evidenziando le connessioni con quelle delle altre popolazioni coeve. Teniamo conto infatti che, più o meno nello stesso periodo, in Egitto si costruivano piramidi, quelle di Giza tra il 2589 aC e il 2504 aC.
«Tutti sentiamo di conoscere Stonehenge. Lo superiamo sull’autostrada A303 e lo visitiamo da studenti oppure portiamo i nostri bambini a vederlo», ha commentato Wilkin. «Ma spesso non sappiamo molto, o ci sentiamo come se non sapessimo molto del mondo e delle persone che hanno costruito il monumento e che lo adoravano». La mostra “The World of Stonehenge” raccoglie al British Museum più di 430 oggetti provenienti da tutta Europa e risalenti a un periodo di cambiamenti radicali, che vide progressi tecnologici e migrazioni su larga scala. Vi suona familiare?
I reperti riguardano i vari gruppi di persone che si alternarono nell’area nel corso dei millenni. Dagli agricoltori seminomadi del Neolitico, che furono responsabili della prima fase della costruzione di Stonehenge e che trasportarono i megaliti per 250 chilometri dal Galles, ai commerciati e guerrieri dell’Età del Bronzo, che avevano rapporti stretti con le popolazioni dell’Europa continentale. E si sa che, cambiando le società, si modificano anche gli utilizzi e le funzioni delle architetture. Un po’ come accade oggi per i monumenti.
All’inizio era un cimitero, come testimoniano i resti cremati di 150 o 200 uomini, donne e bambini. Successivamente, le pietre originali furono circondate da un anello di pietre di quattro metri ricoperte da architravi, gran parte delle quali ancora in piedi. Per Wilkin, in questa fase, il monumento era diventato un luogo di venerazione ancestrale e di cerimonie, che doveva attirare visitatori e “pellegrini” da molto lontano. La popolarità di cui doveva godere all’epoca si riflette nel primissimo oggetto esposto nella mostra, un’antica coppa la cui forma imita quella di Stonehenge: «È quasi come un souvenir preistorico», ha affermato Wexler. E anche questo suona familiare. E ci sono anche molti altri reperti sorprendenti in mostra, come decine di asce di pietra neolitiche e copricapi e gioielli d’oro finemente lavorati che sembrano medievali ma sono più antichi di molti secoli. Se invece volete dare un’occhiata a qualcosa di più recente, potete sfogliare questa galleria fotografica degli ultimi 100 anni di Stonehenge.
L’oggetto principale della mostra è il Nebra Sky Disc, risalente a circa 3600 anni fa. Si tratta di un disco di bronzo intarsiato con simboli d’oro che rappresentano il sole, la luna e le stelle e si ritiene che sia la più antica mappa del cosmo ritrovata fino a ora. Il disco fu rinvenuto nel 1999, nella Germania orientale, ma l’oro proviene dalla Cornovaglia, nel sud-ovest dell’Inghilterra, a dimostrazione dei rapporti commerciali tra le popolazioni europee. «Le persone erano curiose e avventurose, nonostante avessero vite relativamente brevi rispetto alle nostre», ha detto Wilkin.
A proposito, oltre alle tante attività collaterali in programma, per approfondire le storie legate a Stonehenge, anche bookshop del British Museum è ben fornito, dallo strofinaccio alla tazza, passando per il magnete, un ricordino è bene portarlo a casa. Anche per gli archeologi del futuro.
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