Sinaloa e Houston, aztechi e maya, cowboy e mariachi: ecco “cosa ammirare” tra Texas e Messico. Eppure, a definire l’eredità culturale di questa zona degli Stati Uniti è anche un poco noto «Paesaggio vivente in continua evoluzione, che forniva cibo, riparo e una connessione con il mondo degli spiriti», rinominato Distretto archeologico di Lower Pecos Canyonlands. Un’immensa e selvaggia superficie naturale caratterizzata da circa 350 siti archeologici, canyon, rifugi rocciosi e incisioni rupestri.
Una storia millenaria le cui testimonianze umane sono ancora avvolte nel mistero. Ad affascinare archeologi, antropologi, biologi, paleontologi e storici dell’arte sono soprattutto le “impenetrabili” scene murali risalenti a 6mila anni fa che, nonostante la nitidezza dei pigmenti rossi, bianchi, gialli e neri, sembrano non voler essere una mera rappresentazione del mondo della caccia e delle divinità.
I tentativi di interpretazione del sito sono databili a partire dagli anni ‘30 del ‘900. Solveig Turpin è stato il primo archeologo a esaminarne le pitture, definendone gli stili e le epoche di realizzazione, mentre l’artista e antropologa Carolyn Boyd, sostenitrice dei parallelismi riscontrabili tra il simbolismo dello “Stile del fiume Pecos” e quello espresso nella mitologia e nei sistemi di credenze di molte culture messicane, ha aperto la strada a un approccio più etnografico e interdisciplinare di studio. Altrettanto fondamentale è l’azione svolta dalla Rock Art Recording Task Force della Texas Archeological Society, che tramite sistemi di video mapping contribuisce ogni anno allo sviluppo della storia del sito.
L’unico catalogo dal valore documentario dell’arte rupestre di Lower Pecos, si deve all’attività dell’acquarellista Forest Kirkland le cui realizzazioni – pubblicate nel libro “The Rock Art of Texas Indians” del 67 e successive ristampe – possono essere considerate la sola fonte “certa” per studiare la maggior parte dei pittogrammi andati distrutti. Solo recentemente, gli esperti del Witte Museum di San Antonio, i ricercatori della Smithsonian Institution e della Texas A&M University, grazie al chimico Marvin Rowe, sono giunti all’elaborazione di un metodo intelligente e rapido per riuscire a datare gli elementi della vernice delle Pecos Rock Art.
Nonostante il fine di mettere insieme una comprensione quanto più dettagliata del passato umano e naturale di questa area, la maggior parte delle scoperte non solo non è conosciuta dai texani, ma non può neanche essere approfondita dagli studiosi poiché all’interno di proprietà private. Per questo motivo, al fine di procedere nell’intento documentario, gli archeologi hanno fornito «Un programma educativo e di sensibilizzazione per i proprietari terrieri».
Carolyn Boyd ha inoltre fondato lo Shumla Archaeological Research and Education Center: un’organizzazione no-profit che ha come obiettivo la tutela e il coinvolgimento delle nuove generazioni al valore storico culturale di Lower Pecos Canyonlands. L’organizzazione che si impegna dal 2015 per designare il distretto archeologico come monumento storico nazionale e avere permessi di accesso alle aree privatizzate, ha completato lo scorso dicembre un importante fase documentaria che includeva lo scatto di fotografie ad alta risoluzione, la creazione di modelli tridimensionali e la registrazione dei dati iconografici dei siti.
In attesa di poter avviare una seconda fase di ricognizione delle pitture con l’assegnazione di codici di riferimento, la descrizione dettagliata delle immagini e la datazione al carbonio14, sono state classificate le aree del distretto in base al loro potenziale di ricerca e al livello di minaccia in cui versano.
Il problema più grande di Lower Pecos Canyonlands è proprio questo. Sebbene l’area e il suo lascito possano sembrare un terreno immutabile, l’ecosistema del deserto è in continua evoluzione e rischia ogni giorno di andare disperso. Il meteo, i cambiamenti climatici e i processi geologici che continuano a modellare questo ambiente, così come l’incuria, gli atti vandalici, l’inquinamento dell’aria e le opere ingegneristiche invasive destano molta preoccupazione. Alcuni siti sono già stati distrutti, altri giacciono sotto il bacino idrico di Amistad e un’altra parte di essi viene utilizzata come base per i cartelli messicani della droga.
Improrogabile è dunque la necessità di una politica nazionale di tutela. Boyd e altri eminenti studiosi affermano di dover affrontare «Una corsa contro il tempo prima che tutto scompaia». Lower Pecos Canyonlands non va soltanto protetto, ma anche “sfruttato” diversamente essendo un luogo ideale per poter monitorare i cambiamenti climatici. Qualche attenzione in più potrebbe ampliarne la comprensione e persino prevederne il presente e il futuro. Perdere o destinare alle mani sbagliate questo tesoro di conoscenza rappresenterebbe un vero e proprio crimine per l’umanità.
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