Da Taranto a Malibù e ritorno, riapprodano sulle rive del Mar Jonio dalla California le tre sculture del complesso in terracotta “Orfeo e le Sirene”, capolavoro unico della statuaria greca della fine del IV secolo a.C. che fu trafugato e venduto al The Paul Getty Museum di Los Angeles, dopo il rinvenimento a Taranto negli anni Settanta. Un bene patrimoniale italiano, una scena mitica magnificamente modellata, che non ha paralleli nel mondo antico e che torna alla pubblica fruizione in permanenza al Museo Archeologico Nazionale di Taranto – MArTA, accolto al momento nella prima sala del lungo percorso espositivo e che sarà probabilmente ricollocato in base alla sua datazione. Il percorso museale prende avvio dal secondo piano a scendere, dalle più antiche tracce della presenza dell’uomo sul territorio agli splendori della Taranto magno greca, riferendo delle turbolente fasi della conquista romana e infine delle trasformazioni urbanistiche di età altomedievale.
Il MArTA, noto per l’unicità di alcuni manufatti come gli “Ori”, tra gli altri, sempre del IV secolo a.C., custodisce l’eredità tarantina che proprio in quel IV secolo e nel III avanti Cristo fu capitale del Mediterraneo. Ad oggi con un importante reperto in più, i “Bronzi di Riace di Taranto” li appella il sindaco della città Rinaldo Melucci, il museo si avvalora ulteriormente, costituendo il volano di una riconquista culturale a cui tende il territorio e l’Italia tutta nel contrastare il saccheggio illegale di opere d’arte.
Di ormai certa manifattura locale, le sculture sono a grandezza umana, appartenenti forse o a un monumento funerario o a un santuario di religione orfico-pitagorica, e rappresentano con espressività il cantore Orfeo in trono, con i piedi su uno sgabello, le braccia impegnate a suonare uno strumento, oggi perduto, e le labbra dischiuse dal canto; e due sirene, figure ibride di passaggio dalla vita alla morte col corpo di donna e quello di un uccello dalle doti canore, come intese nel mondo antico e non creature acquatiche come dal medioevo in poi, irte con gli artigli su degli scogli.
Il mito infatti, dalle Argonautiche di Apollonio Rodio, racconta che gli Argonauti giunti di ritorno dalla missione del Vello d’Oro presso l’isola delle sirene, incantevoli cantanti-assassine di chiunque vi fosse approdato, furono salvati dall’intervento di Orfeo, capace con la sua musica e la sua voce vivace di distogliere i naviganti dal richiamo delle sirene stesse, a quel punto suicide in mare. La figura mitica di Orfeo, divenne simbolo del trionfo dell’armonia musicale, e più diffusamente della razionalità sul disordine, un concetto basilare del pensiero politico e filosofico pitagorico, particolarmente influente in Magna Grecia, che tra i seguaci ebbe i filosofi Aristosseno e Archita da Taranto. La stupefacente cura esecutiva e lo stile del complesso in terracotta, su cui restano tracce dell’originaria pittura policroma, riaffermano un’età dell’oro della città a quel tempo.
Accompagna il gruppo, una bacheca con parte dei frammenti che sono stati recuperati nell’operazione di riappropriazione italiana, in contrasto al fenomeno internazionale delle archeomafie. Ricostruita la vicenda giudiziaria che a partire dallo scavo illecito a Taranto, vide le sculture, inizialmente smembrate, trasferite e restaurate in maniera clandestina in Svizzera, l’attività investigativa italo-americana ha poi consentito il sequestro delle opere, esposte al Getty Villa Museum, e il rimpatrio anche dei resti in archivio. Una restituzione al patrimonio culturale nazionale prima ancora che alla collettività tarantina, su impegno del Ministero della Cultura, dei Carabinieri del settore Archeologia del Reparto Operativo del nucleo Tutela del Patrimonio Culturale (TPC), della Procura della Repubblica di Taranto, insieme al District Attorney’s Office di Manhattan-New York e l’Homeland Securitymusoc Investigations.
Il gruppo di “Orfeo e le Sirene”, in effetti in Italia dallo scorso settembre, dopo una preliminare esposizione temporanea al Museo dell’Arte Salvata di Roma, nell’Aula Ottagona delle Terme di Diocleziano, è ricollocato nel suo luogo d’origine e nella opportuna posizione, delle singole sculture, fedele al mito.
Sono infatti otto milioni le opere d’arte censite dal Ministero della Cultura nella banca dati dei beni illecitamente sottratti alla nazione, di cui un milione e mezzo ancora da ricercare. Quelle recuperate le accoglie, dal 15 giugno 2022, il Museo dell’Arte salvata prima che tornino nei musei di pertinenza territoriale. Il Direttore generale Musei Massimo Osanna riferisce che «Tra le centinaia di opere che il Reparto Operativo TPC ha riportato dagli Stati Uniti tra il 2021 e il 2022 vi è una serie di importanti ceramiche greche, italiote e etrusche nonché di terrecotte votive e architettoniche pertinenti a diverse culture dell’Italia centrale e meridionale preromana. A questo nucleo si aggiunge lo spettacolare gruppo in terracotta tarantino, che torna ora a casa».
A cerimoniare l’esposizione al pubblico il 5 aprile 2023, il Ministro della Cultura in carica Gennaro Sangiuliano, il Direttore Regionale Musei Puglia, Luca Mercuri, delegato alla guida del MArTA, il Comandante Carabinieri TPC Vincenzo Molinese, oltre che i rappresentanti di tutte le istituzioni. Tra loro anche la professoressa Angela Filipponio Tatarella, membro del Consiglio Superiore Beni culturali e paesaggistici, che citando il filosofo Kierkegaard ha chiosato: «L’inizio non è ciò con cui si inizia, ma ciò a cui si giunge e si giunge a ritroso».
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