San Probo, Cà Bianca, San Severo, proviamo a immaginare Ravenna compresa dalle sue basiliche scomparse, proviamo a vedere come galleggiassero riemergendo da un filo d’acqua. Mettiamoci davanti agli occhi una città con tutti i suoi antichi splendori e le basiliche salvate o rimaste in piedi, però in un contesto completamente mutato. La storia, il Porto e gli acquitrini che la facevano incantata in un’atmosfera lattescente, il passaggio degli uomini e del tempo, i molti terremoti, persino i bombardamenti della Guerra hanno reso Ravenna, nonostante la sua attuale straordinaria bellezza, molto diversa da com’era un tempo.
La città aveva tutt’un altro volto e costituiva un territorio altamente presidiato dalle Basiliche. Questi importanti edifici religiosi, nei lunghi secoli della sua storia, hanno assunto un significato simbolico e politico, perché, in fondo, non erano che un prezioso anello di congiunzione tra la dimensione pubblica e quella privata. Non parliamo poi delle sue domus, che dall’originaria struttura romana hanno subito uno sviluppo davvero peculiare, ricalcando uno stile nordico, quindi più sobrio.
Così la mente non può non correre alle vicende dell’Esarcato, realtà che riuscì a garantire una più ampia libertà d’azione dalle gerarchie di Roma e del Papato. Dramma e fortuna qui si sono unite. La marginalità anche geografica di Ravenna l’ha salvata da altre “intemperie” politiche, ne ha esasperato il carattere originale e ha permesso che un sapore d’Oriente impregnasse le sue testimonianze antiche. Ebbene, in tutto questo intrico di vicissitudini, da qualche anno si è inserita anche un’altra realtà.
Classis, il Museo della Città e del Territorio è un progetto museale facente parte di un più vasto programma voluto e realizzato dal Comune, nella persona del sindaco Michele de Pascale e dell’assessore alla Cultura e Mosaico, Fabio Sbaraglia, e dalla Fondazione Ravenna Antica, con il suo Presidente Giuseppe Sassatelli, la Direttrice della Fondazione Francesca Masi, l’intero staff tecnico e di studiosi ed esperti, Andrea Augenti, Fabrizio Corbara, Giovanna Montevecchi, e l’architetto Andrea Mandara.
Un progetto coraggioso, soprattutto in questi anni caratterizzati dalla pandemia e dalla recente alluvione, mosso da grande ambizione che ha creato un nuovo e maestoso Parco Archeologico di Classe, all’interno del quale, per altro, si prevede per il futuro, grazie a una parte da investire del sostanzioso finanziamento del Ministero della Cultura di più di 2 milioni di euro, anche la monumentale musealizzazione della Basilica di San Severo, rimasta indietro allo scoppio della pandemia.
Ma veniamo a oggi. L’aggiunta al museo di Classis di due nuove sezioni (in totale 600 mq) – Abitare a Ravenna e Pregare a Ravenna – costituisce non soltanto una testimonianza di riuscita rigenerazione urbana e territoriale (la sede di Classis è quella di un ex Zuccherificio) ma anche un primo e superbo completamento del progetto originario, raccogliendo, come fa, alcune delle più rilevanti testimonianze storiche, archeologiche e musive del territorio.
Restando fedele alla sua tradizione basilicale, il museo, in alcune sezioni vuole suggerire agli occhi di chi lo visita proprio un edificio d’impianto basilicale. Sono infatti tante le componenti (anche come copie) che vanno in questa direzione: le transenne traforate, l’articolazione degli spazi, la suggestione dei colonnati con le colonnine e i capitelli (compreso quello rovesciato che aveva assunto la funzione di bitta per l’ancoraggio delle imbarcazioni – non dimentichiamo che Ravenna aveva a Classe il suo antico Porto), la replica delle decorazioni musive di altre basiliche ravennati, tutto concorre a indicarci la via per la visione di una grande basilica ma con la funzione di un museo.
È chiaro che la centralità del mosaico antico ravennate non poteva essere messa in second’ordine, come ha dichiarato il Presidente Sassatelli durante le due conferenze stampa tenutesi il 29 settembre a Ravenna e il 20 dello stesso mese a Milano: il peso specifico di questa innovazione artistica è qui che ha trovato dimora.
Ecco quindi che mosaici pavimentali e messi a parete (come il cosiddetto Buon Pastore, o il bellissimo brano del pavone da Cà Bianca) arricchiscono la collezione del museo. Ma ci sono anche i mosaici composti da decorazioni geometriche e, cronologicamente più avanti, quelle figurate come quella della domus di Faenza che riprende il mito di Achille in un momento di grande generosità: l’eroe della Guerra di Troia concede a Priamo di prelevare le spoglie dell’amico Ettore da lui ucciso. Un gesto che il dominus dell’abitazione da cui proviene voleva senz’altro mettere in risalto e che, non a caso, accompagna la linea di comunicazione della Fondazione Ravenna Antica.
Achille docet. Predisporre l’animo verso un atteggiamento magnanimo è ciò che raccogliamo da questa importante operazione museale ed espositiva. Un risultato oltremodo riuscito, se, come a Ravenna, ciò significa sentire la responsabilità della propria storia e prendere a cuore, sostenere, valorizzare il proprio territorio, nonostante tutto.
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