Considerare tutta l’arte sempre contemporanea è uno di quei rovesciamenti del punto di vista tanto semplici quanto efficaci, soprattutto perché inoppugnabilmente veri. Perché, per quanto si possano approfondire le ricerche su un determinato periodo storico, per quanta empatia supponiamo di provare con un cortigiano dei Medici o con uno scriba della Dinastia Tolemaica (305 a.C. – 30 a.C.), non si riuscirà mai ricomporre la quotidianità del suo sguardo, quelle sensazioni, le motivazioni, le urgenze, le velleità. Questa verità è ancora più evidente nel caso delle pitture rupestri che, ai nostri occhi contemporanei, sembrano così misteriose, indecifrabili ma anche incredibilmente vicine, empatiche appunto. Ed è emozionante sentirsi prossimi a quegli ignoti che, 44mila anni fa, dipinsero una scena di caccia sulla parete di una caverna nell’isola di Sulawesi, in Indonesia: si tratta delle più antiche pitture rupestri mai scoperte, ancora prima dei disegni ritrovati nelle grotte di Chauvet, risalenti a 36mila anni fa. Sono cifre delle quali la nostra percezione non può riuscire a rendere conto, a parte che con un lieve brivido.
L’incredibile scoperta si deve a un team di ricercatori dell’Università Griffth di Brisbane, che ha pubblicato i risultati dello studio su Nature, in un articolo che inizia così: «Gli esseri umani sembrano avere una predisposizione adattiva per inventare, raccontare e consumare storie». Gli archeologi Adam Brumm, Maxime Aubert e Adhi Agus Oktaviana avevano ritrovato le pitture già nel 2017 ma solo da pochi giorni, dopo aver condotto alcuni test all’uranio-torio, hanno scoperto che risalivano a più di 40mila anni fa. Precisamente 43900 anni. Tutti i soggetti della scena sembrano realizzati con lo stesso stile e con lo stesso pigmento, il rosso scuro. «È la più antica pittura rupestre al mondo e ci sono già tutti gli aspetti chiave della conoscenza moderna», ha dichiarato Aubert.
La scena raffigura le diverse fasi di una battuta di caccia, con la figura stilizzata di un uomo che attacca due suini e quattro bufali nani. Ma, oltre alla scena di caccia, un soggetto ricorrente in questo genere di rappresentazioni, i ricercatori hanno notato otto piccole figure teriomorfe, con teste, braccia e altre parti del corpo simili a quelli di uccelli, rettili e altre specie endemiche di Sulawesi, che potrebbero far pensare a una sorta di racconto mitologico o comunque immaginario. Si tratterebbe, quindi, di una rappresentazione distante dalla documentazione della vita quotidiana. Il che potrebbe significare molte cose, per esempio un periodo di fioritura artistica, oppure l’esistenza di una sorta di religione. L’ipotesi è suggestiva ma potrebbe anche trattarsi di una specie di camouflage per avvicinare le prede. Chissà.
Il teriomorfismo, che millenni dopo sarebbe diventato una costante delle culture e delle religioni politeiste in tutto il mondo, dall’Horus egiziano al Ganesha dell’induismo, è una forma di rappresentazione piuttosto rara in epoca preistorica. Al Museo di Ulm, in Germania, è conservata la cosiddetta figurina del Löwenmensch, dell’uomo-leone, una statuetta in avorio di mammut risalente a 40mila anni fa e raffigurante un uomo o una donna – il genere sembra essere piuttosto incerto – dalla testa di leone.
Ma ciò che rende stupefacente la scoperta delle pitture rupestri in Indonesia, a parte la datazione più antica, è la sua stessa forma di scena compiuta, narrativamente complessa, con soggetti diversi tra loro – uomini, animali e uomini-animali – che sembrano interagire. Una strategia di caccia? Un rituale propiziatorio perpetrato da sciamani? Difficilmente si potrà arrivare a una risposta certa ma, secondo gli studiosi, nella stessa area dell’Indonesia potrebbero essere ritrovate anche altre pitture rupestri più antiche. E averle scoperte qui vorrebbe dire che l’Indonesia potrebbe essere stata non solo la culla dell’arte – con tutte le riserve nell’utilizzare questo termine per un contesto storico, anzi preistorico del genere – ma anche un’area fondamentale per lo sviluppo delle correnti religiose.
Bisogna precisare, però, che già nel 2018, in Sudafrica, nel sito di Blombos Cave, a Still Bay, gli archeologi scoprirono un disegno di 73mila (!) anni fa. Ma, in quel caso, si trattava di una semplice serie di linee intersecate che non sembrano aver alcuno sviluppo narrativo, almeno ai nostri occhi. Per esempio, tra milioni di anni qualcuno potrebbe rimanere piuttosto perplesso di fronte a un hashtag che, per noi contemporanei, invece, vuol dire tutto.
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