Un team di archeologi subacquei ha portato alla luce una serie di preziosi reperti, gelosamente conservati nella stiva del relitto della Mentor, la nave usata da Thomas Bruce, conte di Elgin, per trasportare centinaia di manufatti dalla Grecia verso la Gran Bretagna. L’imbarcazione, un brigantino a due alberi, salpò nel settembre del 1802 ma affondò dopo essersi schiantata contro gli scogli al largo della costa di Avlemonas, oggi un pittoresco paese sull’isola di Citera.
La Mentor portava tutto il bottino saccheggiato dagli scavi greci, 17 casse piene di antichità, le più famose delle quali erano proprio alcuni dei famosissimi marmi del Partenone e degli altri templi dell’Acropoli di Atene. Realizzati da Fidia e dalla sua bottega, considerati capolavori assoluti e icone della cultura occidentale, le sculture sono state identificate successivamente come i Marmi Elgin.
Tutti i passeggeri e i membri dell’equipaggio furono salvati da una nave chiamata Anikitos. Lord Elgin non perse tempo e immediatamente organizzò una spedizione per recuperare le opere. Molte furono ritrovate, inviate a Malta e poi al British Museum, dove attualmente sono esposte e osservate da milioni di visitatori. Eppure, non portarono fortuna a Elgin. A parte il naufragio, la legittimità dell’operazione fu da subito molto criticata anche a Londra.
Per esempio, il grande poeta George Gordon Byron, che morì proprio in Grecia, dove si era recato per sostenere le lotte per l’indipendenza dall’Impero Ottomano, lo chiamò senza mezzi termini un puro atto di vandalismo. E al “povero” Elgin non andò bene nemmeno dal punto di vista economico. Dopo essersi sobbarcato tutte le spese per gli scavi e per il trasporto – circa 70mila sterline – il Parlamento inglese si mostrò piuttosto tiepido nelle trattative per l’acquisto. Anche perché le statue erano molto danneggiate e non sembravano rappresentare quell’ideale di bellezza magnificato dalla visione romantica della grecità classica. Alla fine, Elgin accettò l’offerta del Governo di 35mila sterline, rifiutando una offerta vantaggiosa da parte di Napoleone.
Da qualche anno, la questione della restituzione dei Marmi al loro legittimo proprietario, cioè la Grecia, è tornata ad accendersi. Coinvolgendo direttamente la politica – la posizione ufficiale di Jeremy Corbyn è per la restituzione, come abbiamo avuto modo di riportare in diverse occasioni – insieme ad altre intricate questioni museali e geopolitiche, derivanti dal colonialismo. Nel 2021 si terrà il 200mo anniversario della Guerra d’indipendenza e il governo greco sta provando a forzare la mano per farsi restituire i Marmi del Partenone, nell’ambito di un accordo di scambio di opere. Al momento sembra difficile ipotizzare un patto tra Kyriakos Mītsotakīs e Boris Johnson, per quanto entrambi afferenti alla destra liberista. E così pare che il bel museo dell’Acropoli, inaugurato nel 2008, sarà destinato a rimanere orfano dei suoi tesori più preziosi.
In ogni caso, la posizione della Mentor era nota e già nel 2011 si organizzò una misione di recupero che, però, non ebbe successo. Nel 2015 e nel 2016 altri due tentativi, che riuscirono a riportare a galla alcuni piccoli oggetti. La missione più recente, condotta tra il 27 agosto e il 15 settembre, è stata guidata dall’archeologo Dimitris Kourkoumelis. Obiettivo, la pulizia del relitto della nave e il recupero degli ultimi oggetti rimanenti, come anfore, vasi e alcuni splendidi gioielli. Non c’è traccia, invece, di ulteriori sculture. Si chiude così una storia che, però, sembra essere ancora tutta da scrivere.
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