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A Napoli, la nuova piazza Garibaldi di Perrault è bella. Finché dura
Architettura
Venerdì scorso a Napoli è stata inaugurata la nuova Piazza Garibaldi disegnata da Dominque Perrault nel 2004 (!). Il progetto è senza dubbio coraggioso e innovativo, in una città e in un Paese in cui l’architettura contemporanea quasi non esiste ma non solo: l’architettura contemporanea, per chi la ama e la conosce, è una prateria sconfinata in cui c’è tutto e il suo opposto, dalle colonne storiciste di Ricardo Bofill alle geometrie biomimetiche di MAD.
Il progetto di Dominique Perrault per piazza Garibaldi
A Napoli, dove la città e il paesaggio naturale formano un intreccio meraviglioso e invincibile, il primo merito dell’archistar francese è aver introdotto un linguaggio ibrido, che parla del rapporto uomo-natura, il nostro Zeitgeist, senza forzare troppo, senza generare un inutile distacco tra l’architettura preesistente e la nuova.
Cresce così una struttura di metallo diafana che sta su sbilenca, incerta, senza chiudere la nuova galleria commerciale ipogea, anzi, aprendola e connettendola al piano della città. Una foresta di acciaio che, oltre a tessere una rete di relazioni tra i diversi spazi della piazza, tenta l’impossibile: rimpicciolire l’immenso vuoto di piazza Garibaldi. Affianco al bordo lungo della struttura, si apre la grande spianata con gli alberi, i piccoli prati e alcune attività collettive.
Certo, non si può tacere la relazione negata con la stazione: nonostante la mesh metallica ne riprenda l’idea strutturale, usando dei sostegni ramificati, non è stato risolto l’attacco con lo spuntone attraverso cui la stazione penetra la piazza. Semplicemente, il rettangolo di Perrault risulta male accostato a questo vertice, generando l’assurda contraddizione di una struttura leggera e malleabile che resta rigida anziché adattarsi alla pesante copertura di cemento, anche solo riprendendone l’inclinazione con il lato corto.
Sulle tracce dei vuoti di Napoli
Ma la questione cruciale di piazza Garibaldi sta altrove, a monte del progetto immaginato da Perrault. In una città congestionata, dove i “vuoti” si contano sulle dita della mano, gli spazi ampi dei “piazzali” sono luoghi preziosi per dimensione, posizione e relazione con il resto del tessuto urbano. Questo discorso vale per la grande, lieve calata di piazza Municipio che, protetta dal Maschio Angioino, accompagna e apre Napoli al mare. E vale per piazzale Tecchio, che dà respiro a tutto il quartiere di Fuorigrotta con un grande spazio verde attorno a cui si organizzano il Politecnico e la Mostra.
A maggior ragione ciò dovrebbe valere per piazza Garibaldi, immaginata addirittura come uno spazio geografico, link tra Napoli e Vesuvio e porta di accesso alla città. Eppure, il perenne e profondo degrado di questo luogo segnala un problema che la nuova sistemazione potrebbe non aver nemmeno sfiorato. Perché – e questa resta un’ipotesi che mi auguro di vedere smentita nei prossimi anni – un contesto sociale tanto vulnerabile, definito anche dall’annosa decadenza di un intero pezzo di città, che dalla piazza si allunga per centinaia di metri tutt’intorno (ne scrivevamo anche qui), difficilmente può essere accolto e sanato da un vuoto tanto grande, più grande e, forse, troppo più grande di quello di tutti gli altri piazzali della città e non solo. Precisiamo che piazza Garibaldi ha un’area di circa 65mila metri quadrati, contro i 45mila di piazzale Tecchio e i 40mila di piazza Municipio. Piazza dei Cinquecento, la porta di accesso romana, contando anche strade e spazi adiacenti, si estende su un’area di circa 55mila metri quadrati.
Quello di piazza Garibaldi è un vuoto che, indipendentemente dal nuovo arredo, lascia un campo troppo aperto, troppo vasto, che, da sempre, finisce per trasformarsi nel teatro di ogni tipo di illegalità. Come se, allontanandosi dalle cortine illuminate degli edifici, venisse meno la sensazione di essere visti, di essere controllati, di trovarsi ancora all’interno della civiltà e non in uno spazioporto cyberpunk, «covo di feccia e malvagità», dove il più debole soccombe al più forte.
Una scelta radicale, per una “vera” piazza Garibaldi
Forse, una volta tanto, sarebbe stata lecita una scelta radicale: trasformare il piazzale in una vera piazza Garibaldi, un luogo più raccolto e accogliente, aggiungendo una linea longitudinale e una trasversale di edifici, magari con un’unica, grande copertura verde con molti più alberi di quelli piantati da Perrault per evitare pericolose zone d’ombra. Magari, oltre a dare alla piazza una dimensione più umana, sarebbe nata una polarità capace di creare lavoro e sviluppo, rimescolando le carte e riqualificando davvero tutta la zona. Che, non risulta difficile immaginarlo, in un tempo relativamente breve potrebbe tornare all’antica fatiscenza.