Americana Interiora. Nell’autunno del 2002 un reduce di Desert Storm ed il suo figliastro terrorizzarono per settimane il District of Columbia definendo il loro percorso con l’omicidio random di passanti che uscivano da supermercati. Seguendo i cecchini di Washington nei loro spostamenti di motel in motel, un famoso reportage permise di valutare il minimo comune denominatore dell’ambientazione adeguata ad un assassino in attesa.
Identiche scelte di arredo vengono stranamente proposte dalle multinazionali dell’arredo statunitense. Ad ogni livello di committenza l’offerta si mantiene uniforme: interni caratterizzati da luce diffusa, boiseries e moquettes, lieve horror vacui decorativo, poltrone e divani rivestiti in velluto.
Tra i mezzi che consentono la penetrazione nell’immaginario (anche artistico) di queste ambientazioni, primeggiano i format televisivi di competizione sessuale simulata su MTV: Wanna Come In?, Room Raiders, la classe media plastificata rappresentata in The Fuccons Family, l’abuso della casa perpetrato in Viva La Bam e in The Ousburnes.
“Pre-famose” fotografe nord europee propongono esperienze visive più rarefatte convergenti comunque verso la ricerca e l’identificazione di situazioni ambientali intimacy. Nelle foto di Miriam Backstrom l’assenza delle persone, definisce il senso di attesa di un evento anche traumatico o la percezione di qualcosa di appena avvenuto.
First Person Shooter. Dall’uscita di Wolfenstein 3d (maggio 1992), la visuale in soggettiva ha espresso tutto il suo potenziale di coinvolgimento nei confronti del giocatore, la cui corteccia cerebrale lavora – grazie a questo tipo di visione – ad un livello emozionale proprio delle esperienze reali. La modifica del motore base del gioco tipico dell’attività delle community si orienta non a caso alla realizzazione di mappe che incrementino le caratteristiche di tensione ambientale che soddisfano il giocatore quanto e più dello scontro stesso.
Nel film Elephant, Gus van Sant definisce gli standard visivi dell’ambientazione fps raccontando l’esperienza non digitale di first person shooting messa in scena da due adolescenti nella Columbine High School. Viene analizzata la scena del crimine cercando nelle inquadrature, nell’edificio stesso un possibile movente. I risultati di van Sant sono assoluti, ma devono molto ad un edificio realmente criminale, capace di registrare e riproporre l’orrore ben prima delle telecamere di sorveglianza. L’Overlook hotel di The Shining: barriera epidermica contro una stagione di neve, vuoto, dai corridoi interminabili, intimo. L’albergo che ospitò i Torrance rivela una capacità fluida in comune con la Columbine: suscitare con una lunga tensione ambientale un singolo istante di orrore e saperlo poi inglobare in un nuovo flusso di normalità. Ciclicamente.
Debora Hirsch riesce a popolare ambientazioni dello stesso carico decorativo dell’Overlook. Ma queste presenze umane vengono standardizzate dalla grafica che indossano evocando la ripetitività dei “nemici” contro cui si gioca negli fps.
Epidermide. Come visto nella fotografia scandinava, in arte contemporanea esiste un atteggiamento documentario basato sul riconoscimento. La normalità, le consuetudini domestiche, l’intimità del corpo e degli atteggiamenti più personali vengono indagate fino a rinvenire – e documentare appunto – i gesti e gli oggetti della vita di ogni giorno.
Utilizziamo questo atteggiamento identificatore di normalità per la definizione dell’aspetto esterno di un eventuale fps building. La consuetudine della pratica edilizia italiana ci offre la tipologia adatta: la palazzina. Poco identificato da parte della fotografia contemporanea, questo normale oggetto -proposto alla città senza attenzioni estetiche- sembra essere l’esatto equivalente urbanistico di un divano intimacy in feltro marrone. Alcune sue rappresentazioni tipiche da ufficio vendite ne completano il potenziale agghiacciante.
In American Lawn: surface for everyday life, mostra presentata nel 1998 dagli architetti Diller + Scofidio, il lawn appare sia come “benigna piattaforma di un controllato terreno domestico” che come “sinistra superficie di un orrore represso. Progettato, registrato e sottoposto alle leggi dell’industria e della genetica“. E’ questa la base del perfetto fps building. Nitida nel suo distinguersi dall’edificio, pseudonaturale, terribile.
luca ruali
also available architecture
www.alsoavailable.net
*articolo già pubblicato su Exibart.onpaper n. 27 –
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a me sembra scritto bene. chiaro, conciso, evocativo.
luca ruali,
parli di cose interessanti ma scrivi in un modo davvero orribile. leggerti significa inciampare continuamente in una sintassi ubriaca. Mi chiedo se veramente scrivi così o se il tuo articolo è il frutto di una cattiva e frettolosa traduzione dall'inglese.
il quotidiano e, in questo caso, le sue degenerazioni sono un centro di interesse dell'arte contemporenea da qualche anno. personalmente credo che si tratti di un'atteggiamento assolutorio sulla realtà che fa pornografia della miseria umana. non parlo di tette e culi ma di quella perversione a mostrare l'orrore, in questo caso dell'arredamento. Ancora una volta, ma ne accadranno tante altre sicuramente, l'artista è visto e/o si ritiene un'antropologo, un'architetto, un sociologo ecc. ma il gesto artistico non studia o cataloga la realtà, per questo ci sono le discipline accademiche che questo lavoro la fanno già e anche molto meglio e pure seriamente. Il gesto artistico profondo attraversa la realtà, si sporca con essa, prende posizione. La pretesa oggettività e lo sguardo ipocritamente asettico e documetaristico di molta arte contemporanea è l'altra faccia di una sbiadita collocazione dello sguardo dell'artista. Niente sopresa si tratta di marketing, meno dici più ampio è il tuo client profile... Esistono vari modi di omlogarsi, questo è quello sofisticato per inserirsi e restare nell'arte contemporanea, che tanto oramai è in larga parte un sofisticato baraccone per mostrare la donna barbuta, l'uomo cannone ecc. ma senza la magica ingenuità del circo.
Voglio dire che il tema del "quotidiano" sarebbe anche interessante (le foto che riporti sono belle)ma trovo sciocco e perverso cercare sempre l'orrore per spiegare certi orientamenti dell'arte.
Ti saluto e scrivi meglio per favore. Se scrivi poi bisogna anche leggerti non dimenticarlo
Ugo
vediamo se il disordinato commento di ugosenzacognome può servire ad andare oltre le 3500 battute cui sono costretto. Dice ugosenzacognome "Il gesto artistico profondo attraversa la realtà, si sporca con essa, prende posizione." Non so. La definizione altezzosetta di arte contemporanea può scappare in un discorso veloce ma fa sempre sorridere... Ho la certezza statistica che "quando l'arte prende posizione", nel 90% dei casi a rimetterci è la qualità del lavoro artistico.
Effettivamente però il tema del quotidiano è perlomeno liso dall'eccessiva usura. Si può quasi considerare l'oggettistica umana della normalità domestica come una palestra visiva per giovani promesse o un ambito sicuro per artisti collaudati momentaneamente a corto di risorse linguistiche.
La coincidenza visiva tra ambientazioni normali e consuete e le ambientazioni realizzate ex-novo per indurre tensione nello spettatore/giocatore è tema ancora suscettibile di sviluppi originali e ben poco è stato fatto oltre la casuale intervista alla vicina di casa del serial killer x:" era una persona normalissima!" Ma non di orrore parlerei, piuttosto di tensione.
La normalità comunque determina dibattiti sempre tesi. Non che mi piaccia citare quel buffone di dh ma aspettate che trovo il libercolo... Ecco qui. (manuale per giovani artisti, G. Burn - D. Hirst, Postemediabooks). GB:"la gente si innervosisce quando si trova davanti al trasferimento di un oggetto comune dal mondo reale in galleria..." , risponde DH: "La gente vuole essere elevata spiritualmente, sbattergli in faccia le stesse cose che ha in casa è un pò un insulto. Quello che questi artisti vogliono dire è che ciò che state cercando ce l'avete già in casa coglioni! E il fatto che la cosa vi disturbi è la prova he hanno ragione. Coglioni!"