Forse solo in un seminario sulla “partecipazione” può trovarsi tanta disponibilità ad ascoltare. “Siete come delle spugne, state qui ad ascoltare tutto”: questa, che per il sociologo Padovan, intervenuto in chiusura della prima giornata, voleva essere una critica, è di fatto un riconoscimento. Nell’aria si respirava voglia di interrogarsi, di discutere e cercare. Sono state ascoltate critiche di impostazione tra le più varie, fino a costruire l’atmosfera in cui si è accesa la tavola rotonda conclusiva.
Merito del comitato scientifico, ricco di due personalità complementari: Alessandro Giangrande, alla ricerca di nuove strade per una partecipazione “in assenza di comunità”, ed Elena Mortola, entusiasta promotrice della risposta insita in “A Pattern Language”.
E merito anche del ruolo giocato da Massimo Ilardi che, sociologo un po’ architetto, ha portato un ribaltamento della visione corrente.
Ma importante è stato anche lo spontaneo confronto determinato dalla divisione di ogni sessione in due fasce: prima i veterani, poi i giovani. Confronto generatore del dibattito finale, perdurato oltre il tempo previsto, quando Marco Felici e Barbara Del Brocco hanno lanciato la carica dei giovani che rivendicano il diritto-dovere di portare anche l’Architettura Contemporanea nel bagaglio culturale dei facilitatori.
Interventi di grande interesse, per lo spessore di decenni di ricerca, sono stati quello di Nikos Salingaros, sulla natura dell’ordine, e quello di Tom Maver, su strumenti multimediali per la progettazione partecipata.
Daniela Bruni
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