13 luglio 2006

architettura Ideal city / Invisibile cities

 
Due lontani luoghi del nazionalsocialismo propongono modelli di città ideale. Quaranta nitide aggregazioni urbane capaci di celare altri contenuti dietro una cortina di eleganza grafica. Un'eleganza difficile da rintracciare attualmente...

di

Ideal city / Invisibile cities, questo il tema sul quale Sabrina van der Ley e Markus Richter hanno chiamato 40 artisti a riflettere attraverso produzioni originali. In apparenza il tema di questo progetto complesso può essere avvertito come esausto e il riferimento letterario come minimo affaticato dall’usura di citazioni eccessive. È così certo, ma ci attira la perversa intenzione di localizzare questo approfondimento sull’aggettivo ideale applicato alla città, presso Potsdam e Zamość (lontane per altro centinaia di chilometri. Potsdam è la città che ospita uno dei luoghi simbolo del militarismo prussiano, la chiesa della guarnigione, e che vide nel 1933 la successione di Hitler al venerando presidente Hindenburg. Zamość fu –come laboratorio speciale delle SS- il luogo della sperimentazione di una sostituzione etnica feroce avviata dopo il blitzkrieg polacco. Per intenderci Zamość assumerà, durante l’occupazione tedesca, il nome di Himmlerstadt.
Una certa rigida precisione aleggia in effetti sull’intera esposizione, cui gli stessi curatori attribuiscono un carattere saggistico di completezza. Attorno infatti ai lavori site-specific, che costituiscono il cuore della mostra, si articolano diverse sezioni relative ad aspetti particolari del tema. Chandigarh, Brasilia, Lublino raccontano della possibilità novecentesca della città ideale, i lavori di Archigram e Costant, attraverso un modalità divertente ed anarchica, consentono la transizione a lavori puramente artistici che approcciano il tema indirettamente o solo graficamente come nella video installazione di Rula Halawani che documenta la realizzazione del muro di sicurezza israeliano.
Carl Andre, Lament for the Children
Tema esausto quindi, ma elaborato in modo esaustivo. La qualità è alta e si evita soprattutto il più macroscopico degli errori curatoriali presentando una gran quantità di artisti che dichiarano date di nascita stupidamente inusuali come 1930, ‘40 e ‘50.
Tutti comunque, fino ai più leggeri trentenni, offrono elaborate ricerche di linguaggi visivi personali assolutamente inedite quando si tirano in ballo architetti e architettura. Rigore strutturato nell’uso delle griglie; visioni dinamiche collegate all’idea di flusso; sensibilità compositiva e cromatica quando si identifica una possibile bellezza urbana in riquadri di paesaggio.
Assente qualsiasi riferimento alle città di fondazione italiane, e questo è strano. Assente fortunatamente qualsiasi entità che possa riferirsi al tipo genetico del giovane architetto digitale, e questo è bene. Nessuno, tra quelli di tale categoria, che attualmente godono di una qualche visibilità ha mai minimamente pensato di sviluppare un proprio linguaggio. Meglio produrre cataste di progetti basati su una curva divertente e colorata, un sostantivo azzeccato ed un aggettivo ancora più azzeccato e meglio se composto in qualche modo. ID-deal, IN-visible.
Tilman Wendland, untitled
Quaranta artisti riproducono la prassi architettonica della grafica e della modellazione applicata all’urbanistica. Con una sensibilità assente da tempo nella prassi architettonica, tenendo presente una personale declinazione dell’idea di bellezza applicata alla composizione e alla disposizione. Ne derivano città ideali. Ma questo aggettivo trasmette la tensione tipica degli oggetti bellissimi ma irreali, che non esprimono il loro carattere attraverso l’indiscutibile eleganza celandolo altrove.

“Metti che questo videogame in origine doveva essere molto diverso. Metti che in origine doveva essere un capolavoro che avrebbe cambiato per sempre il mondo dei videogame. Metti che la Nintendo si è cacata sotto. Metti che hanno speso milioni di dollari per trasformarlo in qualcosa di più commerciale. Metti che quell’edificio è una parte del vecchio videogioco di cui non si sono accorti finchè non è stato troppo tardi. Metti che hanno chiuso la porta a chiave e ci hanno messo attorno un po’ di pietre sperando che nessuno se ne accorgesse. Capace che li dentro c’è tutto un mondo…” (God jr, Dennis Cooper, Fazi editore, Roma, 2006)

link correlati
www.idealcity-invisiblecities.org

luca ruali
also available architecture / www.alsoavailable.net

[exibart]

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