Dopo la biennale dell’artista –Massimiliano Fuksas– e quella del critico –Dejan Sudjic, questa qui –tutt’ora in corso- è già la Biennale del professore, o –ancora- la biennale del futuro dopo quella del presente (la scorsa edizione, Next)… La speculazione su coloriti giochi di parole che possano illustrare, con la potenza di un aforisma, il carattere di una così ampia manifestazione, è già celebrata. Ora che la mostra è aperta passiamo a discuterne concretamente.
Da anni ormai la Biennale è come un termometro, misura l’attualità dell’architettura, più che i presunti passati o futuri. Questa volta torna a farlo con una lettura fortemente impostata, come non si aveva da varie edizioni, sia di architettura che di arte.
La cosa risulta interessante, al punto da chiedersi se, in aggiunta a Metamorph -allestita all’Arsenale- ed alle “risposte” dei padiglioni nazionali, gli altri eventi fossero realmente necessari. L’immensità di questa Biennale, che ogni anno cresce, si arricchisce infatti di un’ampia e interessante rassegna sull’architettura per le Concerts halls, di tre dossier fotografici, di una mostra parallela sulle Città d’acqua, e di varie installazioni-evento (Episodes).
Metamorph investiga l’architettura contemporanea nelle sue nuove direzioni di ricerca. Potrà essere una mostra – manifesto, se riuscirà ad etichettare qualche nuova tendenza, ma questo lo decideranno gli storiografi. Sicuramente conferma la chiusura del fenomeno decostruttivismo lanciato dalla mostra al MoMa nel 1997. Di fatto riprende, e amplia, gli assunti di un’altra mostra fondamentale, curata da Terence Ridley al MoMa nel 2000.
Dei cinque settori selezionati da Kurt W. Forster, almeno tre rappresentano tendenze nuove del fare architettura, ed i rimanenti individuano tipi di occasione per la ricerca.
Surfaces e Atmosphere sono nomi nuovi per le ormai note tendenze dell’architettura nell’era dell’informatica. Interessante è la capacità di ampliare i confini di tali definizioni oltre la semplice identificazione in blob o prismi miesiani, in una rassegna di ampia attualità.
Il Leone d’Oro al progetto di Kazuyo Seijma sembra rimarcare la nascente supremazia della tendenza miesiana su quella neo-organica. Ma l’intera sezione Topography potrebbe ribaltare il verdetto. I blob e il decostruttivismo stanno gradualmente recuperando naturalità, in una tendenza che la critica ancora non usa evidenziare, ma che di fatto si manifesta trasversalmente in opere mimetico / land di molti maestri contemporanei.
Transformations e Hyper-projects guardano a due nuovi tipi di opere architettoniche e, tra le righe, finiscono per individuare la nascita di modi progettuali specifici per nuove istanze della contemporaneità.
Come già nelle precedenti edizioni, il simbolo del tema proposto è rappresentato chiaramente nella scelta del Leone d’Oro alla carriera. Se Paolo Soleri era less aestetic more ethics, e Toyo Ito era next, ora Peter Eisemann è metamorph. Già Charles Jencks lo aveva eletto a simbolo dell’evoluzione nell’architettura del “Jumping Universe”; tutta la sua ricerca lo conferma, ed il progetto per la Città della Cultura in Galizia, lo lancia oltre.
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