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architettura_editoriale Libera. Architettura coerente
Architettura
1903 – 2003. Centenario della nascita di Adalberto Libera. Ripercorrere la sua esperienza culturale di professionista coerente in un periodo di compromessi come quello del regime fascista, oggi potrebbe aiutare molti architetti. Un convegno ed una grande mostra a Cagliari, presto una a Roma. Un genio vero dell’architettura del Novecento…
Nell’ambiente culturale della dittatura fascista, c’è chi, come Portaluppi, preferisce ancorarsi ad un linguaggio sicuro perché sperimentato, quello di gusto neoclassico ottocentesco, chi, come Piacentini, si affida alla comunicativa di potere dell’architettura monumentale, sperando in un’identificazione di questa con il messaggio del duce, chi, invece, come Libera, Michelucci, Terragni, Rava ed altri ancora sentono l’esigenza di un linguaggio nuovo, consapevole delle novità d’oltralpe, e che risponda anche al tentativo di fornire una risposta italiana creativa ed autonoma. Per questi ultimi il percorso sarà più impervio e faticoso, ma intellettualmente più denso di significati.
L’episodio della seconda mostra di architettura razionale (1931) è significativo in tal senso: i giovani modernisti organizzati nel MIAR, Movimento Italiano per l’Architettura Razionale, sostengono, nel Rapporto a Mussolini sull’architettura, come la soluzione da loro proposta, in quanto moderna, combacia con gli obiettivi rivoluzionari del regime fascista. Ma su di loro ha la meglio il Raggruppamento Architetti Moderni Italiani che condanna sia l’eclettismo sia “le tendenze che vogliono fare completa astrazione della magnifica esperienza e delle nostre glorie architettoniche passate (…)” (Zevi B., Storia dell’architettura moderna, Torino, 1950).
Libera farà parte del Gruppo 7, che attraverso una serie di articoli pubblicati sulla rivista “Rassegna Italiana” renderà note le proprie posizioni moderniste e d’avanguardia.
È presente al Weissnhof di Stoccarda, dove espone il progetto per un “Organismo di rapido sfollamento per un sistema sovrapposto di platee”. Come lui stesso ricorda: “(…) Nel 1927, quando ero al terzo anno della scuola di architettura, insieme a Ridolfi ed alcuni altri, forse ero anch’io lo spirito più vivo, perché avevo viaggiato e conoscevo molto bene la Germania, l’architettura moderna di allora: qualcosa di molto urgente ci animava e stimolava a conoscere e a sperimenrtare.” (Libera A., La mia esperienza di architetto, in La Casa, n. 6, 1959).
Inoltre nell’archivio di Libera è stata trovata una cartolina relativa all’interno della casa di Le Corbusier al Weissnhof con il quadro di Baumeister, segno del particolare interesse dell’architetto per entrambi i maestri.
Adalberto Libera è stato quindi più che incline alle teorie promosse dalla nuova architettura. Ma in Italia c’era la dittatura fascista e i suoi interventi furono spesso schiacciati dalla pressa nichilista del regime.
L’influenza di Mendelshon, l’interesse per i risultati delle avanguardie russe, l’attenzione alle questioni sociali, la volontà di dichiarare nei propri progetti la dinamica della struttura e la sua funzione, tema tutto modernista, del quale è icona la Fabbrica van Nelle a Rotterdam, di Brinkmann e van der Vlugt (1930), sono tutte conferme dell’apertura di Libera ai nuovi voli dell’architettura, altrove già intrapresi.
Libera insegnò composizione architettonica dal 1953 al 1962. Un periodo nel quale gli intellettuali, tutti, di qualsiasi formazione, cercheranno spiegazioni circa una situazione italiana che si andava via via corrompendo, che lasciava spazio alla cupidigia dei protagonisti della “Speculazione edilizia” (1957) di Calvino e non solo.
Libera rispose ai dubbi e al disorientamento dei suoi allievi insegnando loro a sostenere l’autonomia delle proprie idee, la coerenza e la consapevolezza delle responsabilità morali della professione. Ricorda Argan: “(…) Come sempre, si è imposto di fare null’altro che il proprio dovere, ma di farlo interamente e bene. Vi sono momenti, generalmente di crisi morale profonda, nei quali fare tutto e soltanto il proprio dovere è già una presa di posizione, una condotta politica: in questo senso va considerata la coerenza professionale, ineccepibile, nei trent’anni della sua attività di architetto.” (Argan G.C., Libera, Editalia, Roma, 1975).
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[exibart]