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architettura_interviste Cascateci dentro!
Architettura
5+1AA significa Alfonso Femia e Gianluca Peluffo. E significa uno dei più importanti studi d’architettura in Italia. E significa costruzione - vera - di edifici pubblici e privati in Italia e nel mondo...
due nuove macchine meravigliose che parlano di voi…
Direzionale della Fiera Rho a Milano. Coglieremo l’occasione per pubblicare,
intorno a marzo 2011, un altro libro per continuare a parlare dei temi che ci
stanno a cuore. Materia, Enigma e Contemporaneità saranno i tre macro-temi che
riassumono gli aspetti principali dell’edificio, e della nostra ricerca.
Vediamoli uno per uno.
Materia come sintesi di un’idea
di architettura come corpo dialogante, e di vari quesiti come la sensualità e
l’ecologia. Enigma quale idea di architettura come meccanismo di ricerca del
rapporto con il reale: questo edificio è bi-fronte, fa delle domande, causa
dubbi e perplessità, obbliga a ragionare e a “vedere”. Il contrasto è la
risposta: materia-muro esposta a nord (oro opaco), rarefazione-riverbero a sud
(oro-brillante). Abbiamo voluto potenziare l’esposizione geografica,
sottolineare i punti cardinali, collocarci con “maestà aurea” sul fronte e
gettare uno sguardo futurista e ammiccante al corridoio della Fiera di
Massimiliano Fuksas del quartiere fieristico. Infine, Contemporaneità. Il
progetto è semplice: una torre orizzontale riunisce questi fronti. L’idea è di
fare parlare una forza arcaica e primitiva della natura e un’idea di bellezza
(l’oro, il colore, lo spazio) come forma di dialogo e costruzione di un luogo
del pubblico.
I due edifici sono emblema di quella società post-industriale
caratterizzata da un incremento di lavoro immateriale al quale corrispondono
luoghi di lavoro poco connotati. Quando dite che i vostri edifici sono “macchine di percezione della realtà”
pensate anche a questo? Ad attivare una sorta di consapevolezza epocale?
Pensare alla qualità del lavoro
è pensare alla qualità del quotidiano. Spesso gli edifici del presente sono
astratti, oggetti che tentano di collocarci in un mondo perfetto dove non
arrivano il rumore, l’inquinamento, la densità dell’esterno. Dove non arriva la
paura. Questa manifestazione di modernità portata all’eccesso, l’architettura
che “costruisce mondi perfetti e
sostenibili”, ha come conseguenza quella di allontanarci dalla realtà. A
noi interessa annullare la distanza dal reale, l’immaterialità delle forme ci
appare un segno di paura. Lavorare con la materia, il colore, la qualità dello
spazio, fare in modo che le persone sentano fisicamente che quell’edificio
esiste, che è quello e non un altro, che è in quel luogo e non in un altro, che
il mondo esterno esiste e la sfida è relazionarsi continuamente, senza
esclusione di colpi. Un vis-à-vis, un cuore a cuore.
A questa “estetica della normalità” si accompagnano elementi
di una ricchezza straordinaria…
Per “estetica della normalità”
dobbiamo intendere la forza rivoluzionaria del rapporto con il reale. L’Agenzia
Spaziale di Roma e il Centro Direzionale di Rho sono edifici provocatori,
affrontano il buio della contemporaneità. All’apparente normalità di un
edificio per uffici, noi cerchiamo di rispondere con condizioni di
eccezionalità: negli spazi intermedi, nell’in
between, negli spazi delle cose imprevedibili, negli spazi della libertà
quotidiana. Nell’edificio in fiera non c’è un piano scala uguale all’altro; il
grande vuoto interno (54 metri in altezza), che funge da raccordo tra le due parti
dell’edificio, si apre tra una scala “maschio” e una scala “femmina”, che
inevitabilmente dialogano. Questa eccezionalità dei dettagli non è sbandierata
o gridata, ma “la scopri se ci cadi
dentro“, come amano dire certi genovesi. Ci piace generare questa
sorpresa.
Nei vostri progetti già realizzati dove accade questa sorpresa?
Accade nella gola dei
Frigoriferi Milanesi (sede di Open Care, a Milano), nel grande vuoto di Rho,
come dicevamo, e anche nella sala mensa dell’Agenzia Spaziale Italiana.
Parliamo di questa sorpresa dentro all’ASI…
In questo grande spazio comune,
insieme all’atrio-auditorium cuore di tutto il complesso della nuova sede
dell’Agenzia nell’area di Tor Vergata, abbiamo inserito dei coni di luce, ma
non bastava. Allora abbiamo deciso di inserire una qualità molto forte, una
ricchezza a zero costo: il colore. Al nero totale ed extraterrestre
dell’esterno e degli spazi comuni abbiamo affiancato la libertà, la gioia,
l’innocenza, la violenza da mocciosi del colore.
Che sia la ricostruzione di San Giuliano di Puglia o il Nuovo Palazzo
del Cinema di Venezia (con Rudy Ricciotti), la vostra cifra stilistica è evidente nelle texture
che dialogano con il territorio…
Ogni occasione di progetto non è
solo un’occasione professionale, ma soprattutto umana. Il rapporto con Rudy, e
con altri compagni di battaglia, è la forma del nostro lavoro: dialogo
pragmatico e poetico, umanità, sensibilità, determinazione. Solidarietà. Può
essere un caso che tra i nostri compagni di viaggio ci sia Rudy Ricciotti, un
marsigliese? Al dialogo con le persone fa da inevitabile e diretto controcanto
il dialogo con il territorio: i nostri edifici sono macchine per la percezione
del territorio. Facciamo sempre cose una diversa dall’altra, specifiche, e per
questa ragione siamo stati accusati di eclettismo. Ed è corretto se si ragiona
in termini di comunicazione, ma noi pensiamo (e quindi progettiamo) in termini
di condivisione, per cui il linguaggio fa un passo indietro. I riferimenti
artistici, poetici, sentimentali, letterari sono i nostri strumenti di dialogo
e condivisione. Niente di pedagogico o educativo. Per noi gli edifici sono
corpi, hanno un sesso, un desiderio di rapporto con gli altri, di dialogo, di
incontro; questo implica che non solo si pensi al corpo con i suoi organi, ma
anche che lo si pensi in relazione sensibile con gli altri.
a cura di silvia litardi
*articolo
pubblicato su Exibart.onpaper n. 70. Te l’eri perso? Abbonati!
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