Categorie: Architettura

architettura_metropoli | Strategie urbane

di - 11 Aprile 2008
Per il secondo anno consecutivo, l’Osservatorio sull’architettura della Fondazione Targetti ha proposto, il 18 marzo scorso, attraverso la forma del simposio, una riflessione sulla complessa relazione fra architettura e politica. Lo ha fatto presentando, in collaborazione con la Syracuse University e la rivista “Abitare”, una serie d’interventi teorici -a cura di Pino Brugellis e Francisco Sanin- organizzata intorno a un exemplum di grande impatto emotivo: il caso di Medellin, seconda città più popolosa della Colombia e nome noto, almeno fino a pochi anni or sono, nelle statistiche sulle aree metropolitane per il più alto tasso di criminalità e povertà del mondo.
A parlare di questa realtà è stato il sindaco, eletto a larga maggioranza nel 2003, Sergio Fajardo, promotore di una strategia di rinnovamento urbano che ha prodotto, in pochi anni, un’inversione di tendenza nella qualità di vita del luogo. Fajardo che, prima dell’ingresso in politica, ha svolto per anni un’intensa attività accademica negli Stati Uniti, si è impegnato nei confronti della cittadinanza a promuovere il recupero di valori sociali come il diritto all’istruzione, il finanziamento per attività artistiche e sportive, la creazione d’infrastrutture efficienti. Questo tipo di operazione è stata resa possibile anche grazie a una vigorosa riqualificazione architettonica, affidata a giovani studi locali. Partendo dalle scuole, che sono state quasi completamente ricostruite, passando per le piazze, gli ospedali, sino agli edifici sportivi, l’architettura ha rapidamente aiutato Medellin a cambiare volto e a riacquistare fiducia in un’alternativa verosimile alla condizione di degrado in cui per molto tempo si è riconosciuta.

Al di là delle possibili letture formali sul tipo d’interventi voluti dall’amministrazione pubblica, il valore di questo caso risiede -come è stato sottolineato da Stefano Boeri– nella capacità mediatica riconosciuta all’architettura. Nel caso colombiano, infatti, la rete di nuove costruzioni che ridisegna in modo visibile la città si fa portatrice di un messaggio positivo: se è stato possibile rigenerare l’aspetto della città, diventa credibile anche trasformarne i contenuti culturali. Sia il discorso pronunciato da Elia Zenghielis ma, soprattutto, quello di Stefano Boeri, invitati come relatori insieme a Fajardo, hanno dato risalto alla centralità degli elementi di comunicazione insiti nel rapporto politica-achitettura, mentre non è stato purtroppo affrontato, durante la tavola rotonda che ha chiuso l’incontro, il complesso meccanismo delle strategie operative legate a questo rapporto, auspicabile conclusione alle precedenti riflessioni. Secondo Stefano Boeri, il potere mediatico dell’architettura, e la stessa estetica legata a un tipo di percezione strettamente connessa al consumo delle immagini, è ormai profondamente radicato nel nostro sistema culturale.

Tale considerazione offre l’occasione per riflettere anche sul caso della politica in cui il potere della comunicazione visiva è nevralgico. Come aveva abilmente messo in scena Francesco Vezzoli nella sua installazione all’ultima Biennale di Venezia, mostrando la politica come un accorto montaggio di sequenze video, di frame che costruivano l’identità dei candidati alla presidenza per la Casa Bianca. E l’architettura, in questo meccanismo virtuale, sembra aver acquisito gli stessi mezzi, o meglio gli stessi media. Rimane il dubbio sull’effettiva capacità di controllo, da parte della società stessa, di questo apparato tecnologico, che sembra ormai, da un lato, l’unica soluzione ai problemi urbani e, dall’altro, il fine stesso della progettazione. Aspettiamo suggerimenti nel prossimo simposio.

elisa poli

[exibart]

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