Architecture must burn è un testo di
Aaron Betsky e
Erik Adigard, pubblicato nel 2000. Un manifesto in quattro parti
for an architecture beyond building. Nessuna sorpresa: titolo e metodo della mostra di architettura diretta da Betsky alla prossima Biennale sono tutti qui. Il libro offre una separazione netta fra immagini al testosterone infantili e poco controllate (ci si vanta fin dalla copertina della stampa a dodici colori) e contenuti davvero densi, malgrado qualche “luogo comune digitale” inevitabile all’epoca.
Questa separazione riappare scorrendo oggi la struttura prevista per la mostra veneziana. Come momento principale viene annunciata
Hall of Fragments. Momento che purtroppo sembra connesso all’immaginario visivo entusiastico di cui sopra e che offre una playlist ispirata a un’immaginaria reunion di rockstar appesantite. Come se dieci anni non fossero passati, troveremo insieme addirittura
Asymptote,
Greg Lynn,
MVRDV,
UN Studio,
Coop Himmelb(l)au,
Fuksas e
Zaha Hadid. Un ensemble terribile, che vedrà -senza dubbio e come da sempre- dominare per intelligenza e sensibilità
Liz Diller e
Ricardo Scofidio, e che si è tentato di mascherare arricchendolo con partecipazioni più o meno casuali di amici e gente passata di lì per caso.
Quale spirito curatoriale può infatti inserire in questo bailamme visuale la tranquilla e minima pratica di
Atelier Bow How?
Come
Architecture must burn era in grado di offrire contenuti nitidi oltre la cacofonia cromatica, la mostra di architettura offre una sezione che si preannuncia succulenta, quella di
Experimental architecture curata da
Emiliano Gandolfi. Qui la selezione offrirà inevitabilmente una maggior sensibilità ai linguaggi contemporanei e, soprattutto, un’attitudine diffusa a intervenire verso un problema etico mica da poco. Mentre infatti da anni i protagonisti della parte più “esclusiva” di cui sopra sono impegnati in reiterate rappresentazioni di se stessi, qui il minimo comun denominatore della gran parte delle azioni messe in campo sembra essere quello di una cultura del progetto
per le persone, destinata
alle comunità.
In questa sezione dovrebbe venir meno la patetica necessità dell’architettura contemporanea di rappresentarsi su curatissimi prati all’inglese, a debita distanza dagli altri edifici. Magari sarà possibile avventurarsi in progetti “dal basso” di rigenerazione delle favelas con il collettivo francese
COLOCO, oppure incontrare l’azione vagamente brutale ispirata dalle periferie e dai nuovi comportamenti di
Didier Fiuza Faustino o il lavoro concettuale di
ZUS e sostanzialmente di chiunque abbia ereditato modalità d’intervento paragonabili a quelle di
Patrick Bouchain (ricordate l’allestimento del padiglione francese della precedente Biennale?). Da parte italiana, ci mettiamo soprattutto
Stalker e la modalità operativa di
id-lab.
Aron Betsky ha presentato la sua mostra a Roma il lunedì successivo alla terribile, per chi ne fosse stato all’oscuro, puntata di
Report sulla modalità operative dell’urbanistica della Capitale. Una traccia di reazione -la mostra non è ancora definita- è stata leggibile solo nell’impostazione voluta dal curatore
Francesco Garofalo per il padiglione italiano con la mostra
L’Italia cerca casa. Progetti per abitare e riabitare le città. Exibart lo incontrerà presto, vedremo che direzione avrà preso il suo lavoro di preparazione.
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bene, bene, un altra biennale reciclata.
Ho comprato quel libro nel 2000 al bookshop del Kulturhuset a Stoccolma attirata dalla grafica spinta e sicura che dentro sarebbe stato il solito "pacco" dutch style....e invece era un altro, sofisticatissimo trucco olandese, l'ennesimo dell'omme 'e 'marketing della creatività del paese dei tulipani...un pacco a lunga scadenza...che sortirà i suoi effetti nel prossimo settembre..8 years later.
Stiamo a guardare sperando che l'invito di Luca a rileggerlo per via dei contenuti densi ci prospetti una Biennale più divertente della scorsa.