Era sembrato un idillio fin troppo affettuoso quello in corso da qualche tempo tra il Comune di Vienna e l’architetto/ingegnere spagnolo
Santiago Calatrava: invitato, corteggiato e poi finalmente incaricato, solo per cominciare, di un progetto per un ponte pedonale sulla Triesterstrasse, che è una importantissima arteria di accesso al tessuto più vitale della capitale austriaca. Quando infine si è giunti al capitolo costi, il geniale spagnolo, autore di veri capolavori di tale tipologia, ha dettato la sua condizione: “
Non voglio limiti di budget: prendere o lasciare”.
Prendere o lasciare? Una proposta imbarazzante, soprattutto perché fatta – così si è detto – a scatola chiusa. E pensare che i generosi funzionari del Comune, gli attori di questa committenza, pur di avere dalla loro il celebre maestro spagnolo avevano dovuto affrontare una marea di polemiche da parte delle associazioni di architetti e dell’opinione pubblica, che chiedevano con insistenza e a gran voce spiegazioni sul perché per tale opera non si fosse attivata quella norma europea che prevede obbligatoriamente, qualora il committente sia un ente pubblico, il bando di un concorso internazionale.
Si erano giustificati dicendo che, quando si vuol realizzare “
un’opera d’arte” – ché tale doveva essere il ponte sulla Triesterstrasse – quella norma non vale e la scelta dell’artista è di stretta competenza del committente. Un semplice gioco d’astuzia o un sofisticato dilemma di metafisica che fa saltare le regole e i nervi? A voler essere pignoli, l’argomento sarebbe di quelli tosti, rinviando la disputa a una complessa – e poco praticata – estetica analitica, la quale indaga questioni ostiche del tipo “cos’è l’arte?” o cose come la consistenza ontologica dell’opera d’arte. Non sappiamo se, o quanto, l’ipotesi dell’opera d’arte in architettura farà scuola in Europa. Sta di fatto che di fronte all’aut-aut, al prendere o lasciare, i “committenti” hanno infine optato per la seconda soluzione.
Intanto, però, in cuor loro era nato un nuovo feeling. Di natura architetturale, beninteso. Ed ecco programmata e organizzata con tutti gli onori nello scenografico teatro Odeon una pubblica conferenza della quale l’illustre convitato era l’architetto
Renzo Piano, finora il grande assente tra le archistar che da un ventennio arricchiscono l’urbanistica viennese. Il graditissimo ospite, dopo aver illustrato a parole e con belle immagini proiettate su un grande schermo alcuni dei suoi storici progetti, ha infine calato l’asso dalla manica. Ha cioè illustrato il suo progetto viennese per un complesso – non grande, come lui stesso si è lasciato un po’ incautamente sfuggire – di edilizia residenziale nei pressi del Belvedere, in una superficie situata all’interno di una zona urbana di recente ri-pianificazione e nella quale sorgerà la nuova Stazione Centrale sulle ceneri della vecchia Stazione del Sud.
Seppur si poteva ipotizzare che l’ospite non fosse lì solo di passaggio, nessuno però era al corrente che un suo progetto potesse essere già stato deciso, né tantomeno già avviato. Applausi. Dettati anche dal carisma dell’uomo, longilineo, sorridente, elegante negli abiti e nei misuratissimi gesti e fluido nel suo modo di parlare inglese. Poi però, tra le domande di rito che normalmente l’ospite accetta dal pubblico dopo la sua relazione, una timida e acerba voce di donna, probabilmente di una studentessa o giovane laureata in architettura, si è udita chiedere al nostro: “
Scusi, chi è il committente?”.
Già, chi è? “
Quell’uomo che siede in prima fila”, ha risposto, con spirito e con stile, Renzo Piano. Come a dire: per certe cose si rivolga all’ufficio competente. Il fatto è che in prima fila sedeva sì Rudolf Schicker, ovvero il responsabile-capo alle opere pubbliche del Comune di Vienna e, per l’occasione, anche nelle vesti di anfitrione della serata d’onore, ma accanto sedeva pure Michael Seeber, noto attivissimo impreditore tirolese – cliente, per esempio, anche della celeberrima anglo-irachena
Zaha Hadid in quel di Innsbruck per le estrose stazioni della funicolare urbana Hungerburgbahn – il quale inaspettatamente di questo progetto risulta essere il vero committente, nonché proprietario del suolo. Che però i più ignorano
come lo sia diventato.
Ben vengano, dunque, le archistar. Ma forse quella timida studentessa, o giovane laureata, ha inaugurato l’ultimo – in ordine di tempo – caso spinoso su certe procedure di acquisizione, competenze, committenze riguardanti aree originariamente pubbliche, comunali o statali, che poi finiscono col risultare formalmente private e dove, quindi, il committente ha mano libera in tutto.
Cose che a Vienna, come probabilmente altrove, gli architetti di oggi, e quelli che aspirano a esserlo domani, continuano a giudicare mortificanti per la loro professione, se non anche atti indebiti di autentico favoritismo.
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Le solite sporcaccionate!!
sembrarebbe che non solo gli italiani siano bravi in favoritismi e trucchetti sottobanco!
a quanto pare siamo più comglioni degli austriaci