Così Scottsdale,
che ormai da anni aveva deciso di dotarsi di un nuovo landmark che rinforzasse
il legame con questo suo illustre cittadino, ha centrato l’obiettivo. Un ponte
pedonale, su una pista ciclabile che scavalca un canale, in un sito che si
presenta con tutti i limiti di un luogo chiamato “piazza”, ma che piazza non è,
mancando il contesto fisico di una città consolidata che lo crei.
Un incarico
apparentemente troppo minimo per giustificare e consentire a un personaggio
come Soleri di aprire le ali e mostrare l’incredibile capacità di volo maturata
in decenni di ricerca. Eppure, anche nel minimo si legge la potenza di una
mente che non rinuncia mai a pensare, con coerenza e in una continua
evoluzione.
Ne nasce una
realizzazione che accoglie e invita a passeggiare, ma anche presenta concetti e
stimoli. Il raggio di luce passante tra le ombre dei piloni cilindrici del
ponte diventa l’asticella di una grande meridiana, il cui campo è la piazza
stessa. I soleriani pannelli in calcestruzzo e le campane a vento che sagomano
le banchine si presentano in tutta la loro potenza comunicativa. Ancora una
volta il siltcast – metodo di getto di calcestruzzo su limo inventato da Soleri
negli anni ’60 – è il medium per un messaggio forte e chiaro: la leanness, il fare di più con meno, come
la bellezza di queste forme materializzate con soluzioni tra le più povere
possibili.
Probabilmente, con
una lettura superficiale, molti giudicheranno erroneamente questo progetto. Lo
sminuiranno o ne verranno respinti per semplici avversioni poetiche, viziati
dal sensazionalismo della pubblicistica sullo star system dell’architettura
contemporanea. Ma peggio per loro: distratti dal rumore, non avranno la
pazienza di provare ad ascoltare il valore di un lungo e fecondo discorso, che
in quest’opera fa capolino.
Ormai Soleri non
perde tempo nella ricerca di quelle soluzioni tecniche innovative che lo hanno
reso celebre, formando nuovi modi vitruviani di fare spazio. Le soluzioni qui
adottate sono quasi brutali, nell’essenzialità dei loro enunciati. Perchè è il
processo di appropriazione che seguirà, in carico ai cittadini, quello che
determinerà il successo o l’insuccesso dell’opera.
“In the
fractured culture we live in”, ci spiega Soleri, “it might be of some interest the physical and metaphysical character of
bridging. In this case the pedestrian bridge and the site are
favoring the notion of encounter and conviviality. To make a sort of
recognition of the sun, the condition sine qua non of life, the bridge is also
a sun dial daily for solar noon, a good start. In context we have a landscape,
the water of the Arizona canal, the residential background, the Sun Bridge
itself and the people. As I don’t believe in a fait accompli, but I trust the
nimbleness of things, it is the process that influences the eventually finished
product. In this case it is the bridging faculty of the structure that should
impact the produced environ”.
Torniamo quindi al
linguaggio con cui Soleri configura questo luogo: un improvviso addensamento di
stimoli urbani nel vuoto desolante della non-città arizoniana. Il ponte,
elemento tipologicamente forte per la sua funzione di tramite fra due polarità,
si conforma come terminale di un’agorà, spazio catalizzatore di transazioni
sociali. In questa chiave, Soleri intende dare a questo luogo nascente un
valore di sacralità, un’opportunità
di trascendenza attraverso la riformulazione dello spazio-realtà. E per farlo,
ancora una volta la sua opera costruisce spazi cosmogonici, in un dialogo con
elementi ben più eterni di quanto non lo siano le religioni storiche. Ben oltre
la propria materialità, il ponte-meridiana dialoga con il sole, con le luci e
le ombre che si proiettano negli spazi interstiziali con cui il landscaping inserisce un luogo dello
stare nel flusso di una pista ciclabile.
Peccato. Peccato
che si sia sprecata un’occasione. Peccato che Soleri sia stato impegnato in una
commessa di così limitate possibilità, anziché lanciarlo in una vera e propria
chance di “riformulazione” dell’habitat. Ma ringraziamo lo stesso, perché
abbiamo gradito.
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Paolo Soleri, l'architettura al servizio della natura e dell'uomo. Esperienze di un grande architetto italiano, mai capito in questa distratta Italia.