Nel febbraio 1997 Richard Meier presenta al papa il progetto definitivo per la chiesa Dives in Misericordia, dopo aver vinto nel giugno ‘96 il concorso internazionale ad inviti “50 chiese per Roma 2000”, al quale avevano partecipato nomi del calibro di Frank O Gehry, Peter Eisenman, Santiago Calatrava e Tadao Ando.
Si tratta di una piccola chiesa realizzata in un piccolo lotto di un quartiere periferico di Roma. Inserita in un contesto che non sembra mostrare importanti stimoli né particolari vincoli, si presenta sorprendentemente espressiva e complessa.
La complessità dell’opera, apparentemente semplice nel suo aspetto, si evince proprio dalla capacità dell’architetto americano di definire, con pochi elementi e pochi segni essenziali, spazi carichi di emozione e di tensione espressiva: le linee curve, a terra e in alzato, la ripetizione, i tagli puri, il netto contrasto tra pieni e vuoti, sottolineato dalle lame di luce che fendono lo spazio interno, il sistema di rifrazione del lucernaio, realizzato come un taglio unico continuo e lineare che diffonde la luce modulandola all’interno a seconda delle ore del giorno e dell’inclinazione del sole.
Neanche l’attribuzione dell’appalto per la progettazione delle strutture è stata facile, proprio perché era richiesto un sistema semplice, funzionale ed economico. Inizialmente l’appalto era stato affidato allo studio Ove Arup, il quale aveva proposto per la realizzazione delle tre vele un sistema interno di carpenterie metalliche a sostegno di lastre in calcestruzzo di rivestimento interno ed esterno che in seguito avrebbero dovuto essere stuccate e intonacate. Il sistema ideato da Ove Arup per tenere in piedi le grandi vele assomigliava un po’ a quello sfruttato da Frank Gehry per realizzare le sue mirabolanti invenzioni. Ma si trattava di un sistema molto lontano dalla realtà cantieristica italiana, e inoltre lasciava insoluti alcuni problemi costruttivi legati alla deformabilità dei componenti.
La soluzione che ha permesso la realizzazione di quest’opera grandiosa per l’essenzialità dei suoi elementi e per la purezza dei materiali e dei componenti impiegati è arrivata da un ingegnere italiano, Antonio Maria Michetti, recentemente insignito della laurea ad honorem dalla facoltà di architettura di Valle Giulia, dove ha insegnato scienza delle costruzioni per cinquanta anni. Michetti stravolge il progetto proposto dallo studio Arup inventando un sistema di conci prefabbricati a doppia curvatura impostati similmente ai meridiani e ai paralleli del globo terrestre.
I conci sono precompressi e i giunti verticali sono stati studiati per consentire la giunzione orizzontale fra le barre di precompressione in modo da mantenere costante la continuità statica lungo tutta la superficie di ogni vela. La realizzazione dei blocchi è stata affidata alla ditta Italcementi la quale, grazie alla messa a punto di un cemento studiato appositamente, Bianco TX Millennium, ad altissima resistenza, caratterizzato da una grande lavorabilità e dall’essere autopulente, è riuscita a produrre gli elementi esattamente come erano stati richiesti.
Oggi a guardare il risultato non si direbbe che dietro ci sia stata tanta complessità progettuale e costruttiva, ma a conferma di questo, durante tutto il periodo della costruzione, il cantiere è rimasto aperto al pubblico permettendo di capire veramente il meccanismo di quello che si può definire un piccolo gioiello di architettura.
Cantiere visitato nell’inverno del 2002 sotto la guida preziosa dell’ingegner Ignazio Breccia referente del Vicariato, cui va ancora un sentito ringraziamento. Fino al 31 gennaio 2004 rimane aperta la mostra fotografica del progetto e del cantiere alla Biblioteca Rodari, viale Olcese 28, Roma
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